Lo confesso, per Petra Kvitova, mancina, ex numero due del mondo nel 2011, nell’anno del primo trionfo a Wimbledon, e attualmente alla posizione numero 7 del ranking WTA, ho sempre avuto un debole. Dal punto di vista tecnico, stiamo parlando della colpitrice forse migliore di tutte, perfetta in ogni fondamentale, capace di accelerare al massimo della velocità di impatto e di anticipo trovando nel contempo angoli stretti e aperture lungolinea con la stessa efficacia. Uno splendido prodotto della grandissima scuola e tradizione tennistica della Repubblica Ceca, la stessa che ci ha regalato, in ambito femminile, giocatrici tecnicamente sontuose come Novotna e Navratilova, e più recentemente le ottime Pliskova e Safarova. Tra gli uomini, rimanendo all’attualità, basti vedere il modo in cui colpisce i suoi ineccepibili fondamentali un tipo come Tomas Berdych. Alto, altissimo livello.
Ma di gente che impatta bene e spinge facile, alla fin fine, le classifiche mondiali ne sono piene, come è ovvio e giusto aspettarsi dai migliori giocatori del pianeta. Quello che rende Petra, almeno a mio avviso, una persona affascinante prima ancora che una campionessa sportiva da ammirare, sono i suoi modi garbati, gli occhioni gentili, le espressioni del viso che trasmettono dolcezza e simpatia, in uno sport dove l’aggressività e la grinta, per non dire l’arroganza e la vera e propria cattiveria (agonistiche, ovviamente) sono elementi fondamentali per emergere. E di grinta Petra ne ha eccome, non si arriva a certi livelli senza attitudine vincente: ma questa complessità di carattere, questa coesistenza di due anime, la “belva da campo” e la “sognatrice timida” (non trovo altra definizione), le ha creato in passato diversi problemi. Purtroppo, è molto meglio per il tennis essere caratterialmente monolitici, poco strutturati emotivamente, e dotati di scarsa curiosità intellettuale, aereo albergo allenamento match, e finita lì. Pensare troppo, in uno sport massacrante mentalmente come il nostro, è pericoloso, ci si può fare veramente male da soli. E le crisi di convinzione e di risultati che hanno sempre caratterizzato la carriera di Petra le conosciamo tutti.
Prima che la canicola dell’estate australiana calasse definitivamente su Melbourne Park, quindi alle nove di mattina, con il sole già alto (sale molto di più e prima che nel nostro emisfero, o almeno così mi sembra) ma non ancora “cattivo”, e dovendo ottemperare ai doveri di cronaca nazionalista seguendo Sara Errani alle 11, stesso orario dell’esordio di Petra nel torneo (bella vittoria – e rivincita – contro la thailandese Luksika Kumkhum, dal tennis quadrumane più strano del nome se possibile), la scelta del campo dove bermi il choco-frappuccino Lindt (oh yes, e non commento oltre) è stata ovvia: court 22, da Kvitova.
Il warm-up pre-match, riscaldamento tecnico-fisico di norma eseguito un’oretta e mezza prima dell’impegno agonistico, è una facenda abbastanza delicata, fatto male – ovvero senza ritmo, continuità e intensità – rischia di mettere “fuori palla” il giocatore, ma chiaramente bisogna stare anche bene attenti a non caricare troppo, sprecando energie sia fisiche che mentali. Data questa premessa, la sessione a cui ho assistito, da solo insieme a sparring e coach, mi ha immensamente stupito in positivo, e letteralmente messo di buon umore quasi per transfert. Perchè la mia prediletta “principessa ombrosa”, che aveva impostato il training sulle diagonali in avanzamento, sequenze prima di dritti e poi di rovesci a tagliare il campo in verticale con successive chiusure al volo, è apparsa allegra e serena come l’avevo vista davvero poche volte mentre giocava o si allenava. E Petra quando sta bene di testa può essere una mina vagante per chiunque.
Scherzi e complicità con il team, risate e serenità, senza comunque perdere di vista il tennis. Una colpitrice del calibro di Kvitova che lavora al cesto su traiettorie prefissate è notevolissima da vedere, osservando le foto inserite in testa e nel pezzo vediamo splendide sequenze di dritti e rovesci in dinamica, in avanzamento verticale preciso e potente, con la caratteristica sbracciata di Petra, che la porta a sviluppare i finali molto in alto (guardate il gomito dove finisce nel dritto) ma allo stesso tempo assai linearmente, attraversando la palla in modo perfetto con una efficacissima fase di ritenzione della palla sulle corde. Potenti e precisi anche gli appoggi, nei frame a destra delle sequenze si nota bene la ricaduta dalla sospensione in fase di impatto sul piede sinistro, che nel rovescio arriva addirittura ad essere ruotato in dentro a compensare l’azione del busto spalle “tenendo lì” l’equilibrio.
Ma quello che mi ha messo tanto di buonumore lo potete vedere qui sopra, osservando non i movimenti, ma il viso di Petra. E’ una cosa tanto, ma tanto rara, e insieme carina, da vedere in una professionista di livello mondiale che si sta preparando a meno di due ore da un match importante. Per sicurezza, e magari per chi legge Ubitennis da dispositivi mobili, chiudo questa puntata della rubrica tecnica da bordocampo con l’ultima immagine ingrandita. E chiedo: cosa c’è di più bello, da riconciliarsi con il tennis e con lo sport in generale, di Petra Kvitova che spara un lungolinea di rovescio a trecento all’ora SORRIDENDO mentre va sulla palla? Per me, praticamente niente. Grandiosa.