Australian Open
Australian Open: Sinner è un mini-Lendl, non un Mini Federer. Vagnozzi-Cahill hanno vinto la scommessa. 26 breakpoint a Tsitsipas è roba da Djokovic
I progressi ci sono stati: fisico, servizio, mano, risposte, smorzate. Novak, Nadal, Murray erano più solidi mentalmente, ma anche Lendl era fragile di testa fino a 23/24 anni

Jannik Sinner ha perso ancora una volta da Tsitispas e da un top-5, ma i suoi progressi rispetto a un anno fa sono stati innegabili, anche se il lavoro da fare è ancora tanto. Tuttavia lui e il suo team Vagnozzi-Cahill possono dire di aver (quasi) già vinto la loro difficile scommessa.
Non amo sparare sentenze, ma questo è un verdetto indiscutibile. Il Sinner visto oggi non è quello visto un anno fa. E già lo si avrebbe dovuto capire a New York, quando ebbe il macthpoint con Alcaraz.
Tuttavia…- giusto per essere obiettivi – dov’è che Riccardo Piatti potrebbe avere le sue ragioni? Beh, sul fatto, sempre sostenuto dal tecnico comacino, che Jannik avrebbe potuto esprimere il suo pieno potenziale soltanto dopo almeno un altro paio di anni di lavoro duro. Non è quindi detto che anche restando con Piatti Sinner non avrebbe potuto fare progressi consistenti.
Ma in questo caso manca la controprova. Mentre con il duo Vagnozzi-Cahill il risultato è certo, ben visibile. E, come ho accennato, già dal settembre scorso.
L’Australian Open ha portato altre certezze. E cioè che il lavoro atletico sta dando i suoi frutti, Jannik regge anche la distanza, le quattro ore di gioco. Se lui ha battuto al quinto dopo 3 ore e mezzo Fucsovics e perso con Tsitsipas al quinto e dopo 4 ore, non è stato per un calo fisico. Ha messo tre chili in più di muscoli –come ha spiegato Vagnozzi – e anche questo lo si è potuto constatare anche solo guardandolo, sebbene certo Jannik non abbia davvero le spalle di Tsitsipas.
Il servizio è decisamente migliorato, checchè se ne dica, anche se al momento non è paragonabile con quello di Tsitsipas. E’ migliorato sia come velocità di punta, tanto nella prima che nella seconda (con la quale spesso tocca o supera i 175 km orari), sia come percentuale di prime: lo ha messo dentro 3 volte su 4, il 75% dei punti giocati. Un anno fa era rarissimo che superasse il 60%. E quasi tutte le sue sconfitte erano conseguenti a percentuali molto basse delle sue prima, non di rado poco superiori al 50%.
Deve però migliorarlo come profondità e soprattutto varietà di angoli, altrimenti non avrebbe vinto soltanto il 59% di quei punti con la prima.
Ma quando un giocatore diventa consistente come percentuale di prime pur tirando forte, molto forte, il più è (quasi) fatto. Significa che il lancio di palla e la spinta dei piedi sono corretti. Vi ricordate quando Jannik decise di cambiare quei due aspetti?
Ma non basta. Adesso, anche se chi ben comincia è a metà dell’opera, occorre abituarsi a pensare agli angoli e a centrarli. Non è banale, non è facilissimo, ma diventa impresa ogni giorno di più possibile.
Negli anni io ho visto migliorare moltissimo nel servizio giocatori come Novak Djokovic, Rafa Nadal, Andy Murray, giusto per accennare a fenomeni indiscussi che da ragazzini e anche da adulti avevano nel servizio, soprattutto la seconda, un punto abbastanza debole. Se perfino loro hanno saputo migliorare quell’aspetto dai 25/27 anni in poi, non vedo perché sul conto di Jannik che di anni ne ha solo 21, si debba essere pessimisti pregiudizialmente.
Ciò voglio dire almeno per quanto riguarda il servizio, che ancora oggi viene indicato -dalla maggior parte di chi commenta le sue partite –come la differenza più ragguardevole, sostanziale fra lui e i top 5, o anche i top 10.
Per restare ai confronti scomodi fra i 3 fenomeni citati e chi ancora fenomeno non è e non si può neppure giurare che lo possa diventare (o possa anche avvicinarvisi…ma quanti ci sono riusciti, scusate?), Djokovic, Nadal e Murray rispetto a Jannik avevano fin da giovanissimi una forza “mentale” oggettivamente più spiccata e solida.
I punti importanti li giocavano sempre benissimo, sopperendo a quelle carenze tecniche che ancora avevano. Non li giocava sempre altrettanto bene l’altro fenomeno, Federer, che però tecnicamente surclassava tutti quanti e lo si era percepito, individuato, anche nei primissimi anni quando ancora perdeva partite che con il suo talento non ti saresti mai aspettato che perdesse.
Jannik non ha certo il talento di Federer e non ha certo la solidità mentale degli altri tre. Non è tutta colpa sua se Tsitsipas gli ha cancellato 22 pallebreak su 26, subendo due soli break per set nei primi 4 set. Il greco stamani ha servito quasi sempre benissimo in quei frangenti. E quando serve bene, diverse volte ben sopra i 200 km orari, altre volte variando sensibilmente angoli e spin come ha fatto ancor prima del quinto set quando ha servito il 92% di prime palle, non dico che tutte le risposte fossero ingiocabili e non consentissero mai di prendere l’iniziativa dello scambio, ma in una gran parte di esse invece proprio sì.
I numeri vanno sì letti, ma anche interpretati correttamente. Ho preso tanti appunti sul mio blocnotes, ma recuperare tutto in mezzo ai miei geroglifici non è affar semplicissimo. Anche perché tutto non si riesce a segnare: velocità, angoli, effetti impressi, palle nuove, palle meno nuove. Sono tante le variabili da prendere in considerazione. Occorrerebbe riguardare tutte quelle 22 pallebreak annullate e contare le vere opportunità mancate da Jannik, per esprimere un giudizio corretto. Io non ho ancora avuto il tempo di farlo, ma appena mi sarà possibile lo farò.
Per ora quindi le mie, come immagino le vostre, sono impressioni, più o meno fondate. E stando alle impressioni viene fatto di dire che – appunto come sopra accennavo – gli ancor giovani Djokovic, Nadal e Murray, avrebbero risposto e giocato meglio di Jannik in alcune di quelle occasioni che a lui sono capitate. Magari non tante, ma sarebbero bastate anche una in più a set per o pareggiare il conto dei break nei primi due set e ritrovarsi quantomeno al tiebreak (invece di subire due 6-4, dovuto ai due break patiti da Jannik contro il solo break ceduto da Stefanos), oppure per vincere terzo e/o quarto set con due break di vantaggio anziché uno solo.
E tutto ciò non sarebbe stato poco. Avrebbe dato maggiore fiducia a Jannik e creato maggior nervosismo in Stefanos. Questi sarebbe arrivato al quinto set, se quinto set ci fosse ugualmente stato, in diverse condizioni di spirito.
Interrompo ogni tanto la scrittura di questo editoriale per dare un’occhiata anche ai vostri primi commenti. E, fra i tanti che trovo spesso un po’ prevenuti, sia pro Sinner sia contro Sinner, ho trovato particolarmente meritevoli di approfondimento due post: 1)“La partita è tutta…in tre numeri: Sinner ha avuto 26 pallebreak in 11 diversi turni di servizio del greco. Ma ha brekkato solo 4. Tsitsipas ha avuto 11 pallebreak ma ha brekkato 5. …Tsitsipas ha giocato molti più dritti che rovesci nei set che ha vinto, il contrario di quelli che ha perso.”
A queste annotazioni mi viene da replicare: a) riuscire a conquistare 26 palle break, una o più, in ben 11 games di servizio di uno che batte come Tsitsipas è indiscutibile sinonimo di grandissime, straordinarie qualità di ribattitore. 26 palle break sono un’enormità che non può essere trascurata. Mentre qui sembra che tutti preferiscnao soffermarsi sulle 22 non trasformate. Con 26 palle break siamo sui livelli dei tre fenomeni, Djokovic, Nadal e Murray. b) è chiaro che Tsitsipas vince più facilmente un set quando gli entrano più servizi e riesce a comandare di più; e lo fa grazie all’accoppiata servizio-dritto. Per Sinner è più difficile trovargli il rovescio se si ritrova sempre, o spesso, a subire. Una cosa tira l’altra.
Il secondo post è lungo. Lo riprendo manipolandolo un pochino, ma ringraziando l’acuto lettore. Concerne Ivan Lendl. Anche Lendl a inizio carriera, al di là di quattro finali Slam perse prima di vincere la quinta a 24 anni su McEnroe a Parigi con una straordinaria rimonta (per la quale McEnroe ancora oggi ogni tanto si sveglia in preda agli incubi), finì sconfitto più d’una volta al quinto set da chi poi vinse il torneo: Noah, McEnroe, Wilander.
Jannik, a causa di una classifica che non gli rende merito per via di troppi infortuni, non è una testa di serie così alta come avrebbe potuto essere se avesse potuto giocare più dei 17 tornei cui ha partecipato nel 2022.
Così gli è capitato, oggi e in passato, di incontrare già a metà strada (in turni precedenti a una semifinale o a una finale) i tennisti più forti, Nadal, Djokovic, Alcaraz, Tsitsipas. Invece a Lendl che arrivò prima più in alto nel ranking, questo non accadde.
Ma anche Lendl diventò fortissimo dai 24 anni in poi. 8 Slam vinti in carriera, 8 finali consecutive all’US Open dai 22 anni e mezzo in poi.
Prima dei suoi 23/24 anni Lendl veniva unanimente considerato un sicuro campione in prospettiva, anche se tanti sottolineavano il fatto che non aveva la metà del talento di McEnroe, come del resto Sinner non ha la metà del talento di Federer. Ma di Lend si parlava e scriveva ai suoi albori come di un tennista …fragile. Così fragile da fare addirittura calcoli astuti ma pusillanimi per …farsi battere volutamente da Connors che gli dette del “chicken” (vigliacco!) nel Masters 1980 al Madison Square Garden, pur di evitare di affrontare Borg in semifinale. Però Lendl grande campione lo sarebbe diventato.
Oggi, alla luce dei 22 breakpoint non trasformati sento solo sottolineare la fragilità di Sinner. Fragilità che prima era fisica e ora mentale.
Tempo al tempo ragazzi! Intanto qualcuno si è reso conto che Sinner oggi ha giocato una decina di smorzate vincenti di dritto? Fino all’anno scorso quando le provava i risultati erano imbarazzanti. Mezzi lob! Come lo sono ancora oggi quando le prova con il rovescio. Ma non potrà imparare anche queste? Ora non si può più sostenere che non abbia mano, non abbia sensibilità. Ha 21 anni e mezzo. E’ uno che lavora serio. Che ha perso con il matchpoint daln.1 del mondo Alcaraz, che ha vinto i primi due set all’altro n.1 del mondo Djokovic e su una superficie sulla quale era quasi un esordiente e a giudizio di molti pareva quasi negato.
E su come Jannik gioca gran parte delle volee rispetto a un anno vogliamo parlare? E’ un altro giocatore. Non si può non essersene resi conto.
E allora mentre tutti si affannano a sottolineare il suo record negativo con i top-5 – e la sua sola vittoria – a me sembra che non ci si renda conto che Jannik è più simile oggi a un mini-Lendl oggi che non a un mini Federer o un mini McEnroe i quali a 19/20 anni erano già capaci di exploit straordinari ai danni dei migliori tennisti del mondo (per Roger Sampras nel 2001 a Wimbledon…) ma poi fino a qualche anno più tardi non riuscivano a essere continui.
Fino al 2003 anche il grande Roger penò a fare quei risultati che 2 anni prima venivano dati per scontati.
Sinner non ha il talento oggi per battere un top-5 dopo l’altro, ma è una formichina paziente. Lavorerà, lavorerà, e poco alla volta migliorerà in tutti gli aspetti nei quali oggi appare carente. E fra uno o due anni, a 22 anni anni e mezzo, a 23, ne riparliamo. Se avete fretta…il problema è vostro, non suo.
Australian Open
Wozniacki, Raducanu, Osaka, Kerber… Quali wild card all’Australian Open 2024?
Decisione difficile per Tennis Australia: tante giocatrici di grande richiamo non avranno la classifica per entrare in main draw

L’Australian Open 2024 si preannuncia essere uno Slam di grandi rientri per il tennis femminile: diverse giocatrici sono state fuori per tempo dal circuito e sono “nobili decadute” della classifica, di conseguenza non hanno il ranking per partecipare al primo Slam della stagione. Su tutte c’è Caroline Wozniacki, che ha già annunciato di aver terminato la stagione 2023 dopo l’ottavo raggiunto allo US Open perdendo in tre set contro Coco Gauff. La danese è rientrata alla grande dopo la doppia maternità ed è risalita al numero 242 del ranking. In conferenza stampa ha annunciato che Melbourne sarà un grande obiettivo all’inizio del prossimo anno: verosimilmente un invito andrà alla campionessa dell’edizione 2018.
Non solo la 33enne di Odense: proverà a rientrare anche un’altra neo-mamma come Naomi Osaka. La giapponese, due volte campionessa in Australia, aveva dichiarato ancora prima di Wozniacki di voler tornare in campo appena dopo aver concluso la prima maternità.
Stesso discorso per Angelique Kerber, vincitrice del primo Major dell’anno nel 2016: la tedesca ha espresso più volte la volontà di rientrare. La tedesca potrebbe usufruire però del ranking protetto. Chi non si vuole arrendere è Venus Williams che ha ottenuto qualche buon risultato in questo 2023 e cerca di continuare per togliersi qualche altra soddisfazione.
La prossima stagione vedrà anche il rientro di Emma Raducanu dopo tre interventi chirurgici, a entrambi i polsi e alla caviglia: anche la britannica può utilizzare il ranking protetto.
Capitolo a parte riguarda invece Garbine Muguruza e Simona Halep. La spagnola si è presa quest’anno una pausa di riflessione dal tennis, ma nel 2024 vuole tornare a competere. L’iberica è stata finalista degli Open d’Australia nel 2020. Finalista nel 2018 in Australia la rumena, che vedrà scadere la sua sospensione per doping. Tantissime giocatrici in lizza per le sei wild card disponibili: vedremo quali saranno le scelte di Tennis Australia.
Australian Open
Wimbledon: Sonego-Berrettini il ventunesimo derby azzurro negli Slam, Fognini l’italiano ad averne disputati di più
11 Roland Garros, 5 Wimbledon, 3 US Open, un solta volta a Melbourne: così suddivisi i derby italiani nei Majors

A distanza di poco più di tre settimane dal loro incrocio sull’erba di Stoccarda, Lorenzo Sonego e Matteo Berrettini daranno vita, nel primo turno dell’edizione 2023 di Wimbledon, al ventunesimo derby italico che si consumerà nella prestigiosa cornice dei tornei del Grande Slam.
I derby di Wimbledon
Se poi si vuole limitare il campo di analisi al “solo” Church Road, quello tra il torinese ed il romano, sarà il sesto incontro con protagonisti due tennisti azzurri ad affrontarsi nella storia dello Slam londinese che va in scena sul suolo di Sua Maestà. Il capostipite, in tal senso, dei Championships è stato il match di 43 anni fa, correva quindi il 1980, fra Adriano Panatta e Corrado Barazzutti: una partita di secondo turno che vide l’Adriano Nazionale aggiudicarsi la sfida con Barazza, compagno di squadra in Davis, solamente al quinto set per 1-6 6-3 6-4 3-6 6-1. Piccola curiosità relativa al contorno, o se preferite all’antipasto, di quello scontro “nostrano” è rappresentata dal fatto che Corrado al round precedente superando lo statunitense Scott Davis ottenne il primo ed unico successo della carriera sui sacri prati.
Da quella partita fratricida in salsa tricolore sul perfetto manto erboso di SW19, trascorrono 11 lunghi anni prima di poter riammirare – con annesso plotone emotivo che ne consegue – un altro derby italiano nella medesima prova Major: il teatro che ospita lo spettacolo infatti è sempre lo stesso, ancora Wimbledon, ma nel 1991 i “nuovi” volti sono quelli di Omar Camporese e Claudio Pistolesi. Da annotare anche una piccola differenza a livello di momento nel tabellone in cui il duello prende vita, non i trentaduesimi bensì i sessantaquattresimi: alla fine della fiera, però, cambia poco. Vince il bolognese con lo score di 6-1 6-3 2-6 6-3.
Il terzo derby azzurro consumatosi nel torneo più famoso del Pianeta è decisamente più recente, rintracciabile nel primo quinquennio del ventunesimo secolo: era il 2005, e tra un giovane Andreas Seppi ed un esperto Davide Sanguinetti – i 21 anni del bolzanino contro le 33 candeline del viareggino – ad avere la meglio fu il maggiore chilometraggio del tennista toscano che si impose nettamente in scala discendente 6-3 6-2 6-1. Esattamente un anno dopo, dunque con il ritmo dei sorteggi malandrini che accoppia uno contro l’altro esponenti della racchetta del Bel Paese in considerevole aumento rispetto al passato, al 2°T e nel quarto derby verde-bianco-rosso di sempre sull’erba più sublime che esista Daniele Bracciali trionfava in quatto parziali sul padovano Stefano Galvani.
L’ultimo, prima di Sonny-Berretto, è datato 2018 con gli amici “Chicchi” di mille avventure in doppio Simone Bolelli e Fabio Fognini a doversi misurare con le ripercussioni psicologiche che un tale faccia a faccia poteva portare in dote: a spuntarla fu il più forte in quel preciso frame storico delle loro carriere sulle superfici rapide, il ligure staccò il pass per i sedicesimi in virtù del 6-3 6-4 6-1 finale.
Negli altri tre appuntamenti Slam del calendario, l’Italia tennistica nella storia di questo sport ha così distribuito i suoi 20 derby: 11 al Roland Garros, 5 a Wimbledon, 3 allo US Open, 1 all’Australian Open.
Fognini il tennista azzurro ad aver giocato, e vinto, più derby tricolore
Il tennista azzurro che in assoluto ha disputato più volte un derby Slam è il taggiasco Fabio Fognini, la bellezza di 5 scontri con connazionali a tentare di contrastarlo dall’altra parte delle rete sulla lunga distanza: a Melbourne ha sconfitto Salvatore Caruso nel 2021, nella Parigi terrosa ha superato sempre Andy Seppi sia nel 2017 che nel 2019, cinque stagioni orsono all’All England Club la già menzionata vittoria di Fogna si è materializzata a discapito del fido Bolelli. Infine, a completamento del proprio personale Career Grand Slam a livello di derby giocati c’è l’unico KO con Stefano Travaglia a New York nel 2017.
A quota tre derby nei Majors ci sono invece Barazzutti e Seppi; a 2 Bolelli, Bracciali e Sanguinetti.
Vale la pena anche ricordare come nessun derby azzurro Slam sia andato in scena oltre il 3°T, non abbiamo mai assistito ad un ottavo di finale tutto italiano per capirsi. I sedicesimi nella storia – in assoluto, non soltanto nell’Era Open – Majors sono stati 3: De Morpurgo-Bonzi all’Open di Francia del lontanissimo 1929, Paolo Lorenzi – Thomas Fabbiano nel 2017 a Flushing Meadows e dulcis in fundo Lorenzo Musetti contro Marco Cecchinato al RG del 2021, l’ultimo tutt’ora.
Ma adesso siamo pronti per scrivere un altro capitolo, il ventunesimo: Lorenzo Sonego e Matteo Berrettini fateci divertire.
ATP
Numeri: il dominio di Djokovic nel tennis maschile dal 2011 ad oggi
Dalle settimane trascorse al numero uno al confronto contro gli altri grandi: Ferruccio Roberti raccoglie alcuni dati che testimoniano chi sia stato il più grande di quest’era tennistica

62 – Il numero percentuale delle settimane trascorse come 1 ATP da Novak Djokovic dal 4 luglio 2011 -giorno successivo alla prima vittoria di Wimbledon che lo proiettò sulla cima del ranking – a oggi. Una cifra di per sé impressionante che probabilmente sarebbe potuta essere ancora più significativa se il serbo non avesse saltato la seconda parte del 2017 e se l’anno scorso non avesse scelto di mettersi nelle condizioni di non poter partecipare a due Slam e quattro Masters 1000 (e a Wimbledon i punti fossero stati assegnati).
Altri numeri aiutano a comprendere meglio quanto fatto dal serbo dalla seconda metà del 2011 ad oggi: dal luglio di dodici anni fa ha vinto 19 dei 42 Slam (il 45,2%) e 29 dei 75 (38,6%) Masters 1000 a cui ha preso parte. In questo stesso periodo ha vinto 190 dei 245 (77.6%) match disputati contro colleghi nella top ten e, più in generale, si è imposto in 670 dei 768 incontri disputati (l’87,2%, una percentuale che sale al 89.3 considerando solo le partite non giocate sulla terra rossa). Della prima top 20 che lo vide al numero 1 sono rimasti sul circuito Nadal, Murray, Monfils, Gasquet e Wawrinka, mentre in quella attuale solo l’immenso campione maiorchino e Carreno Busta erano già tennisti professionisti nel momento in cui Djokovic salì per la prima volta al numero 1 del mondo.
Non per fare inutili paragoni tra campioni che hanno avuto ciascuno la loro fantastica parabola, ma per comprendere meglio questo approfondimento sul periodo che parte da quando Nole è diventato numero 1, si può osservare come solo Nadal, di un anno più grande di Djokovic, ha avuto numeri in qualche modo paragonabili al serbo. In questo lasso temporale Rafa ha comunque vinto dodici Slam e diciassette Masters 1000, occupando la prima posizione del ranking ATP per 107 settimane, ma perdendo 18 dei 31 scontri diretti giocati con Novak e sconfiggendolo solo 2 delle 14 volte in cui lo ha affrontato lontano dalla terra battuta. Ancora più pesante lo score con l’altro leggendario “big three”, Roger Federer: nato quasi sei anni prima di Djokovic, compiva di lì a un mese 30 anni la prima volta che Nole diventava numero 1 e ha inevitabilmente pagato la differenza d’età. Ad ogni modo, l’immenso campione svizzero nel periodo che stiamo analizzando ha vinto 4 Slam e 11 Masters 1000, è stato numero 1 ATP per 25 settimane complessive e contro Nole ha vinto 9 delle 27 volte in cui si sono confrontati.
Quando domenica scorsa ha sconfitto in finale degli Australian Open Stefanos Tsitsipas il serbo aveva 35 anni 8 mesi e 6 giorni, ma non è un record: sei volte è accaduto che tennisti più anziani del serbo vincessero uno Slam (il primato assoluto è di Ken Rosewall, che vinse gli Australian Open del 1972 avendo compiuto da poco più di un mese i 37 anni). Così come non è un record di longevità il ritorno al numero 1 del ranking ATP da parte di Djokovic: Roger Federer nel giugno 2018 lo è stato a meno di due mesi dal compiere 37 anni. Quel che impressiona di Nole è piuttosto come a quasi 36 anni riesca ad avere non solo elevatissimi picchi di rendimento -non impossibili ai campioni come lui- ma anche di continuità, una caratteristica molto più rara per gli over 35 negli sport professionistici. A tal riguardo basti pensare che sconfiggendo Tsitsipas pochi giorni fa il serbo ha vinto 38 degli ultimi 40 incontri giocati (e tutti gli 11 match nei quali ha sfidato colleghi nella top 10).
Par | Tit. | Fin. | Part. Gioc. | Part. Vin. | Part. Per. | % Vitt. | % set vinti | % game vinti | % t.b. vinti | |
Australian Open | 18 | 10 | 0 | 97 | 89 | 8 | 91.8 | 82.9 | 62.3 | 63.8 |
Roland Garros | 18 | 2 | 4 | 101 | 85 | 16 | 84.2 | 77.1 | 60.2 | 55.9 |
Wimbledon | 17 | 7 | 1 | 96 | 86 | 10 | 89.6 | 78.7 | 58.6 | 67.2 |
US Open | 16 | 3 | 6 | 94 | 81 | 13 | 86.2 | 76.0 | 60.0 | 61.4 |
Indian Wells | 14 | 5 | 1 | 59 | 50 | 9 | 84.7 | 76.3 | 59.7 | 69.6 |
Miami | 13 | 6 | 1 | 51 | 44 | 7 | 86.3 | 82.1 | 61.6 | 83.3 |
Monte Carlo | 15 | 2 | 2 | 48 | 35 | 13 | 72.9 | 67.0 | 58.0 | 80.0 |
Madrid | 12 | 3 | 0 | 39 | 30 | 9 | 76.9 | 69.6 | 56.0 | 50.0 |
Roma | 16 | 6 | 6 | 74 | 64 | 10 | 86.5 | 76.0 | 59.6 | 63.2 |
Montreal/ Toronto | 11 | 4 | 1 | 44 | 37 | 7 | 84.1 | 79.4 | 58.0 | 73.3 |
Cincinnati | 14 | 2 | 5 | 52 | 40 | 12 | 76.9 | 71.1 | 56.3 | 61.1 |
Shanghai | 9 | 4 | 0 | 39 | 34 | 5 | 87.2 | 81.4 | 61.4 | 71.4 |
Parigi Bercy | 16 | 6 | 3 | 54 | 45 | 9 | 83.3 | 74.2 | 58.3 | 70 |
O2 Arena (ATP Finals) | 11 | 4 | 2 | 46 | 34 | 12 | 73.9 | 68.3 | 56.5 | 70.6 |
Dubai | 12 | 5 | 1 | 50 | 43 | 7 | 86.0 | 78.4 | 59.8 | 69.2 |
Non c’è un centrale che ha fatto la storia recente del tennis a non aver conosciuto le vittorie di Novak Djokovic, unico tennista ad aver conquistato almeno due volte tutti gli Slam, tutti i Masters 1000 (e le ATP Finals). Il decimo successo agli Australian Open, torneo che in assoluto ha vinto più di tutti, fa supporre che con ogni probabilità la Rod Laver Arena sia il campo dove si giocherebbe la sua partita della vita. Più per ricapitolare qualche numero della sua carriera a beneficio dei lettori che per ricavare un dato oggettivo (nel susseguirsi delle edizioni di uno stesso torneo cambiano in parte le condizioni di gioco, basti pensare ad esempio alle modifiche apportate alla superficie e/o alle palline), sono andato a recuperare alcune sue statistiche nei tornei più importanti del circuito e in quelli nei quali ha giocato un elevato numero di match, come Dubai. Dalla tabella in cui sono raccolti i dati arriva la conferma che in effetti gli Australian Open sono il torneo in cui Djokovic ha il più alto rendimento e non solo perché è quello a cui ha preso parte più volte (18, così come al Roland Garros). A Melbourne il serbo vanta la miglior percentuale di vittorie rispetto ai match giocati (91.8%) e di set vinti rispetto a quelli disputati (82.9%). Ovviamente, non sorprende che un sette volte vincitore di Wimbledon abbia numeri eccellenti anche sui campi di Church Road, mentre un pochino stupisce che gli Internazionali d’Italia – dove vanta un ottimo score con sei successi e altrettante finali – siano il torneo sul rosso dove si esprime meglio e in assoluto uno dei migliori per il suo rendimento. In ogni caso numeri incredibili: solo a Monte Carlo, Madrid e Cincinnati (la O2 Arena dove si giocavano le Finals è un discorso a parte, vista l’altissima caratura degli avversari) non ha vinto almeno l’80% delle partite. Not too bad…