La racchetta come nuovo bastone per la vecchiaia

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La racchetta come nuovo bastone per la vecchiaia

Con qualche dato alla mano cerchiamo di capire i motivi che stanno portando ad un’innalzamento dell’età media nel tennis professionistico

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Di articoli sui tennisti della nuova generazione ne sono stati scritti parecchi, sono stati analizzati da un punto di vista tattico, emotivo e gestionale. L’unica cosa che si potrebbe aggiungere all’argomento – senza pretendere troppo dai chiamati in causa, anzi mitigando un po’ le critiche che hanno ricevuto dal pubblico più pretenzioso – è che in ogni aula c’è quello che si siede al primo banco e non si perde mai una lezione, chi si fa accompagnare a scuola dal fratello che sta all’ultimo anno, chi ha già una mentalità da adulto e pensa a mettere su famiglia, e chi ogni tanto risponde male a professori e compagni e si becca una sospensione. La certezza è che alla fine tutti, ripetenti e non, supereranno l’esame di maturità. Tuttavia quelli della #NextGen (così vengono chiamati sui social) non ci sono ancora riusciti; forse nel prosieguo del 2017 lasceranno la loro impronta, ma per il momento basta parlare di loro. Con questo pezzo si vorrebbe focalizzare l’attenzione su un’altra classe di tennisti, quelli che non solo hanno superato da tempo la maturità, ma hanno persino concluso i loro studi universitari e nonostante ciò si ostinano imperterriti a frequentare gli stessi luoghi, aspettandosi forse una laurea ad honorem che tanto meriterebbero: ci riferiamo agli ultra-trentenni che in questi anni stanno facendo scintille sui campi del circuito maggiore.

Con l’accumularsi dell’esperienza diventa meno complicato affrontare le sfide della vita, e il tennis non fa eccezione. Se un giocatore riesce ad affiancare, a questa abilità, una grande prestanza fisica e qualche piccolo accorgimento tattico, allora i risultati possono arrivare anche ben oltre i 30 anni. Questo trend lo si può riscontrare a partire dai piani alti: l’attuale numero 1, quando è salito sul trono per la prima volta a novembre, era uno dei più vecchi di sempre, mentre gli ultimi due Slam sono stati vinti da due tennisti che insieme fanno 67 anni. Allargando un po’ il quadro e focalizzandoci sulla top 10, i dati diventano ancora più interessanti. Nel grafico sottostante viene riportata l’età media dei primi 10 giocatori del mondo dal 1973 (un’anno dopo la creazione dell’ATP) fino ai giorni nostri.

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È possibile notare come dalla meta degli anni ’80 fino ai primi anni ’90 c’è stato un periodo di assestamento caratterizzato da molti alti e bassi. Mentre dal 1992 in poi l’età media non ha fatto altro che aumentare (salvo due casi: all’inizio del 2003 con Roddick, Federer e Hewitt, e nel 2009 grazie all’exploit di del Potro). Con qualche numero alla mano la cosa è ancora più lampante: nel 1992 l’età media dei primi 10 giocatori al mondo era di 23,2 anni, nel 2002 di 24,5 anni e sul finire del 2016 addirittura 28,2 con dei picchi che hanno raggiunto anche i 28,6 anni.

Il grafico successivo invece mette in paragone, a partire dal 2000, l’età media della top 10 (in rosso) con quella dei top 50 (in blu), e si nota subito come la crescita di quest’ultima sia ancora più regolare.

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Ampliando ulteriormente lo sguardo invece, osserviamo come l’età media dei primi 100 giocatori al mondo sia aumentata a partire dalla meta degli anni ’80 (proprio il periodo in cui le racchette di grafite iniziavano a venir utilizzate dalla maggior parte dei tennisti).

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Prendendo come punti di riferimento ancora una volta questi tre momenti significativi (1992, 2002 e la situazione attuale), ecco altri dati che probabilmente vi stupiranno:

nel 1992 c’erano 35 giocatori nella top 100 con meno di 23 anni (6 in top 10); nel 2002 ne avevamo 29, e al momento sono solo 12 gli under-23;

nel 1992 c’erano appena 3 tennisti con più di 32 anni tra i primi 100, dieci anni dopo erano addirittura scesi a 2, mentre ora sono ben 23 i giocatori over-32.

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Sono stati evidenziati i giocatori ancora in attività. Curioso come nel 1992 troviamo ancora in classifica i nomi di Vilas, Borg e Bahrami, per non parlare di Jimmy Connors alla posizione numero 84, a 40 anni (cosa che il pubblico augura caldamente a Federer). Interessante anche il fatto che Agassi è l’unico ad essere in top 10 sia nel 1992 prima che compiesse 23 anni, che nel 2002 quando ne aveva più di 32.

Se dovessimo fare qualche nome che rappresenti appieno questa nuova tendenza il primo che salta subito in mente è quello di Karlovic, capace lo scorso anno di vincere un torneo a 36 anni (e noi gli abbiamo chiesto come ci si riesce), ma non va dimenticato neanche l’estroso Florian Mayer che è tornato a trionfare ad Halle dopo un lungo stop per infortunio. Siamo in dovere di nominare anche il francese Stéphane Robert che lo scorso ottobre, a 36 anni, ha raggiunto il suo best ranking alla posizione numero 50, un personaggio poco conosciuto ma di grande carisma. E poi ovviamente il nostro connazionale Paolo Lorenzi, il quale sta giocando il miglior tennis della carriera ad un’età in cui altri hanno già appeso la racchetta al chiodo da tempo. Sembrerebbe che, come accade con il vino, più passano gli anni e più la qualità del loro gioco sale.

In quest’epoca dove tutto è fast e le racchette si alleggeriscono, le superfici si omologano e le palline viaggiano più veloci, una cosa però sta seguendo un processo inverso. Forse l’istinto e l’atletismo non sono più sufficienti, o quantomeno vanno affiancati da altre doti che solo l’età può dare. La bilancia, con la testa su un braccio e il corpo sull’altro, sta tornando a pendere sul primo piatto e i giovani ancora incapaci di gestire il proprio corpo – vedi Thiem – o di gestire la loro mente – vedi Kyrgios – cadono sotto i colpi inflitti da chi ha più esperienza di loro. Si potrebbe giustamente affermare che i più anziani possono sfruttare conoscenze mediche che magari in passato non c’erano, preservando maggiormente il loro corpo e recuperando più in fretta. Però ci piace pensare, con una punta di nostalgia, che forse sotto sotto il tennis sta tornando ad essere un gioco dove è la testa che conta (e questa non vuol essere una frecciata nei confronti dei grandi servitori o di chi ha un gioco monotono, bensì a chi propone innovazioni che poco si sposano con la tradizione).

Dopo aver elencato questa serie di (in)utili statistiche e aver divagato sull’argomento, non ci resta che spendere due parole su una componente che fino a questo momento non abbiamo nominato ma che è il nucleo del discorso: il tempo. Tutte le speculazioni sul regolamento o sulle innovazioni tecnologiche, solo il tempo sa cosa accadrà (o gli Dei del tennis per i religiosi). A noi osservatori – a volte anche poco attenti – non resta altro che osservare, e magari fare delle previsioni con la consapevolezza che l’unico obiettivo che possiamo porci è, come sempre, limitare al minimo gli errori.

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