Stan Wawrinka, il turista della vittoria

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Stan Wawrinka, il turista della vittoria

Ha vinto il secondo Slam in altrettante finali e ha dimostrato che più va avanti, più diventa letale. Non si sa mai quale sarà il Wawrinka che scenderà in campo: quello che abbiamo visto ieri è stato il migliore di sempre

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Stan Wawrinka festeggia la vittoria del Roland Garros 2015
 

Leggi l’intervista a Thierry Eon, speaker ufficiale del campo Suzanne Lenglen

Quando, tra venti o trent’anni, chi non avrà avuto la fortuna di vederle ci chiederà di descrivere le vittorie negli Slam di Stan Wawrinka, molti di noi probabilmente rimarranno ammutoliti. Perché condensare in poche parole questo insieme di contraddizioni tennistiche, psicologiche e anche fisiche è davvero difficile. Un anno fa Wawrinka, neo-campione Slam che aveva appena riscritto la sua carriera, usciva dal Roland Garros al primo turno perdendo contro Guillermo Garcia-Lopez un match in cui gli errori non forzati doppiavano i vincenti. L’assestamento dopo la roboante vittoria di Melbourne non è stata facile perché Wawrinka ha fatto fatica ad accettare il ruolo di favorito. Eppure, dopo quella brutta sconfitta parigina, il crescendo di Wawrinka è stato sotto gli occhi di tutti. Solo che era un crescendo che si è manifestato nei tornei che contano e quindi sono stati in pochi ad accorgersene: quarti a Wimbledon, quarti agli US Open, semifinale al Masters, semifinale agli Australian Open e infine una vittoria che, paradossalmente, sorprende ancora di più di quella ottenuta diciannove mesi fa in Australia, quando Wawrinka sembrava ancora un tennista incompiuto. In mezzo ai tornei che contano davvero, invece, lo svizzero è stato quello che abbiamo sempre conosciuto ed è per questo che questa seconda vittoria Slam è tanto sorprendente.

Sulla terra battuta, quest’anno, ha giocato un solo buon match, contro Nadal a Roma. Ma questo 2015 – e il Roland Garros in particolare – ci ha certificato che battere Nadal sulla terra non è un buon termometro per determinare la pericolosità di un tennista. E infatti, il giorno dopo, un nervosissimo Wawrinka si faceva battere in maniera piuttosto severa da Roger Federer. Che cosa è successo da quella semifinale romana alla finale parigina che ha sconquassato ogni certezza di questo 2015? Nulla, perché Stan Wawrinka non è cambiato affatto. Il suo tennis è sempre quello: scintillante, potente, spettacolare ma anche precipitoso, irregolare e falloso. Quante volte, vedendolo incrociare con quello spettacolare rovescio ad una mano che utilizzeremo come metro di paragone se qualcuno avrà ancora il coraggio di usare questo colpo anacronistico, abbiamo dovuto trattenere gli “ooooh” di meraviglia? E quante altre, invece, ci siamo disperati per una volée in rete, per un dritto sugli spalti, per uno smash in corridoio? Il bello di vedere giocare Wawrinka è proprio questo: non sai mai quale versione dello svizzero scenderà in campo. Quella che abbiamo visto agli Australian Open un anno fa, per esempio, non è più scesa in campo per più di tre partite di seguito ma ci ha regalato, da allora fino all’inizio di questo Roland Garros, delle partite memorabili o delle prestazioni impressionanti: i cinque set con Nishikori a New York, i tre set con Federer al Masters e la tremenda vendetta su Nishikori agli Australian Open, dominato su ogni aspetto del gioco in meno di due ore.

Nella finale di ieri è stato il primo game a dirci che quello sceso in campo assomigliava molto al tennista che ha lasciato complessivamente un set (al tie-break) a Gilles Simon, Roger Federer e Jo-Wilfried Tsonga. Lo scambio di 39 colpi – che si rivelerà poi il più lungo del match – ha mandato un messaggio forte e chiaro a Djokovic: da fondo non ti temo. Aver perso il primo set – il terzo del torneo – non ha cambiato i piani di Stan, che pian piano ha acquisitito fiducia col servizio, grande assente del primo parziale. Quello che abbiamo visto dal secondo set in poi è quel Wawrinka che abbiamo solo potuto immaginare contro Nadal a Melbourne. Dopo quella vittoria, sono stati in molto a domandarsi quanto sarebbe durato il livello di un tennista apparso stratosferico ma che ha giocato ad armi pari per solo un set e mezzo. A Parigi abbiamo scoperto che sarebbe potuto andare avanti per un bel pezzo. Il game che gli ha portato il break nel terzo set (con quattro vincenti di fila) è così incredibilmente speculare a quello che gli è costato il primo (con tre errori non forzati e un doppio fallo) da diventare il simbolo dell’esplosiva impresa dello svizzero e di tutto ciò che a capace di combinare su un campo da tennis, nella buona e nella cattiva sorte.

È logico che Stan Wawrinka abbia vinto la migliore partita che abbia mai giocato: i picchi di cui è capace non sono alla portata di nessuno nel circuito. Perché quando Wawrinka decide che è ora di vincere, allora vince. Il problema, che rende questo tennista così affascinante, è che non sta a lui decidere, perché nemmeno lui sa davvero che cosa succederà quando comincerà la partita. Può capitare che annulli quattro set point consecutivi a Rafael Nadal o che si becchi un 6-4 6-2 in meno di un’ora da Roger Federer il giorno dopo. Può capitare che perda a Montecarlo contro Grigor Dimitrov vincendo appena tre game e che a Parigi rifili un parziale di sei game a uno al miglior tennista del mondo. È un turista della vittoria: per buona parte dell’anno è preda delle sue angosce e dei suoi tremori; quando si rilassa, non c’è nessuno che possa frapporsi tra lui e il trofeo. Wawrinka ha sottolineato in conferenza stampa come il torneo di Montecarlo vinto l’anno scorso sia stato fondamentale per la sua maturità tennistica, così scossa da quel terremoto che è stato l’Australian Open 2014. A Montecarlo, ha imparato a reagire positivamente alle delusioni di due mesi in cui ha dovuto riassestare sé stesso prima del suo tennis. A Parigi ha dimostrato che la lezione di Montecarlo è stata assorbita totalmente. Se Gasquet è un petardo difettoso, Wawrinka è invece un petardo molto pericoloso perché ti potrebbe esplodere in mano senza preavviso. Meglio maneggiarlo con cura.

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