Riflessioni sul super coach nel tennis: è una figura necessaria per vincere?

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Riflessioni sul super coach nel tennis: è una figura necessaria per vincere?

Super Coach sempre più presenti, ma non tutti i top players ne hanno bisogno

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Carlos Alcaraz e Juan Carlos Ferrero - Montecarlo 2022 (foto Roberto dell'Olivo)
 

La differenza sostanziale che c’è tra un Super Coach e un coach normale nasce semplicemente dalla massima classifica raggiunta in carriera. Il Super Coach è un grande campione del passato che entra nel team per aggiungere qualcosa in più, qualcosa che un coach normale non ha mai provato sulla sua pelle. L’esperienza vissuta negli anni passati, quando il Super Coach era un giocatore, gli consente di diventare una specie di mentore del team. Grazie alla sua figura, può trasmettere la saggezza e l’esperienza necessarie, coltivate sul campo, non solo nel gioco dal punto di vista tecnico-tattico ma anche mentale. Il Super Coach è una figura che può lavorare molto insieme al preparatore mentale, perché ricorda chiaramente le varie difficoltà nella gestione di certe emozioni o situazioni complicate. Spesso è una figura di riferimento che non va a sostituire il ruolo del coach ma garantisce un confronto sicuro su diversi aspetti, per migliore al massimo le potenzialità del giocatore.

La storia del Super Coach

A inizio 2011, Andy Murray ha dato il via alla moda del Super Coach, chiedendo a Ivan Lendl di entrare a far parte del suo team. Il metodo del campione ceco, basato sull’attenzione al dettaglio e sulla crescita dell’autostima, portò Murray al salto di qualità. Dopo la durissima sconfitta a Wimbledon contro Roger Federer nel 2012, Lendl convinse Murray che la strada era quella giusta e che i risultati erano in arrivo. E Lendl aveva ragione: Murray trionfò nella finale Olimpica sul Centre Court (prendendosi la rivincita su Federer) e vinse lo US Open a settembre. L’anno seguente, alzò finalmente la coppa più sofferta, quella di Wimbledon. Dal 2013, dopo aver assistito all’incredibile svolta dello scozese, i Super Coach esplosero nello staff di moltissimi giocatori. Federer ingaggiò Edberg, Djokovic scelse Becker, Cilic chiamò Ivanisevic e Nishikori firmò con Chang.

La maggior parte delle collaborazioni funzionò con ottimi risultati. Federer riuscì a reinventare un gioco che aveva perso efficacia, soprattutto di fronte alla potenza di Nadal e alla solidità di Djokovic e divenne più offensivo. Insieme ad Edberg, chiuse l’anno con 6 titoli ATP (vinse Brisbane, Dubai, Istanbul, Halle, Cincinnati e Basilea).  Djokovic con Becker migliorò nettamente il servizio e dal 2015 iniziò un dominio a dir poco impressionante. In tre anni di collaborazione vinsero 6 titoli slam, 14 Masters 1000, 2 ATP Finals, 2 ATP 500 e un ATP 250. Cilic insieme a Ivanisevic divenne il secondo giocatore croato della storia, dopo il suo Super Coach, a vincere gli US OPEN nel 2014 annientando la concorrenza. Mentre Nishikori, insieme all’ex numero 2 del mondo Michael Chang, è riuscito a raggiungere il suo best ranking di numero 4 del mondo nel 2015.

I Super Coach di oggi

Con il passare del tempo, questa moda non ha fatto altro che crescere. Basta guardare la classifica di oggi e prendere i primi 4 giocatori del mondo: 3 di loro hanno un Super Coach nel proprio team. Carlos Alcaraz, insieme a Juan Carlos Ferrero, ha chiuso il 2022 come il più giovane numero 1 del mondo della storia, prima di conquistare Wimbledon in finale contro il giocatore più vincente del pianeta. Sinner, affiancato anche da Darren Cahill, ha fatto la storia del tennis italiano. Ha chiuso l’anno con 6490 punti, 64 vittorie su 79 match disputati, conquistando 4 titoli ATP di cui un Masters 1000, una semifinale a Wimbledon e la finale delle Finals. Djokovic insieme a Ivanisevic potremmo dire che ha già vinto tutto, tranne il Grande Slam, ma di tempo ce n’è ancora e l’impresa è tutt’altro che impossibile. Infine, l’ultima dimostrazione di cambiamento grazie all’affiancamento di un Super Coach, è stato l’arrivo di Boris Becker, a fine stagione, nel team del numero 8 del mondo: Holger Rune. Dopo un anno complicato che ha certamente portato degli ottimi risultati ma troppo altalenanti, abbiamo visto Rune tornare in campo a Parigi-Bercy nei quarti di finale con una grinta diversa, capace di far tremare, vincendo il tie-break del secondo set, il numero 1 del mondo. Ma i veri risultati li vedremo con l’anno nuovo.

Perché il Super Coach è fondamentale per stare tra i top players? E perché altri giocatori ne possono fare a meno?

Con Stefano Massari, mental coach di Berrettini, abbiamo parlato di un concetto che gira intorno ad una certa arroganza: “Spesso succede che il fatto di diventare un campione, dia ai giocatori un senso di onnipotenza. Quasi come se diventare il più forte a tennis volesse dire diventare il più forte in tutto e saperne sempre più degli altri. Quindi, di fronte a delle personalità così forti, in crescita costante, ci vuole qualcuno in grado di tenerli a bada, qualcuno che riesca a farsi rispettare“. Ed è certamente più facile riuscirci per qualcuno che ha già raggiunto certi traguardi o che ha già vinto più di loro. Proprio per questo, grazie all’esperienza, il Super Coach è in grado di trasmettere al proprio giocatore un senso di rigore fondamentale per non perdersi lungo il cammino. Ma non sempre queste collaborazioni funzionano e trovare il giusto feeling non è mai scontato.

Quando Dominic Thiem aveva assunto Thomas Muster, la collaborazione tra i due non aveva raggiunto neanche un mese, e dopo sole due settimane i due si separarono. Tsitsipas provò prima con Enqvist, poi con Philippoussis, ma entrambi non riuscirono a rimpiazzare la figura di papà Apostolos.  Inoltre, la collaborazione con il Super Coach non dura mai quanto la collaborazione con gli altri membri del team. Questo, perché il confronto continuo tra forti personalità rischia di incrinarsi più facilmente, oltre al fatto che, il super coach, entra a far parte del team per aggiungere delle conoscenze limitate e una volta interiorizzate, diventano parte integrante del giocatore.

Ma nel tennis le regole sono altre, e quella del Super Coach resta solo una scelta personale. Nei primi 8 del mondo, infatti, la metà dei giocatori non ha bisogno di una figura che trasmetta loro l’esperienza e la saggezza acquisita sui palcoscenici del tennis mondiale. Medvedev è il numero 3 del ranking, e fino ad oggi ha conquistato insieme al suo coach Gilles Cervara la posizione di numero 1 del mondo nel 2022 (anche se per sole 16 settimane complessive), 20 titoli ATP e un US Open nel 2021. Anche gli altri top players dei nostri tempi, come Rublev, Zverev, Tsitsipas e Ruud non ne hanno al momento avuto bisogno. Al contrario, molti di loro hanno molta più necessità di avere la famiglia nel team rispetto ad un ex campione. Zverev è stato spesso seguito sia dal fratello Mischa che dal padre Alexander; Tsitsipas non fa altro che ascoltare (forse da troppo ormai) le parole del padre sempre in prima fila; e Ruud ad oggi, non potrebbe immaginare altro allenatore al di fuori di suo padre.

Forse allora, la vera domanda da porsi sarebbe: nel team è meglio un Super Coach o un membro della famiglia?

Se guardiamo i numeri del 2023, la risposta appare quasi evidente.

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