Focus
La settimana degli italiani: se non ci fossero le donne…
Brilla ancora Schiavone. La Leonessa si arrende soltanto in finale a Rabat. Positiva anche la settimana di Errani e Giorgi. Gli uomini? 5 sconfitte su 5 al primo turno

Se non ci fossero le donne, bisognerebbe inventarle: in una settimana in cui i nostri uomini non portano a casa neanche un successo al primo turno, rimediando in alcuni casi – vedasi Fognini e Lorenzi – sconfitte più che deludenti, il nostro settore femminile, sino ad un mese fa in assoluta crisi di risultati, regala più di un motivo per sorridere a chi ha a cuore le sorti del tennis azzurro. Ovviamente, tra tutte le belle notizie, spicca la storia di Francesca Schiavone: sino a un mese fa, quando, dopo un inizio orribile di 2017 – durante il quale non aveva mai battuto nessuna top 100 né tantomeno superato un turno nel circuito maggiore – era impossibile prevedere che si producesse in un exploit come quello compiuto negli ultimi 30 giorni. Francesca, lo avevamo anche scritto in questa rubrica, era ammirevole per la grande passione profusa nel suo annunciato ultimo anno di carriera professionistica: mostrava un grande amore per il tennis che, a quasi 37 anni e dopo una carriera ventennale ad altissimo livello, ancora l’animava e le consentiva di fare sacrifici girando il mondo, davanti a pochi spettatori, nelle qualificazioni dei grandi tornei o nei primi turni di piccoli eventi del circuito. Non era immaginabile che, improvvisamente, si producesse in risultati tecnici del livello di quelli raggiunti, sebbene non sia di certo la prima volta che accade una cosa simile nella storia di questo nostro pazzo sport: riuscire a vincere nove partite di fila nel circuito maggiore non capita che di rado, qualunque sia il livello delle avversarie affrontate.
Dopo il successo nell’International di Bogotà di metà aprile, a Rabat, la capitale amministrativa del Marocco, la prima giocatrice italiana a vincere uno Slam (Roland Garros 2010) e con il best career ranking più alto in assoluto per una tennista azzurra (4 del mondo) ha confermato di essere rinata, giocando un tennis che da almeno 3 anni non riusciva a mettere in campo con la continuità mostrata in questo mese. Un rendimento tale da consentirle di raggiungere la seconda finale WTA consecutiva, come non le accadeva dall’ottobre 2009, quando vi riuscì prima a Osaka e poi a Mosca. Un grande cammino quello della milanese, che sarà adesso la seconda giocatrice italiana nel ranking, rendendo ancora più opinabile di quanto non fosse già sembrata, la decisione della direzione degli Internazionali d’Italia di non concederle la settimana prossima una wild card al Foro Italico. Tra l’altro, come in Colombia, anche in Nord Africa la nostra campionessa ha ricevuto un invito dagli organizzatori per accedere al tabellone principale e nuovamente Francesca ha mostrato di meritarlo, rispondendo nella maniera migliore, sul campo, alla fiducia accordatale e alla stima per la sua grande carriera. Un cammino, quello in Marocco, iniziato subito molto bene, sconfiggendo, dopo la Bertens a Bogotà, un’altra top 40, la 23enne ungherese Timea Babos, 4°testa di serie del tabellone, col punteggio di 6-4 6-1 in 1 ora e 28 minuti. Francesca ha continuato poi con la stessa sicurezza nel turno successivo, quando non ha lasciato scampo ad un’avversaria dal ranking ben più modesto, la 25enne canadese Gabriela Dabrowski, n° 348 WTA, proveniente dalle qualificazioni ed eliminata con un duplice 6-4 in 1 ora e 39 minuti. Maggiori difficoltà vi sono state per sconfiggere ai quarti la 29enne teutonica Tatiana Marja, 104 WTA: nonostante l’unico precedente tra le due fosse stato di facilissimo appannaggio della Schiavone (l’anno scorso a Rio, quando poi la milanese vinse anche il titolo), questa volta l’azzurra ha dovuto cedere un set prima di trionfare col punteggio di 1-6 6-4 6-3 in 1 ora e 54 minuti di partita. Varvara Lepchenko, 30enne uzbeka naturalizzata statunitense, 74 WTA, non era assolutamente un avversario facile in semifinale per la nostra giocatrice, come testimoniato dai precedenti, condotti 2-1 dalla sua avversaria: spiccava un dolorosissimo 8-6 al terzo al Roland Garros 2012, a favore della Lepchenko. Francesca però, forte della sua eccellente condizione psico-fisica, è riuscita a fare benissimo, conquistando la finale dopo 2 ore ed un 1 minuto complessivi di due set molto lottati, archiviati col punteggio di 7-5 6-4. L’atto finale, contro una top 20 in forma come Anastasia Pavlyuchenkova, vincitrice in finale sulla Kerber a Monterrey, in Messico, il mese scorso, si è rivelato purtroppo uno scoglio troppo duro per la Leonessa, che è uscita comunque dal campo con l’onore delle armi, facendo sudare la 25enne russa, vincitrice di 4 dei 7 precedenti (e degli ultimi 3), la quale ha vinto il suo decimo titolo solo con un duplice 7-5, dopo 1 ora e 43 minuti di partita molto equilibrata, decisa per pochi punti.
Buone notizie arrivano anche da Sara Errani, in lenta, ma continua ripresa: l’emiliana, anch’essa iscritta alll’International di Rabat, era questa settimana ancora fuori dalla top 100 (102) e non raggiungeva una semifinale da Charleston 2016: vi è riuscita grazie all’abnegazione e l’umiltà che sempre l’hanno contraddistinta e che le hanno consentito di iscriversi, dopo Bogotà e Istanbul, ad altri piccoli International WTA sulla terra, come lo era anche quello marocchino. Sara era conscia di avere preziose chance di recuperare posizioni in classifica e fiducia nel suo tennis, tramite successi, seppur contro avversarie spesso modeste, come quelle del suo primo turno a Rabat, quando ha sconfitto con un duplice 6-3 in 1 ora e 23 minuti la wild card Anna Blinkova, 18enne russa ancora acerba, al 127° posto del ranking WTA. La crescita del rendimento di Sara si è però riscontrata contro Alison Rike, 30enne statunitense contro la quale era 1 pari nei precedenti, ma, soprattutto tennista dalla buona classifica, 40 WTA: un avversaria con questo ranking non era sconfitta dalla finalista del Roland Garros 2012 addirittura dallo scorso agosto, quando alle Olimpiadi, l’ex numero 1 di doppio sconfisse di fila Bertens e Strycova, prima di arrendersi alla Kasatkina. A Rabat, dopo un’infinita battaglia di 2 ore e 56 minuti, la nostra tennista ne è venuta fuori alla grande, con un successo archiviato col punteggio di 7-6(7) 6-7(4) 6-2. Una vittoria che si è rivelato un trampolino di lancio per raccogliere nei quarti un successo ancora più rilevante dal punto di vista tecnico, come quello rappresentato da Daria Gavrilova, 23enne russa naturalizzata australiana, n°26 del mondo famosa al pubblico italiano per avere raggiunto nel 2015 le semi al Foro Italico. La tennista aussie non era mai stata sconfitta in carriera dall’emiliana nei due precedenti, che questa volta ha però sfatato il tabù con una prova degna della Errani che abbiamo conosciuto sino ad un paio di anni fa, una prestazione che ha permesso l’importante vittoria con lo score 7-6(5) 6-4 in 1 ora e 54 minuti. In semifinale, contro la prima testa di serie del torneo, Anastasia Pavlyuchenkova, 16 WTA ed in vantaggio 3-2 nei precedenti, la nostra giocatrice ha fatto partita pari solo nel primo set, prima di cedere nettamente, col punteggio di 6-4 6-0 in 1 ora e 17 minuti: non sapremo mai se e quanto abbia influito in Sara il pensiero di dover partecipare l’indomani alle quali di un importantissimo Premier Mandatory come quello di Madrid.
Le speranze del tennis in gonnella azzurro nel futuro prossimo, basta vedere la classifica WTA – nella quale non si intravedono nuove leve capaci quantomeno nel prossimo paio d’anni di arrivare nella top 50 – si basano tuttavia in gran parte sulla maturazione di Camila Giorgi, ancora 25enne. La maceratese, dopo che a gennaio era partita bene con le semifinali a Shenzhen, quest’anno è stata frenata per un paio di mesi da problemi alla schiena che, a partire da febbraio, l’hanno costretta a giocare poco e male, facendola scivolare al 99° posto del ranking WTA. In questi giorni a Praga la Giorgi ha confermato nel bene e nel male quel che si sa ormai bene di lei: l’allieva di papà Sergio, difatti, può battere chiunque (o quasi) e perdere da avversarie modeste, molto meno dotate tecnicamente di lei, a causa soprattutto di quell’incapacità (volontaria, stando a quel che lei stessa dichiara) di adottare schemi alternativi nel corso di un match, assecondandone, come fanno quasi tutti, i vari momenti. Nell’International di Praga, intanto, ha ottenuto la vittoria più prestigiosa della sua carriera in rapporto alla classifica dell’avversaria: Camila, non nuova a battere top ten di grido (come Sharapova ad Indian Wells nel 2014) contro Karolina Pliskova, quarta giocatrice al mondo, è stata praticamente impeccabile nel corso del match, al netto di una prestazione non brillante della beniamina di casa, ed ha vinto col punteggio di 7-6(6) 6-2 in 1 ora e 38 minuti. E dire che nella capitale ceca Camila è stata brava anche a superare positivamente la più classica delle prove del nove, rappresentata dal secondo turno contro la cinese Quiang Wang, n°99 WTA, già battuta molto nettamente a Shenzhen quest’anno. A Praga, è stato tutto più complesso, ma è comunque arrivato il successo: Camila ha perso il primo set prima di ritrovare la quadra e vincere 4-6 6-3 6-2 in 1 ora e 55 minuti. Ai quarti, dove ha affrontato Mona Barthel, 25enne tedesca al 99°posto del ranking WTA, già sconfitta due volte l’anno scorso dalla maceratese (che aveva però perso il primo dei tre precedenti, nel 2011) ha deluso un po’ tutti, tanto è vero che ad alcuni era balenato il pensiero che la nostra tennista avesse preferito andare a giocare le quali di Madrid. Tuttavia non si è iscritta al Premier Mandatory spagnolo, smentendo definitivamente tale ipotesi. Lenisce solamente in parte il rimpianto (nel secondo set è stata avanti 5-2 ed ha poi avuto 3 set point nel tie- break) per l’occasione persa dalla Giorgi, (sconfitta 7-6(0) 7-6(8) in 1 ora e 59 minuti) la circostanza che poi la Barthel abbia confermato di aver giocato su ottimi livelli durante tutta la settimana, vincendo il quarto titolo della sua carriera, dopo aver sconfitto Strycova in semi e Kristyna Pliskova in finale.
Se le donne, dunque, hanno portato a casa una finale, una semi ed un quarto, un bottino assolutamente positivo, tanto più in questi tempi grami, gli uomini non sono riusciti minimamente a stare in scia alle loro colleghe, rimediando addirittura cinque sconfitte in cinque incontri. Deludono soprattutto i primi due nostri giocatori, Fognini e Lorenzi, iscritti rispettivamente agli ATP 250 di Monaco ed Istanbul, due tornei dall’entry list modesta (in Baviera vi erano solo due top 20 ed altri due top 30, in Turchia, a parte Raonic e Cilic, non vi erano ulteriori top 30) nei quali erano accreditati di ottime teste di serie, delle quali potevano approfittare per guadagnare preziosi punti in classifica. Al Bmw Open, Fabio, che al primo turno aveva avuto un bye in qualità di quarta testa di serie del tabellone, ha affrontato Guido Pella, 156 ATP, il ventiseienne argentino contro in quale lo scorso febbraio, nel tie contro la selezione albiceleste valevole per il primo turno di Coppa Davis a Buenos Aires, era stato autore di una grande rimonta da due set sotto, che aveva dato il punto decisivo all’Italia per l’accesso ai quarti del World Group di Davis. A dispetto della classifica modesta del sudamericano, dunque, non era assolutamente un match facile, anche tenendo conto dell’unico altro precedente tra i due, vinto da Pella nel 2013 sulla terra rossa di San Paolo: da qui a giustificare però una sconfitta cosi pesante come quella di Fabio, uscito dal campo dopo appena 66 minuti di una partita il cui punteggio, 6-2 6-3 a favore del mancino argentino, è magari poco veritiero per quanto è netto, ce ne passa. Pella ha giocato bene ed ha dimostrato, arrivando sino alla finale, di avere una classifica bugiarda, ma Fabio non può perdere così, se ha ambizioni di tornare dove è stato dal 2013 al 2015, ovvero nella top 20. La terza eliminazione consecutiva al primo turno – dopo quella contro Carreno Busta a Montecarlo e Kuznetsov a Budapest – è un brutto colpo inaspettato per il ligure che a Miami sembrava aver trovato il modo per esprimersi su ottimi livelli e che con due sconfitte contro giocatori non classificati nella top 80, ha sprecato un’ottima chance e perso punti in classifica (l’anno scorso era arrivato in semi a Monaco, perdendo da Kohlshreiber). L’unica buona notizia per il numero 1 azzurro, imminente padre, è che, nel mese che separa Madrid dal Roland Garros, non abbia punti da difendere.
Non è andata meglio al nostro numero 2, Paolo Lorenzi, iscritto a Istanbul, dove era accreditato della quarta testa di serie, in virtù della quale aveva usufruito di un bye al primo turno: ha dunque esordito contro il 21enne serbo Laslo Djere, 153 ATP, che lo ha a sorpresa eliminato col punteggio di 6-2 6-3 in 1 ora e 17 minuti. Una sconfitta inaspettata per il 35enne toscano, che di solito non fallisce gli appuntamenti nei quali è opposto a giocatori classificati nel ranking ben al di sotto di lui: al netto del rendimento in ascesa del giovane connazionale di Djokovic, non è da escludere che Paolo non fosse al meglio, stante anche la successiva decisione di cancellarsi dal Masters 1000 di Madrid. Stessa sorte di Fognini e Lorenzi è poi toccata al terzo ed ultimo azzurro attualmente nella top 100, Andreas Seppi: il bolzanino, ancora incapace di vincere due partite di fila dopo i suoi ottimi Australian Open e reduce sulla terra da sconfitte nette (ha perso malamente contro Alexander Zverev a Montecarlo e da Carreno Busta a Barcellona), si è iscritto, come fatto dal ligure, al Bmw Open di Monaco di Baviera (hanno anche giocato assieme, senza troppa fortuna, il doppio). In singolare ha affrontato il trentaduenne mancino argentino Horacio Zeballos, n°63 ATP reduce dalle semifinali raggiunte all’ATP 500 di Barcellona la settimana precedente. Andreas, che conduceva 2-1 i precedenti (sebbene una sua vittoria sia “falsata” dal ritiro nel corso del primo set da parte dell’argentino, nel 2013 sulla terra di Umago), ha purtroppo ceduto alla distanza con il sudamericano, che poi sarebbe giunto sino ai quarti, vincitore 5-7 6-2 7-5 in 2 ore e 9 minuti di partita.
Risultano infine indubbiamente meno amare le sconfitte rimediate da Riccardo Bellotti, 25 anni e 204 ATP, e di Salvatore Caruso, classe 1993 e 206°giocatore del ranking: entrambi si sono per la prima volta in carriera qualificati in un torneo del circuito maggiore, rispettivamente a Istanbul ed Estoril. Bellotti, tra l’altro, qualificatosi dopo aver sconfitto nel tabellone cadetto al primo turno 6-3 6-1 in 66 minuti Andres Molteni, 29enne argentino n°750 ATP, ed al turno decisivo 6-2 6-1 in 1 ora e 13 minuti il 25enne lituano Laurynas Grigelis, 254 ATP, ha anche qualche rimpianto (ha servito per il match sul 5-4 del secondo set) per come è andata la partita, persa in 2 ore e 6 minuti contro il brasiliano Rogerio Dutra Silva, 69 ATP. Meno recriminazioni per il siciliano Caruso, eliminato d’acchito da un ex top ten come il sudafricano Kevin Anderson, attualmente 66 ATP, a causa degli infortuni che hanno condizionato il suo 2016: Salvatore ha perso in 73 minuti col punteggio di 6-2 6-3, ma può dirsi soddisfatto per aver guadagnato l’accesso nel tabellone principale, dopo aver sconfitto prima in un derby tricolore Federico Gaio, 161 ATP, col punteggio di 6-1 6-2 in 56 minuti e poi il 29enne transalpino Kenny De Schepper con lo score di 6-3 7-6(1) in 1 ora e 39 minuti.
Flash
Roland Garros: Fritz vince e zittisce il pubblico del Suzanne Lenglen. Anche in Francia si diffonde l’indisciplina sugli spalti
Uno scatenato Taylor Fritz, al termine del successo nel 2°T del suo torneo contro il francese Arthur Rinderknech, risponde al pubblico che era andato oltre le righe

Taylor Fritz ha sconfitto Arthur Rinderknech, l’ultimo tennista francese rimasto in gara considerando anche il tabellone femminile, con lo score di 2-6 6-4 6-3 6-4 ed eguagliando così il suo miglior risultato al Roland Garros.
Il giocatore statunitense, alla sua settima partecipazione allo Slam parigino, ha messo in campo il suo solito tennis composto di tante accelerazioni e ritmo elevato per ottenere in 2h50′, quella che per il californiano è stata la 31esima vittoria stagionale.
La nona testa di serie del singolare maschile, avanzata al 3°T dopo il successo sul 27enne di Gassin, adesso incrocerà la racchetta con l’argentino e tds n. 23 Francisco Cerundolo che da par suo ha superato il lucky loser tedesco Yannick Hanfmann per 6-3 6-3 6-4 (uno dei protagonisti della Rivoluzione dei Qualificatati materializzatasi nelle ultime settimane di Tour).
Ma la vera attrazione dell’intera sfida, in verità, non è stata rappresentata tanto dal canovaccio tattico e tecnico della partita, abbastanza lineare con le premesse della vigilia, quanto più da un epilogo scoppiettante sul piano emotivo e decisamente inaspettato. Infatti, al termine del match, sul Suzanne Lenglen è andato in scena un delirio inverecondo.
Il 25enne di San Diego, numero 8 del ranking ATP, è riuscito a venire a capo di uno scontro che l’aveva visto andare inizialmente in svantaggio perdendo il set inaugurale in malo modo, salvo poi portare a compimento la rimonta e centrare l’affermazione finale grazie allo spessore differente in termini di livello complessivo espresso che è stato capace di dimostrare rispetto al rivale. Un compito per nulla semplice sin dai primi scampoli di partita per l’americano, che l’ha costretto a dover far fronte in ogni singolo quindici allo sfrenato tifo del pubblico francese che gremiva le tribune del secondo Court di Porte d’Auteuil.
Un supporto incondizionato per il loro beniamino di casa, e pienamente avverso a colui che chiaramente invece era stato posto nelle vesti del nemico di serata: giocare in trasferta, con un clima tipicamente da Coppa Davis e perdipiù all’interno di un contesto di aficionados della racchetta tra più sciovinisti del panorama mondiale, non è per tutti; c’è chi si esalta in certi ambienti – chiedere per conferma a Lorenzo Sonego – e chi al contrario ne subisce il contraccolpo psicologico. Fritz è stato capace di soffrire in silenzio fino a giungere al tanto agognato momento della rivincita da servire rigorosamente fredda su di un bel vassoio d’argento. Difatti, dopo aver messo a segno il match point ed essersi esibito nella consueta stretta di mano, Taylor ha esultato provocatoriamente mimando il gesto del silenzio attraverso il movimento dell’indice della mano destra per zittire il pubblico transalpino e tra l’altro rivolgendosi – uno ad uno – verso ogni settore del Lenglen.
Dopodiché, non si è minimamente accontentato; anzi ha continuato ad aizzare la folla contro di sé prima invitando gli spalti ad aumentare il decibel del volume che scandiva a ritmo di sonori fischi, per poi rispondere dando ulteriore seguito alla diatriba mandando una serie di baci indirizzati alle tribune a mò dì sfottò.
La situazione, infine, è definitivamente degenerata nel momento in cui – non potendosi sottrarre da tale obbligo – il campione di Indian Wells 2022 ha dovuto presenziare in campo e prestarsi alla classica intervista post gara on-court: a questo punto, sommerso da fischi e anche da alcuni insulti, l’atleta a stelle e strisce dinanzi al microfono e all’evidente imbarazzo – accompagnato da altrettanto sconcerto – dell’intervistatrice Marion Bartoli ha nuovamente portato l’indice della mano verso la bocca rimanendo immobile e decidendo di non proferire alcuna parola sotto la coltre di sibili ingiuriosi nei propri riguardi.
La vicenda si è conclusa con, da un lato lo sguardo seccato e di disapprovazione per tutto quello che stava accadendo – e per una situazione irreale che si è protratta ancora per diversi minuiti – della vincitrice di Wimbledon 2013, e dall’altro con un Fritz che ha ribattuto agli applausi ironici dei francesi sulla stessa linea d’onda mediante un’affermazione che mai come in questo caso appare irriverente e del tutto depauperata del suo significato originario: “Vi amo“.
Editoriali del Direttore
Roland Garros: il knock down di Sinner non è un k.o. Si rialzerà. Basta non chiedergli troppo. E che non se lo chieda neppure lui
Settantacinque errori gratuiti con Altmaier fanno credere più a una eccezionale giornata negativa che a una regola. Nonostante il brutto ricordo di Cerundolo. Preoccupano maggiormente le difficoltà d’ordine tecnico e l’assenza del piano B

Ma allora quanto accaduto a Roma con Cerundolo non è stato un caso? Di certo la delusione procurataci dalla sconfitta di Jannik Sinner con il tedesco Altmaier, n.79 del mondo, è stata cocente.
Se Jannik avesse trasformato quel matchpoint, dei due avuti, in cui “Se potessi rigiocarmi il punto smeccerei dall’altra parte…”, e poi Altmaier è stato certamente fortunato a passare Jannik a rete con l’aiuto di un nastro beffardo…non avrei certo scritto che Jannik aveva giocato bene, e nemmeno che aveva dimostrato carattere uscendo vittorioso da un confronto con un avversario molto tosto e ieri molto ispirato. Perché la sua partita sarebbe rimasta comunque brutta. Certo non da meritare iperboli elogiative.
Settantacinque errori gratuiti non è roba da Sinner. Neppure se la terra rossa non è notoriamente la superficie sulla quale Jannik si esprime meglio –e tuttavia a Montecarlo aveva raggiunto la semifinale e perso di misura con Rune – , neppure se queste palle che diventano pesanti e grandi come gatti arrotolati certamente non si adattano al suo tipo di tennis basato sulla spinta progressiva dei suoi fondamentali.
Ora che ha perso un match maratona di 5 ore e 26 minuti, fallendo 15 pallebreak delle 21 conquistate per aver giocato troppi punti con il freno a mano tirato; ora che aveva recuperato il break di svantaggio nel quinto set proprio quando Altmaier serviva per il match e si era fatto però subito strappare nuovamente il servizio andando sotto 0-40; ora che aveva annullato anche i tre matchpoint consecutivi sul 6-5 40-0…per giocarsi malissimo le ultime tre pallebreak conquistate grazie al “braccino” che si era finalmente impadronito del tedesco, beh di maramaldeggiare infierendo su Sinner proprio non mi va. Io non credo che siamo di fronte a un k.o. che farà di Sinner un pugile suonato e irrecuperabile. Semmai un doloroso knock-down.
Vedo dai primi commenti inviati dai lettori di Ubitennis che tanti invece infieriscono, sottolineando l’illusorietà dedle aspirazioni dei fans di Sinner che gli attribuivano e ancora forse gli attribuiscono doti simili a quelle di Alcaraz Rune e prospettive di un Sinner campione Slam.
Tutte queste aspettative, dei suoi fan ma un po’ anche di noi tutti troppo a lungo a digiuno di campioni indigeni, hanno certamente pesato massicciamente sulle spalle di Jannik, irriconoscibile a Roma con Cerundolo e anche ieri con Altmaier.
Irriconoscibile non tanto perché abbia perso un match nel quale è stato a un centimetro dalla vittoria, ma perché ha subito quasi sempre il tennis giocato dal suo avversario. Nemmeno Altmaier fosse un Djokovic, un Alcaraz, uno Tsitsipas.
Allora adesso c’è chi parla di crisi di fiducia, chi di presunzione (di lui per primo quando si è sbilanciato nel ritenersi capace di centrare uno Slam quando per ora non ha ancora vinto un 1000, diversamente da Alcaraz e Rune), chi di fragilità mentale e invoca un mental coach ad hoc, quando fino a uno o due anni fa tutti magnificavano la sua testa forte e irriducibile, i suoi nervi a prova di bomba, il suo coraggio. E naturalmente c’è chi accusa il suo team allargato (Vagnozzi più Cahill) che lo confonderebbe e pretenderebbe il licenziamento in tronco di Vagnozzi…esattamente come quando qualche mese fa per le sconfitte in serie di Musetti c’erano i social che chiedevano la testa del bravo Tartarini.
Insomma sono tutte storie già vissute. Non leggo il norvegese – sorry! – ma mi chiedo quanti articoli saranno stati scritti sui giornali di Oslo, Trondheim e zone limitrofe ben ghiacciate, per dirne di tutti i colori su Casper Ruud che non vinceva più una partita. Anche Tsitsipas non ha sempre brillato, quest’anno. E i miei studi di greco al Classico non mi hanno aiutato a leggere che cosa ha scritto la stampa di Atene (oltre che di Sparta e Micene…).
Il disappunto per il k.o. parigino è cresciuto in modo esponenziale sia per come il k.o. è venuto, sia per la grande occasione mancata da Jannik in uno Slam in cui sembrava essersi spianata un po’ la strada verso le semifinali a seguito della sconfitta di Medvedev con Thiago Seyboth Wild.
Nessuno dei giocatori laggiù nel quarto basso del tabellone pareva essere irresistibile per un Sinner capace di esprimersi sui livelli di Montecarlo.
Sono i paragoni con i fenomeni di una volta, Nadal, Federer, Djokovic, a condurci sulla cattiva strada. Quella è gente che ha vinto 64 Slam, non uno solo come Alcaraz o come Medvedev, oppure nessuno come Tsitsipas e Rune. Quelli monopolizzavano 3 posti su 4 in tutti gli Slam, e i soli che riuscivano ogni tanto, ma proprio ogni tanto, a far sentire la loro voce erano i Murray e i Wawrinka.
Io non so se Sinner vincerà mai uno Slam, ma so che non l’avrebbe mai vinto se fosse capitato nell’era dei Fab Four, mentre oggi può capitare che il n.1 del mondo Alcaraz perda da un qualificato ungherese non compreso fra i primi 200 del mondo, che il n.4 ATP Ruud perda da Arnaldi che sta lottando per entrare fra i primi 100. E via dicendo.
E quindi può anche capitare che – come è successo improvvisamente a Camila Giorgi a un open del Canada – che pur senza avere il grandissimo talento dei “fenomeni” un giocatore come Sinner possa prima o poi indovinare tutta una serie di partite consecutive come gli è successo fra Indian Wells, Miami e Montecarlo e quindi vincere un grande torneo.
Tutto sta nel non dare per scontato che debba accadere, così come non si può escludere che accada. Perché oggi i fenomeni non ci sono più e chi li sostituirà in cima alle classifiche ATP, non sarà mai come loro.
Sinner non sarà mai un campione di quella portata, ma non è neppure un tennista così modesto che non potrà mai infilare una sequenza giusta un bel giorno e una bella settimana (o due) per vincere un grande torneo.
Se è n.5 nella race significa che una certa continuità ad alto livello è stato capace di tenerla. Non ha e non avrà mai l’eleganza stilistica di Roger, la intensità di Rafa, la determinazione di Nole, il talento straordinario di quei tre, ma con i giocatori con cui dovrà misurarsi da oggi in poi – sebbene sia Alcaraz sia Rune possano vantare un talento naturale oggettivamente diverso – Sinner potrà vincere prima o poi tornei importanti continuando anche a perdere partite da giocatori di classifica molto inferiore.
Ai tre fenomeni non succedeva. A Sinner succederà ancora. Potrebbe succedergli per esempio ancora a Wimbledon, e tocco ferro. Ma non è che per un solo torneo in cui se l’è cavata bene, adesso dobbiamo considerarlo un “erbivoro” e aspettarsi chissà che cosa.
Forse gli succederà un po’ meno quando né lui né il suo team eccederanno nelle aspettative, mettendosi tanta inutile pressione addosso. Questa non gioverà mai.
A un certo punto della sua carriera, fra i 23 e i 26 anni, Jannik e il suo team si renderanno meglio conto dei propri pregi e difetti. Lavoreranno sodo, perché Jannik di sicuro non demorderà, per correggere i difetti più macroscopici. E certamente lui migliorerà e ne conseguiranno risultati sempre migliori. Però non vivrà più come un dramma insormontabile una cattiva giornata. E magari imparerà anche a dotarsi di un piano B, che ieri non si è proprio vista. A differenza di Camila Giorgi che si è sempre intestardita a negare la necessità di studiare il famoso piano B (“Io devo fare il mio gioco, le altre non contano”) Jannik è consapevole del fatto che non si può giocare sempre allo stesso modo. Soprattutto contro chiunque. Che abbia un tennis di un tipo oppure di un altro.
Ieri mi è dispiaciuto vedere un Sinner poco reattivo, piatto, a tratti rassegnato a scontrarsi con l’aria del perdente a una giornata no, come se non si potesse reagire, come se quella situazione negativa lo schiacciasse in modo insuperabile, irrovesciabile.
Ecco i tre fenomeni erano anche campioni di (legittima) presunzione: erano convinti di poter sempre rovesciare una situazione negativa, e quella fiducia quasi sempre pagava.
Non erano mai rassegnati. Erano sempre irriducibili. “In tennis is never over until is over” è un detto che si sono sempre detti tutti i campioni per evitare di arrendersi.
Jannik non si arreso nemmeno ieri, tant’è che è risalito fino al 5 pari del quinto e dopo 5 ore di gioco insufficiente, però non aveva l’aria di crederci davvero, appariva perennemente in preda alla sconforto.
Ha pesanti limiti tecnici? Beh, forse non così pesanti se è arrivato a giocare alla pari per ore e ore con Alcaraz (all’US open, a Wimbledon e non solo), con Medvedev alle ATP Finals di Torino 2021, anche con Nadal per due set qui a Parigi.
Deve continuare a credere in se stesso, senza farsi influenzare dai critici del divano e delle tastiere social. Cercando di avvicinare il più possibile chi migliore di lui, senza sbilanciarsi in proclami avventurati.
E per quanto riguarda noi italiani,anziché gettargli la croce addosso ad ogni brutta sconfitta – e questa con Altmaier come quella con Cerundolo è stata certamente una brutta e inattesa sconfitta – cerchiamo di non dimenticare che per 40 anni non abbiamo avuto un top-ten e che Jannik lo è, e probabilmente lo sarà a lungo. Anche se magari ogni tanto ne uscirà e poi ci rientrerà. E non dimentichiamo che insieme a lui abbiamo altri due top-20 in Musetti e Berrettini, come possono vantare nel mondo solo gli USA e la Russia, con un bacino demografico molto più ampio.
Sinner al momento è in piena corsa per ritrovarsi alle ATP Finals di Torino fra i Magnifici Otto. Non roviniamoci tutto quel che abbiamo, per il gusto dell’autoflagellazione tipicamente italiana.
Qui a Parigi abbiamo, ad oggi, quattro tennisti ancora in gara al terzo turno, Musetti (che ha un ostacolo duro in Norrie), Sonego (che ha Rublev), Fognini che ha Ofner, e domani la Cocciaretto che può farcela con l’americana Pera da lei battuta nell’ultimo duello a Hobart in Tasmania,a gennaio.
I francesi che hanno una federazione con un migliaio di dipendenti e che dal Ronald Garros traggono profitti dieci volte quelli di Roma, da anni non vincono più nulla, non hanno un tennista maschio fra i primi 40 del mondo – anzi Humbert è proprio n.40 – e poi c’è Mannarino che è n. 47, ma ha 34 anni e il terzo è Gasquet, n.52 che di anni ne ha 36.
Come già nel 2021 al Roland Garros non c’è nemmeno un tennista francese fra uomini e donne – ed erano in 28 al via nei due tabelloni di singolare – che sia approdato al terzo turno.
Io ho visto giocare assai bene sia Arnaldi, contro Shapovalov, sia Zeppieri contro Ruud. E di ragazzi come loro, fra i 20 azzurri compresi fra i primi 200 ATP, ce ne sono diversi. Smettiamola allora di lamentarci, anche se Sinner ci ha un po’ tradito. Ma solo un po’, perché non dimentichiamo che prima di lui nessun aveva giocato tre semifinali di fila in un Masters 1000. Nemmeno Adriano Panatta.
Intanto fra le teste di serie saltate non c’è solo Sinner n.8. Jannik è in buona compagnia con altre 29 “vittime”, fra cui 5 top-10 (Medvedev, Sinner, Aliassime, Garcia e Sakkari)i:
tabellone maschile:
PRIMO TURNO
2 Medvedev ( Seyboth Wild)
10 Aliassime ( Fognini)
20 Evans ( Kokkinakis)
25 Van De Zandschulp ( Tirante)
30 Shelton ( Sonego)
31 Kecmanovic ( Vavassori)
32 Zapata Miralles (Schwartzman)
SECONDO TURNO
8 Sinner (Altmaier)
16 Paul (Jarry)
18 de Minaur (Etcheverry)
19 Bautista Agut (Varillas)
24 Korda ( Ofner)
tabellone femminile
PRIMO TURNO
8 Sakkari ( Muchova)
12 Bencic (Avanesyan)
13 Krejicikova (Tsurenko)
16 Pliskova ( Stephens)
18 Azarenka ( Andreescu)
21 Linette ( Fernandez)
25 Kalinina (Parry)
26 Trevisan (Svitolina)
29 Zhang (Frech)
30 Cirstea (Paolini)
31 Bouzkova (Wang)
32 Rogers (Martic)
SECONDO TURNO:
5 Garcia (Blinkova)
15 Samsonova (Pavlyuchenkova)
17 Ostapenko (Stearns)
19 Zheng ( Putintseva)
20 Keys (Day)
22 Vekic (Pera)
Flash
Roland Garros, da “Sprofondo rosso” a “La felicità perduta del giovane Jannik”: così i media italiani sul ko di Sinner
Vi proponiamo un resoconto di come alcuni dei principali quotidiani sportivi italiani hanno accolto e commentato l’eliminazione da Parigi di Jannik Sinner

Ecco di seguito una sequenza delle principali firme del giornalismo tennistico “nostrano”, in merito alla precoce eliminazione di Jannik Sinner dal Roland Garros 2023: giunta già al 2°T del torneo per mano del tedesco monomane Daniel Altmaier, per 7-5 al quinto set al termine di 5ore e 26minuti di grande battaglia agonistica con tanto di 2 match point non sfruttati.
Quello che è stato definito il Knock Down del n. 1 d’Italia, e tds n. 8 del tabellone parigino, dal Direttore di Ubitennis Ubaldo Scanagatta; è stato invece accolto e commentato nelle modalità sotto riportate da alcune delle più importanti testate sportive azzurre.
Vi proponiamo alcuni degli stralci più interessanti.
Per Riccardo Crivelli della Gazzetta dello Sport l’inaspettata uscita di scena dell’altoatesino, che ad onor di ranking avrebbe dovuto spingersi – quantomeno – sino ai quarti di finale del secondo Slam dell’anno senza neppure considerare nell’analisi che la forza del seeding più alta in quello spicchio di draw aveva abbandonato – anche lui – anzitempo la manifestazione, viene perfettamente raffigurata dall’immagine di una: “Terra bruciata. Come l’ambizione di spingersi fin verso il paradiso in quello spicchio di tabellone repentinamente orfano di Medvedev, il re di Roma. E invece la maledizione del pronostico colpisce ancora, inesorabile: quando l’orizzonte s’allarga, Sinner si restringe. Che botta, la sconfitta contro Altmaier, tedesco n. 79 Atp. Un capitombolo inatteso, che fa rumore, perché rischia di oscurare il cammino oggettivamente brillante che Jannik aveva tenuto da tre mesi a questa parte e che, abbinato al ko di Roma contro un altro avversario non irresistibile come Cerundolo, può instillare crepe pericolose nella delicata e continua ricerca dell’equilibrio perfetto“.
Gli obbiettivi personali non direttamente proporzionali alla realtà dei fatti
“Alla vigilia dello Slam parigino, la Volpe Rossa aveva rivelato con sincerità gli obiettivi di un ragazzo di 21 anni che ha già avvicinato le vette più alte del suo sport. Una visione lucida e coerente, che tuttavia continua a cozzare con la realtà quando il livello della pressione si alza e richiede un ultimo salto di qualità mentale e tecnico. Perché lo Jannik che entra sul Lenglen da favorito in una partita che dovrebbe rappresentare solo una tappa di avvicinamento alla seconda settimana, è in realtà un drago dalle ali tarpate, con il braccio bloccato dalla tensione, che si tiene a galla con il servizio ma non riesce mai a incidere davvero con l’aggressione da fondo campo, senza mai cercare altre strade tattiche per staccarsi definitivamente di dosso un rivale tignoso, bravo e diligente ad applicare suoi schemi di disinnesco delle armi azzurre, giocando il dritto con traiettorie più alte per non dare ritmo e il rovescio al centro per togliere angoli“.
Per Paolo Bertolucci, ex n. 6 del mondo ma anche Capitano di Coppa Davis dal 1997 al 2000 e apprezzata firma della Gazzetta, questo imprevisto sul cammino di Sinner nel Major rosso deve inevitabilmente portare alla luce legittimi dubbi sulla tenuta sottopressione del 21enne di San Candido vestendo uno status massimale negli equilibri del Tour.
“Non c’è dubbio che la sconfitta di Sinner al secondo turno del Roland Garros rappresenti una cocentissima delusione, certamente inattesa. Una battuta d’arresto che allunga ombre insidiose sulle qualità ad altissimo livello dell’altoatesino, piombato in un’improvvisa, piccola crisi dopo tre mesi di grandissimo spessore tecnico. Mentre nella parte alta del tabellone si ritrovano a battagliare Alcaraz, Djokovic, Tsitsipas e Rublev, nello spicchio occupato dall’azzurro la repentina eliminazione di Medvedev aveva spalancato un’autostrada verso gli appuntamenti nobilissimi del tabellone, con il solido ma non certo irresistibile Ruud e il terribile ma ancora incostante Rune come punti di riferimento e unici due giocatori con classifica migliore rispetto a Jannik. Se a Roma si poteva mettere in preventivo la tensione derivante dall’enorme attesa che il torneo e il pubblico riponevano su di lui, la sconfitta di Parigi è apparentemente senza motivazioni. Evidentemente, le aspettative montate dopo l’eliminazione di Medvedev hanno finito per svuotare il serbatoio mentale di Sinner, che fin dall’inizio del match contro Altmaier è sembrato fuori fase, bloccato, senza spinta sulla palla e perdi più in condizioni atletiche rivedibili. E così anche quelle che sono state le certezze che lo hanno accompagnato in questi mesi hanno finito per abbandonarlo: basti pensare al rovescio incrociato, per solito una sentenza e invece stavolta giocato sempre senza mordente”.
I limiti tecnici e tattici di un salto di qualità che stenta a decollare
Per Daniele Azzolini di Tuttosport le esternazioni emotive a fine partita esemplificano alla perfezione il vissuto dei due protagonisti nella sfida parigina, ma più in generale nella loro carriera: “Piange chi vince, e non è Sinner. Si chiama Daniel Altmaier ed è la prima volta che ottiene dal tennis qualcosa da ricordare, da raccontare, di cui, magari, vantarsi. Ha 24 anni, tedesco di Kempen, un paesino della Vestfalia, famosa per il trattato di pace che pose fine alla guerra dei trent’anni, e ora che ha vinto per una volta contro uno dei più forti, è lui a non trovare pace. Si blocca davanti al microfono e non smette di piangere. Ne avrebbe di cose da raccontare, di speranze inseguite e mai raggiunte, di tennis giocato e vissuto in periferia. Ha vinto con la volontà e un po’ di fortuna, ma anche con intelligenza, scegliendo momenti e modi per colpire. […] Avrebbe di che piangere anche Jannik Sinner, ma non lo fa, non ci riesce, ha consumato sudore e lacrime in un match senza senso, costruito per durare troppo a lungo, per generare stress dal nulla e andare a parare non si sa dove. È furioso, con se stesso e con il tennis, sport ingrato se ce n’è uno. Aveva vinto, in fondo. l primi due match point dell’incontro erano a suo favore, bastava coglierne uno e andare in terzo turno, rispettando il pronostico e conservando intatte le possibilità di sfruttare a dovere un tabellone che la sconfitta di Medvedev ha aperto a qualsiasi ipotesi. E Jannik sa bene di rappresentare, da qui al futuro, ben più di un’ipotesi. Si sarebbe scritto, beh, match bruttino, oltre modo sofferto, ma in fondo vinto, come nell’arco di uno Slam succede a tutti i finalisti. Ma le crisi vanno sapute superare, e Sinner c’è rimasto avviluppato dentro.
Come impregnarsi di felicità?
Per Vincenzo Martucci del Messaggero è una “Maratona Crudele” quella a cui è andato incontro Jannik, e che purtroppo lo esporrà a dover subire la consueta ondata di lapidarie opinioni delle cosiddette ‘bestie da social’ – quando non si degenera nell’insulto gratuito, situazione che ahi noi è piuttosto frequente – che lo dipingono come uno che in verità non possiede le stigmate del campione tanto decantate dai cantori del Pel di Carota e del suo sicuro avvenire ai massimi livelli del tennis mondiale.
“Adesso vaglielo a spiegare ai leoni da tastiera dei social che il numero 9 del mondo può perdere contro il 79, e subire a Parigi un’altra delusione dopo quella di Roma. Senza per questo dover passare sotto le Forche Caudine della vergogna ed essere targato a vita come un bluff. Jannik Sinner che ad appena 21 anni può inciampare al secondo ostacolo del Major più complicato contro il tedesco Daniel Altmaier che con coach Alberto Mancini sta imparando la regolarità da affiancare a rovescio e servizio di prima categoria”.