2022, l'anno dei grandi ritiri anche in doppio: Tecau, Lopez, Skupski e non solo

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2022, l’anno dei grandi ritiri anche in doppio: Tecau, Lopez, Skupski e non solo

Il tennis perde alcuni tra i migliori rappresentanti della specialità di doppio. Chiudono la loro carriera campioni Slam, olimpici e di umanità come Inglot e Soares. “Mistero” Kontinen

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Dopo aver trattato i grandi ritiri del circuito femminile, passiamo ad occuparci di quelli del Tour maschile partendo dal doppio. Al fianco del nome di ogni protagonista, la data in cui ha annunciato il proprio ritiro dalle scene.

Horia Tecau 05/03/2022 – Quando ha chiuso la sua carriera, a marzo 2022, Tecau era ancora n. 18 ATP nella classifica di specialità e campione in carica del ‘500’ di Halle. Questo per dimostrare, che fino all’ultimo ha militato nei livelli massimi del circuito di doppio. Nonostante i 37 anni, non ha passato gli ultimi anni a svernare o a vedere il proprio splendore perdersi nel tempo e diventare un mero ricordo. Ha avuto una costanza di rendimento impressionante, vincendo fino all’ultimo: – ma proprio fino all’ultimo secondo, per chiudere vincente anche con la maglia della sua nazionale in Davis in coppia con Copil contro Martinez/Davidovich – nel 2021, sua ultima stagione disputata interamente nel Tour, oltre al successo in terra tedesca – sempre al fianco di Krawietz – ha raggiunto la finale in altri due ‘500’ a Rotterdam e Barcellona staccando così il pass per Finals torinesi. Nel suo palmares, dove figurano ben 38 titoli, spiccano soprattutto la vittoria a Wimbledon e alle ATP Finals di Londra del 2015 – qui in finale superò il connazionale Mergea – con Rojer. Una doppietta molto prestigiosa, in particolare per via del titolo sui prati londinesi. Nel 2017, poi, arriverà anche il secondo titolo Slam allo US Open: sempre in coppia con l’olandese, si aggiudicò Flushing Meadows riuscendo ad avere la meglio su Marc e Feliciano Lopez.

Ma forse, la statistica che più di tutte dà lustro alla continuità ad altissimo livello, avuta dal nativo di Costanza e che testimonia il valore assoluto del tennista, è quella che lo ha visto centrare per tre anni consecutivi la finale a Church Road: tra il 2010 e il 2012. Purtroppo però, al fianco dello svedese Lindstedt, si materializzarono tre KO di fila nel match valevole per il titolo. In particolare, quella del 2012, fu veramente una doccia gelata per che lasciò non poco amaro in bocca: il britannico Marray e il danese Nielsen, infatti, si imposero solamente al quinto set. Tuttavia la maledizione per il rumeno fu spezzata tre anni dopo, ma ciò che resta è un dato inequivocabile: quattro finali a Wimbledon – ha seriamente rischiato di pareggiare il record negativo di Stan Smith, battuto per quattro volte nella finale di doppio a SW19 -, di cui tre consecutive e con due compagni diversi, nell’unico torneo di doppio che si gioca sulla lunga distanza e in un periodo storico in cui i gemelli Bryan dominavano in lungo e largo; ne fanno uno degli specialisti più forti dell’era moderna. Ha raggiunto come massimo traguardo in classifica, la seconda posizione mondiale di categoria nel novembre del 2015. Mentre un anno dopo, si è messo sul petto la medaglia d’argento olimpica nell’impianto di Barra da Tijuca arrendendosi con Florian Mergea solo a Nadal e Marc Lopez. Horia è stato però anche campione di umanità, ricevendo nel 2017 dall’ATP il riconoscimento intitolato ad Arthur Ashe per gli sforzi e le iniziative profuse in patria nel campo umanitario. Sostenendo un programma governativo più ampio, si è recato per diversi anni nonostante fosse ancora in attività, ad intervalli regolari nei villaggi più disagiati della Romania per parlare a più piccoli e invogliarli nella pratica delle sue tre grandi passioni: la lettura, la scrittura e lo sport. Perché infatti, se ce una cosa di cui siamo sicuri; è quello che Tecau farà nel post carriera: continuerà a dedicarsi al suo più grande hobby, dopo l’esordio come romanziere nel 2017 con “Viata in ritm de tenis”: Vita a ritmo di tennis, opera dedicata ai più piccoli per incoraggiarli a perseguire i loro sogni e a lavorare duro per ottenerli, superando gli ostacoli che ogni giorno la vita ci offre.

Dominic Inglot 09/03/2022 – “Dom The Bomb” ha chiuso il cerchio, lo ha fatto due giorni dopo aver compiuto il suo trentasettesimo compleanno. Ottima carriera da doppista per il londinese, specialità in cui ha raggiunto la posizione n. 18 nel 2014 e che lascia da 78° del ranking ATP. Può vantare 14 tornei in bacheca, l’ultimo nel 2020, con diversi celebri compagni: tra cui Robert Linstedt, Daniel Nestor, Mate Pavic e Franko Skugor. Diciotto anni di professionismo, dal primo ITF a Glasgow nel 2004 al secondo turno dell’ultimo Australian Open. Il suo rapporto con il tennis inizia casualmente, quando ad otto anni durante una vacanza in Portogallo prende in mano per la prima volta una racchetta. Ma è alla Sant Benedict’s School, nel quartiere di Ealing, dove comincia a fare sul serio. E proprio nella sua vecchia scuola, tornerà nel 2015 da campione di Coppa Davis per regalare la maglia della squadra britannica con tutte le firme dei componenti del team di Leon Smith. A proposito di colui che fu il leader di quella campagna per l’Insalatiera, Andy Murray, c’è un curioso aneddoto che lega lo scozzese a Dominic. Era il marzo del 2015, e Andy veniva intervistato a caldo dopo il trionfo su Isner che aveva sancito la vittoria in Davis della Gran Bretagna sugli Stati Uniti e il passaggio ai quarti della competizione. Parlando dei possibili festeggiamenti della serata, Murray rivela inavvertitamente in diretta tv la scappatella del compagno di squadra pensando che fosse la fidanzata, quando in realtà un imbarazzato Inglot è costretto ad ammettere che quella vera lo stava guardando da casa. Avrebbe poi chiesto scusa il Barone Andy, ma oramai l’aveva combinata veramente grossa.

David Marrero 21/04/2022 – Isolano, nativo di Las Palmas: capoluogo di Gran Canaria, la seconda isola più estesa dell’arcipelago delle Canarie al largo della costa africana. Nel calcio, il complesso delle isole canarie viene considerato patria dei “brasiliani di Spagna”. A Bajamar, piccolo centro di Tenerife – l’isola più grande dell’arcipelago – è infatti nato un talento del calibro di Pedri, ora in forza al Barcellona. Nel tennis, invece, è stato il luogo di nascita di David Marrero Santana, classe ’80. Anche lui come i connazionali Robredo e Marc Lopez, catalani, ha chiuso i battenti sul rosso di Barcellona. Un altro specialista del doppio che saluta, il cui punto più alto rimangono le Finals del 2013 vinte insieme a Fernando Verdasco. Indubbiamente, il mancino madrileno è stato il compagno con cui ha creato il sodalizio più remunerativo in termini di trofei: dei 13 tornei vinti in carriera, sette gli ha conquistati al fianco di Nando. Oltre al trionfo londinese, sono altre due le grandi finali raggiunte da Marrero: due ultimi atti nei Masters 1000, uno vinto a Roma 2015 con Cuevas contro Granollers e Lopez, uno perso a Shanghai nel 2013 con Verdasco per mano di Dodig e Melo. Negli Slam, invece, non è riuscito mai a sfondare il muro dei quarti di finale. La sua carriera è stata tuttavia sconvolta quattro anni fa, quando alcune ombre riguardanti un flusso di scommesse anomalo si pose su di lui. Per David si trattò della seconda investigazione a suo carico nel giro di due anni, nonostante successivamente non venne condannato; avviò una guerra contro i media spagnoli per aver ingiustamente cavalcato l’onda della notizia pur non avendo fondate basi ma mere speculazioni. Il ricordo, infatti, che vogliamo custodire di David è quello esemplificato perfettamente dalle sue parole nel post vittoria alla O2 Arena del 2013. Altro che stagione conclusa, dichiarò l’intenzione di riprendere immediatamente a disputare Futures in quel di Tenerife. Un lavoratore del circuito, dopo aver vissuto appena due settimane prima il sogno di una vita, era ritornato rapidamente alla propria normalità: esponente del sottobosco tennistico.

Marc Lopez 22/04/2022 – Il Barcellona Open Banc Sabadell, lo scorso aprile, è stata anche l’occasione giusta per salutare uno dei doppisti spagnoli che più di tutti hanno conquistato il cuore degli appassionati iberici negli ultimi anni. Purtroppo un infortunio gli ha impedito di chiudere sul campo, costringendolo al ritiro nei quarti – insieme all’altro Lopez – ma il caloroso omaggio con tanto di commozione della “Pista Rafa Nadal” è stata la degna conclusione di 21 lunghi anni di professionismo. Con il suo metro e settantacinque, si è sempre distinto come beniamino del pubblico, ha sempre trascinato il tifo verso di sé. Perché rappresentava qualcosa di straordinario, qualcuno in grado di salire ai vertici della specialità di coppia senza possedere il classico fisico dell’atleta moderno: scolpito e abbondantemente sopra i 190 cm per generare così ancora più potenza, in uno sport in continua accelerazione. Ci è riuscito con il suo talento poiché altrimenti se un giocatore con quella struttura fisica non fosse stato in grado di affidarsi ad una manualità fuori dal comune, certamente non sarebbe potuto arrivare ai risultati che ha raggiunto. Nel 2012, oltre a laurearsi “Maestro” delle Finals con il concittadino Marcel, a Londra prende parte alle sue prime Olimpiadi sostituendo in doppio l’infortunato Nadal. Quattro anni dopo, in Brasile, ironia della sorte proprio al fianco del mancino maiorchino centrerà il titolo più importante della carriera: l’oro olimpico ai danni dei rumeni Mergea e Tecau per 6-2 3-6 6-4. Il 2014, invece, è stato l’anno delle prime finali Slam, seppur perse. In coppia con Marcel Granollers, uno dei suoi due grandi partner di doppio, raggiungono l’ultimo atto sia al Roland Garros che allo US Open. Vengono sconfitti a Parigi dai francesi Benneteau/Roger Vasellin, e a New York dai gemelli Bryan. Ma è il 2016 l’anno d’oro della carriera del catalano, in cui oltre all’alloro a cinque cerchi vince la sua prima ed unica prova Major, a 34 anni, al Roland Garros: sconfiggendo i Bryan 6-3 al terzo insieme ad un altro mancino, Feliciano da Toledo.

Nel 2017, ancora nella Grande Mela, arriva un’altra delusione ad un passo dal traguardo: Marc e Feliciano Lopez si arrendono nella finalissima a Rojer e Tecau. I due Lopez, che per un’intera carriera hanno dovuto combattere con la nomea di fratelli del tennis quando in realtà tra di loro non ci fosse nessun legame di parentela, nella stessa stagione perdono anche la finale di Montecarlo cedendo il campo a Bopanna/Cuevas. Dal 2019 inizia il declino anagrafico che si ripercuote anche sulla classifica il cui best ranking rimarrà il n.3 conquistato nel 2013. Già da dicembre 2021, prima ancora di appendere ufficialmente la racchetta al chiodo, inizia ad assaggiare il suo futuro prossimo – ora divenuto stabile presente – entrando a far parte dello staff di Rafa Nadal. A riprova del talento nel gioco al volo di Marc, il Toro di Manacor lo ha voluto fortemente nel suo team così come qualche anno fa Djokovic aveva voluto nella sua squadra un forte esponente della specialità, un giocatore in grado di dargli qualche suggerimento nell’approccio a rete: Radek Stepanek. Ma tra Rafael e Marc, c’è molto di più. Nel corso degli anni, ancora di più dopo aver condiviso un momento magico come quello di Rio, si è creato tra loro un grande legame d’amicizia: basti pensare che il primo grande trofeo della carriera, Marc lo conquistò proprio in coppia con Nadal a Indian Wells 2010, superando due professori del doppio come Nestor e Zimonjic.

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Rafael Nadal e Marc Lopez vincono l’oro alle Olimpiadi del 2016 (Credit: @RafaelNadal on Twitter)

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