Editoriali del Direttore
Haggerty e ITF insistono sulla nuova Davis, ma i dubbi restano
Con il presidente americano solidarizza il francese Giudicelli. Le nostre obiezioni. Quanti voti servono per compiere la rivoluzione. E chi ce li ha

La scorsa settimana a Genova c’era anche David Haggerty, il presidente dell’ITF, la federazione internazionale. La grande atmosfera creata dai tanti francesi giunti nella città della Lanterna a tifare Pouille e compagni, ma anche dai tifosi italiani, non sembra aver smosso Haggerty dalle sue convinzioni. Per lui nulla è cambiato. Queste sono le risposte che ha dato al collega dell’Equipe Franck Ramella mentre era in corso Italia-Francia. Sotto ad ogni sua risposta c’è un mio commento. In fondo all’articolo potete leggere alcuni precedenti ‘pezzi’ di Ubitennis sull’argomento.
Il fervore di questo weekend cambia il suo punto di vista?
Se fosse così ogni volta, non avremmo bisogno di cambiare. È eccitante vedere tutta questa passione, questo entusiasmo, ma la formula di cui stiamo parlando non cambierà niente di tutto ciò. È un nuovo capitolo, un’evoluzione in cui i giocatori più forti giocheranno. Il nuovo format può assolutamente riprodurre quello che conosciamo già, in un unico luogo con 18 squadre accompagnate dai loro fans e tre match assicurati per la loro squadra.
NOTA DI SCANAGATTA – Un campionato del mondo a squadre di tennis non è come quello del calcio, dove tifosi di tutto il mondo sono capaci di andare anche in Qatar (a nuoto…) per assistervi nonostante temperature allucinanti in un Paese che non offre granché d’altro. Tifosi che oltre alla propria squadra vedono volentieri anche le altre, perché di tutti conoscono tutto. Haggerty parla di tre match assicurati per ciascuna nazione. Se i tre match fossero dietro l’angolo, chissà, magari un migliaio o due migliaia di grandi appassionati di una squadra si muoverebbe. Ma dubito che il discorso di un tal seguito valga per tutte le nazioni. E poi dove si organizzerebbe una tal settimana? Se fosse dall’altra parte del mondo, come si sente dire (Australia, oppure Singapore, Cina, Qatar), secondo me ci andrebbero in pochissimi. È assolutamente irrealistico credere che 100.000 fans di tennis (per una media di 5.500 per ciascuna delle 18 nazioni partecipanti al progetto Haggerty) siano disposti a viaggiare per far da spettatori ad una manifestazione che non può essere giocata altro che nel periodo novembre-gennaio e che deve poter contare su tre mega stadi coperti.
Infatti con una programmazione così concentrata di match, non si può correre il rischio che la pioggia blocchi una mezza giornata di gare. E per far disputare in ciascuno dei tre mega stadi le sei partite di due gironi (ciascuno dei quali composti da tre squadre; le tre partite quotidiane di un girone dovrebbero essere disputate nella sessione pomeridiana, le altre tre nella sessione serale) ed esaurire la fase eliminatoria obbligatoriamente in tre giorni, non ci si può fermare neppure per poche ore. Quindi indoor o nulla. Dove sono già per il periodo novembre-gennaio 2019 (o potrebbero essere costruiti) i tre grandi stadi coperti assolutamente necessari? A oggi solo in Australia, non proprio dietro l’angolo, per giocatori e spettatori. Ciò a meno che si progetti la costruzione di tre stadi… Ma solo per un anno chi è il pazzo che li costruirebbe? Per più anni in cambio della garanzia di ospitare la Davis rivoluzionata sempre nello stesso posto? Avrebbe successo, per giocatori e pubblico, una sede sempre uguale e magari lontanissima dall’Europa (dove è concentrata la maggior parte dei top-ten attuali?). Si vuole invece far costruire tre megastadi coperti – in ambienti fieristici? – da approntare per una settimana per poi buttarli giù? Mi pare un progetto folle.
Non crederà tuttavia di poter ritrovare la stessa atmosfera in un unico luogo?
Preferisco posizionarmi in una prospettiva mondiale. Un unico match di Coppa Davis non può essere visto da un numero sufficiente di persone.
NOTA DI SCANAGATTA – Vero. Le finali di Davis interessano quasi unicamente i Paesi che le disputano. E se una finale è sul tipo di Slovacchia-Croazia (magari senza un top-ten), negli altri Paesi il risultato finisce nelle brevi soltanto a match concluso, neppure giorno per giorno. Ma quanti degli appassionati di quei 18 Paesi andrebbe a vedere le partite in una località estera? L’evento potrebbe avere soprattutto rilievo televisivo, ma quando si sono visti in tv eventi a tribune deserte (Qatar, Singapore, Shanghai, tornei in Cina) che appeal hanno avuto? Quindi sì, qualcosa va pensato, rinnovato, perché il problema esiste, ma non è la soluzione proposta quella giusta.
Ma un match di Coppa Davis non aiuta a promuovere il tennis nel Paese nel quale viene disputato?
Non sono d’accordo. Per me, la cosa più importante è collocare il tennis in una prospettiva globale e che il suo impatto sia mondiale. Il promotore e gli sponsor vogliono una maggiore esposizione dell’evento.
NOTA DI SCANAGATTA – Ho già risposto sopra, esprimendo i miei dubbi.
Considerato il silenzio di BNPP e BEIN, si ha l’impressione che siano un po’ a disagio per questo nuovo progetto?
Siamo giunti a proporre questi cambiamenti dopo aver fatto le trattative insieme a loro…
Si accorge della protesta che si fa sentire sempre di più? Pouille parla di boicottaggio…
Ci sono molti paesi favorevoli a questo cambiamento. Stati-Uniti, Gran Bretagna e tanti altri. Il board è stato unanime. Sono stato a Indian Wells, ho parlato con molti giocatori e tanti ci seguono. Hanno detto chiaramente che non volevano giocare quattro settimane all’anno. Il nostro format dura una settimana, con un prize money di 20 M, cosa alquanto significativa.
NOTA DI SCANAGATTA – Vero che i soldi e l’idea di dedicare alla Davis una sola settimana eccitano i giocatori, ma la Gran Bretagna non è schierata al completo sulle posizioni di Haggerty e quasi tutti i giocatori francesi, con capitan Yannick Noah in testa, hanno definito la proposta di Haggerty “scandalosa”! È sicuro Giudicelli di poter gestire tutti i 12 voti spettanti alla Francia se alcuni dirigenti del suo consiglio non condividono la sua presa di posizione?
Se l’ATP organizzasse la sua World Team Cup, la situazione non sarebbe completamente assurda?
Il tennis non ha bisogno di due campionati a squadre. Ne basta uno e crediamo che debba essere la Coppa Davis. Ne parleremo con l’ATP.
NOTA DI SCANAGATTA – Allora stiamo freschi. Non si sono accordati su aspetti molto più semplici. L’ATP non sogna altro che di strappare all’ITF il controllo sull’evento più importante che finora l’ITF ha gestito da sola (sugli Slam il controllo dell’ITF è solamente teorico). La ITF avrebbe una grande arma da agitare, quella degli Slam. Se gli Slam fossero uniti e solidali (cosa che non è, ciascuno corre per sé), la policy dura da applicare sarebbe solo questa: chi non gioca la Davis per motivi poco seri o credibili, non gioca nemmeno gli Slam! È un po’ quel che accade per le Olimpiadi. Why Not? Ma gli Slam potrebbero incorrere nelle leggi anti-trust, soprattutto l’US Open negli USA, perché in teoria non si può impedire a un professionista di guadagnare dei soldi cui avrebbe diritto. Insomma insorgerebbero problemi legali di non facile soluzione.
Riducendo l’impatto della Coppa Davis, non crede di alterare l’importanza della stessa ITF?
Credo al contrario che ciò rafforzerà l’ITF, perché con le risorse associate a questo progetto potremo ridistribuire alle nazioni somme di denaro considerevoli per sviluppare il futuro del tennis.
NOTA DI SCANAGATTA – Avrà davvero fatto bene i conti? Non ho tutti gli elementi che ha avuto la società di Piquet per lanciare la rivoluzione, per cui non posso pronunciarmi. Ma esprimo forti dubbi.
Possiamo aspettarci dei cambiamenti per la mozione finale che verrà sottoposta alla votazione nel mese di agosto?
Ne stiamo parlando. Siamo aperti a dei piccoli cambiamenti. La date della fine di novembre? Vedremo. Tuttavia utilizzeremo le settimane di cui abbiamo a disposizione nel calendario.
NOTA DI SCANAGATTA – Haggerty mi ha detto che almeno un mese prima delle date dell’assemblea di Orlando, 13-16 agosto, le eventuali modifiche al progetto originale dovranno (per correttezza) essere comunicate a tutte le 147 nazioni invitate. Che non è detto che partecipino, perché la partecipazione non è obbligatoria e non è certo un grande incentivo un contributo di 500 euro per il viaggio, anche se poi c’è piena ospitalità per un dirigente di ciascun Paese per i quattro giorni dell’assemblea in Florida. Ci sono anche molte federazioni povere, soprattutto fra le 82 che hanno un solo voto, in Africa, Asia e altre regioni assai lontane dalla Florida. Per Giudicelli, il dirigente Corso presidente della Federazione Francese (vedi l’intervista resa a Genova al nostro inviato Scognamiglio), il vero problema non è tanto logistico quanto nel calendario. “Trovare una settimana giusta fra il circuito che finisce in Europa e quello che comincia in Australia, per i giocatori e il pubblico è la cosa più complicata, il vero problema”.
CONCLUSIONE – Perché una qualsiasi riforma venga approvata ci vogliono come minimo i due terzi dei voti validi. Vota solo chi è presente. Non si può votare per email. Ci sono Paesi che hanno diritto a più voti e altri meno. Se fossero presenti tutti i dirigenti delle 147 nazioni aventi diritto al voto, i voti totali sarebbero 462 e i due terzi di 462 fa 308. Ovvio che ne basteranno molti meno. In altri consessi sportivi è accaduto di tutto in situazioni consimili. Si è andati cioè a caccia di voti, foraggiando quelle nazioni che con i loro voti potessero influenzare l’esito finale. Ovviamente non in modo ufficiale. Ma si sa che “stimolare” certi Paesi in cambio di qualche favore, non è poi così difficile. Allora ecco lo scenario dei voti: 82 nazioni hanno un voto, 25 ne hanno 3, 14 ne hanno 5, 7 ne hanno 7, 14 ne hanno 9 (inclusa l’Italia), 5 ne hanno 12 (cioè gli Slam e per ragioni abbastanza misteriose ora che non ha più un Masters 1000, dacché Amburgo ha lasciato il posto a Madrid). Quindi, come dicevo ci sono 462 voti per 147 nazioni. Il punto è: chi davvero ci andrà? Haggerty mi ha detto di contare sulla unanimità dei dirigenti che fanno parte del Board e che ritiene di partire da 120 voti. Se riesce a fare un po’ di più che raddoppiarli… la rivoluzione andrà in porto. Personalmente dubito che così come è formulata, salvo grosse modifiche, possa “passare” anche al vaglio di un’assemblea un po’ “telecomandata”.
A spingere per le modifiche potrebbero essere le piccole nazioni, quelle per le quali giocare la Coppa Davis è una perdita di denaro. Il progetto Piquet-Haggerty promette soldi in abbondanza a tutti, ma nessuno sa se tali promesse potranno davvero essere mantenute. Yannick Noah ha parlato di “una gran tristezza, è la fine della Coppa Davis. Hanno venduto l’anima di una prova storica”. Andre Stein presidente della federazione belga, ha annunciato che voterà contro la riforma. Cinque voti contro più i 12 della federazione tedesca dopo che il vicepresidente Dirk Hordoff ha detto che il suo Paese era certamente contrario ed è stato ancora più deciso: “Mi auguro che tutti i Paesi che voteranno contro, se vinceranno voteranno anche per le dimissioni di Haggerty. La federazione tedesca non è mai stata consultata né coinvolta in questo progetto, quindi non ha mai dato il suo accordo a queste modifiche”. “Non so ancora che cosa voterò – ha detto Thomas Wallen, il presidente della Federazione svedese – ma ne parlerà con i giocatori svedesi che l’hanno vinta…”. Facesse così anche Giudicelli finirebbe per non dare i 12 voti a chi intende darli! Wallen ha però aggiunto: “So però che i tempi cambiano e a seguito della bassa partecipazione dei giocatori più forti qualche modifica andrà fatta”.
“SE AVETE UN’AUTO DIESEL E VI DICONO CHE IL DIESEL NON VERRÀ PIÙ UTILIZZATO NEL MONDO, OCCORRERÀ PASSARE ALL’ELETTRICO!”
Il presidente svizzero René Stammach ha annunciato che voterà a favore: “In Svizzera siamo tradizionalisti, ma negli ultimi 20 anni la nostra federazione ha perso 5 milioni di franchi con la Coppa Davis. Sono solo 4 o 5 le nazioni per le quali la Davis è interessante sotto il profilo finanziario. So che i giocatori francesi sono contrari alle modifiche, ma sui 212 Paesi dell’ITF (anche se a votare sono 147; n.b) trovatemi un 10% di giocatori che la pensano come loro! I francesi sono orgogliosi di giocare per il loro Paese, hanno sempre amato la Davis, li comprendo perfettamente quando pensano che tutte queste modifiche siano ‘zero’ e sarei d’accordo se tutto il mondo la pensasse come loro. Ma la realtà è tutt’altra. È splendido sognare… sul passato, e fa sempre male dire addio a qualcosa che si ama. Ma se non cambiamo qualcosa la Davis morirà nei prossimi tre o quattro anni. Perché con il business si va alla svelta. Se avete un’auto Diesel e nel mondo il diesel non viene più utilizzato, si deve passare all’elettrico!”.
Rafa Nadal: “L’attuale formato della Davis è vecchio, quindi non è perfetto. Anche il nuovo format non sarà perfetto perché si perderanno delle cose, non so se quindi funzionerà o no (lui inizialmente sembrava, come Djokovic, favorevole alle modifiche n.d.r.) ma è bene che ci sia gente in ITF che ha nuove idee e anche che ci siano sponsor che dimostrano di aver fiducia nel futuro del nostro sport… non so se vanno nella giusta direzione o in quella sbagliata, ma che qualcuno si muova è comunque positivo… tutti gli eventi hanno bisogno di essere prima o poi modernizzati… dobbiamo trovare modo che tutti i giocatori giochino… ma per essere giusti e onesti quando diciamo che i top-players non giocano molto spesso la Coppa Davis è vero… però i top-players sono anche… molto vecchi!”.
Questa la composizione dei voti per ciascuna nazione (vedi pagina 44). Ed ecco come funzionano i rimborsi ufficiali, max 500 euro per ogni nazione partecipante all’assemblea. Questo il testo originale in tema di rimborsi: “ITF will reimburse $500 per association towards one delegate airfare · ITF will cover 4 nights’ accommodation for one delegate per association Terms and Conditions · Flight and hotel offer not available to nations in subscription arrears at as 1 July 2018. · $500 contribution towards flight will be paid within 30 days of the completion of the AGM to the national association bank account the ITF holds on record. · Hotel dates included in the offer: 12-16 August (max 4 nights). No dates outside of these will be covered. · The costs covered by the ITF Hotel Room offer (max 4 nights for a single deluxe room) will be deducted from your final hotel bill. · Accommodation cannot be split over 2 delegates. · Room must be booked via the online AGM registration site and guaranteed with a credit card. · Room rate only covered, incidentals not included. · A maximum of 4 nights, no monetary value will be offered for stays of less than this. · The ITF hotel room offer is only available for the category of Deluxe Standard room (single occupancy), for ONE delegate from each member nation. · If a Deluxe room is booked for 2 people, any additional occupancy cost will be at your association’s expense. · Only Standard Deluxe rooms are available, the ITF is unable to cover the cost of a higher category room or contribute towards it. · A no show or late cancellation will result in the credit card guaranteeing the booking being charged 100% of booked room nights (non-refundable by the ITF)”.
Ha collaborato Laura Guidobaldi
Editoriali del Direttore
È morto Roberto Mazzanti, per 20 anni direttore di Matchball, la Bibbia dei veri appassionati di tennis
Tennis e giornalismo i suoi grandi amori. Sotto la sua guida saggia ed equilibrata hanno lavorato Rino Tommasi, Vittorio Piccioli, Viviano Vespignani, un giovanissimo Scanagatta. un imberbe Stefano Semeraro, il boy Luca Marianantoni e tanti altri. Era impossibile litigarci

Aveva 82 anni, era stato colpito da un malore a gennaio. Purtroppo non si più ripreso Roberto Mazzanti, uno dei pochi, pochissimi giornalisti davvero signori, con i quali era impossibile litigare. Un uomo per bene. E non lo scrivo perchè ci ha lasciato, ma perchè è vero. E lo può dire e confermare chiunque lo abbia conosciuto.
Roberto era stato negli anni Settanta il direttore di Matchball (in edicola dal 1970 al 1996), la seconda rivista di tennis – dopo “Tennis Club” diretta da Rino Tommasi – per la quale poco più che ventenne avevo cominciato a collaborare, spinto dalla mia inesauribile passione per il tennis e per il giornalismo, gli stessi due grandi amori di Roberto. Per lui, come per me, era una passione romantica, senza mai l’ambizione di arricchirsi, ad alimentare quei due eterni amori.
Lui, bolognese, era cresciuto all’interno del Resto del Carlino dove era stato assunto inizialmente come correttore di bozze. Infatti, diventato poi redattore professionista del quotidiano bolognese, dividendosi fra le pagine della cronaca cittadina come dello sport – come sarebbe successo anche a chi scrive – non avrebbe mai sopportato i refusi.
Non l’ho mai visto arrabbiato, mai perdere il controllo, mai alzare la voce. Un gentiluomo con aplomb british, mascherato da un moderato accento emiliano. Adorava guardare il tennis, non solo quello dei grandi – venne anche a vedermi giocare la finale di doppio dei campionati italiani di Seconda Categoria al Circolo Tennis Giardini Margherita, lui che frequentava la Virtus del presidente (anche FIT) Giorgio Neri – ma gli piaceva anche giocarlo. E lo ha fatto da dilettante fino a tempi anche recenti, sebbene avesse scoperto anche il golf e, negli anni, gli fosse venuta anche la passione per le automobili, la tecnologia, il loro evolversi.
Lavoravamo per lo stesso gruppo editoriale, la Poligrafici, ma io – più giovane e scapolo mentre lui era sposato – ero più disponibile a sacrificare ferie e vacanze (a caccia di ospitalità o alberghi a due stelle) per andare a seguire il tennis nel maggior numero possibile di tornei.
Quindi per Nazione e “Carlino” accadeva che lui mi lasciasse il passo per gli Slam e che io lo lasciassi a lui per la Coppa Davis …che allora era una cosa seria, ma si esauriva in alcuni long-weekend e che potevano essere anche 5, 6 o 7 in un anno se l’Italia andava in finale come accadde per quattro anni su cinque fra il ’76 e l’80. Accadde anche che con quei ripetuti exploit dei nostri 4 moschettieri azzurri io mi ritrovassi a seguire insieme a Roberto anche quegli eventi a squadre.
Non esisteva Internet, né la composizione digital-elettronica e Matchball optò, anche per contrapporsi a “Il Tennis Italiano” che era un mensile, una cadenza quattordicinale. Usciva in edicole (sì, esistevano ancora…) ogni due martedì e sotto la guida di Roberto scrivevamo i nostri articoli Roberto, Rino Tommasi, Vittorio Piccioli, il sottoscritto, Paolo Francia, Viviano Vespignani e (diversi anni dopo) si sarebbe aggiunto, fra i tanti, anche Luca Marianantoni con tutti i numeri che si portava appresso. In redazione due giovani di belle speranze, Stefano Semeraro e Enrico Schiavina., Al lunedì mattina Matchball doveva essere “chiuso” in tipografia. La domenica sera…si finiva per scrivere editoriali, pagelle, statistiche, a notte inoltrata. Sempre facendo le corse, perché magari le partite, ai più diversi fusi orari, finivano tardissimo e la copertura era massiccia. Per merito di tutto il team Matchball diventò ben presto la rivista leader e tale restò fino a che l’avvento di Internet, delle notizie on line, delle coperture televisive di più network, fece strage di gran parte delle riviste cartacee, impossibilitate a reggere la concorrenza sul piano della tempestività dell’informazione.
Roberto, giornalista elegante ed equilibrato, prediligeva i tennisti dal bel braccio, McEnroe, Panatta, Bertolucci (e più recentemente inevitabilmente Federer), Rino era prima innamorato di Rosewall e poi di Edberg, io stravedevo per l’arte e l’imprevedibilità di Nastase, per la grinta e i limiti tecnici di Connors oltre che per Boris Becker (per far da contraltare a Rino), quando sarebbe arrivato Luca avremmo annoverato nel team di Matchball anche un grande fan di Lendl.
Vabbè, vedete, anche adesso che Roberto ci ha improvvisamente lasciato affiorano nella mia mente tanti ricordi, tanti amichevoli dibattiti e lui che, con fare quasi ecumenico, mi diceva: “Dai Ubaldo scrivi le tue pagelle, falle un po’ tecniche, un po’ironiche, senza infierire mai troppo…anche se lo sappiamo tutti che se devi scrivere di promossi e bocciati, ai lettori piaceranno sempre più i voti bassi che quelli alti, quelli più critici che quelli pieni di elogi. Il mondo va così” diceva chiaramente dispiacendosene. E a quei tempi non esistevano ancora i leoni da tastiera, gli “webeti”. Che la terra ti sia lieve caro amico. E che tua moglie Anna, tuo figlio Luca, la tua nipotina adorata, sopportino con forza e coraggio il vuoto che lasci a loro e a tutti quelli che ti hanno stimato e voluto bene.
Australian Open
Australian Open: Il fenomeno Djokovic è di un altro pianeta. Tsitsipas non poteva fare di più. Non è la parola fine sul GOAT
I fenomeni non sono stati solo tre, Djokovic, Federer e Nadal. Perché se si dà peso primario ai titoli Slam, Rosewall e Laver non possono essere ignorati. E perchè un solo anno, e non sempre, laurea il vero n.1

Il resto del video, che qui potete vedere in anteprima, è disponibile sul sito di Intesa Sanpaolo, partner di Ubitennis.
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Non ho mai pensato che potesse finire diversamente. L’unico momento di dubbio l’ho avuto – insieme a Djokovic – quando entrambi abbiamo temuto che il suo problema alla coscia fosse un problema serio.
Così come gli altri due fenomeni, Federer e Nadal (elencati, a scanso equivoci, in ordine alfabetico), Novak Djokovic è di un altro pianeta rispetto a tutti gli altri contendenti. Come fenomeni sono stati nello sport più popolare – se cito soltanto i fenomeni del calcio, anziché altre discipline sportive, è perché è più facile che quasi tutti capiscano di che cosa parlo – Pelè a cavallo degli anni 60/70, Maradona un ventennio dopo, Messi e Cristiano Ronaldo nel terzo millennio.
Djokovic, Federer e Nadal (ancora in ordine alfabetico) hanno lasciato le briciole a tutti gli altri tennisti loro contemporanei. E l’hanno fatto con una continuità spaventosa, in un arco temporale inimmaginabile che ha spaziato fra i 15 e i 20 anni. Davvero incredibile.
Mentre i campioni Slam del passato una volta superati i 30 anni difficilmente riuscivano a restare competitivi per più anni,– salvo rarissime eccezioni: Rosewall, Connors, Agassi su tutti – mentre qualche straordinario campione come Borg o McEnroe ha smesso di giocare o di vincere già a 26 anni – questi tre hanno continuato a dominare il resto della concorrenza come se fosse la cosa più normale del mondo. E tutti a sorprendersi, a meravigliarsi con infinito stupore quando ciò, a uno dei tre, ma mai a tutti e tre insieme, non succedeva.
Nel conquistare il meritato appellativo di “fenomeni” i tre supercampioni non si sono limitati a registrare un record dopo l’altro pur dovendosi affrontare fra le 50 e le 60 volte in pazzeschi testa a testa, dopo essersi inseguiti come i celebri duellanti di Conrad ai tempi di Napoleone ai 5 angoli/continenti del mondo sulle più varie superfici. Ma tutti e tre hanno dato dimostrazione di formidabili e superiori doti tecniche, atletiche, caratteriali, intellettuali, morali, umane. Ho forse dimenticato un qualche aspetto?
A trovar loro un vero difetto, come campioni e come uomini, personalmente ho sempre fatto fatica. Anche perché li ho conosciuti tutti da vicino e fin da quando hanno cominciato a cogliere i loro primi stupefacenti successi, quasi imberbi, a 16 e 17 anni. Quando anche un “parvenu” del tennis avrebbe intravisto le loro eccezionali qualità. Personalità intelligenza, simpatia, resilienza, determinazione, avevano tutto fin da subito. Le si potevano scorgere a occhio nudo, senza farsi condizionare dalla semplice precocità.
Forse proprio Djokovic, il più giovane dei tre e colui che sembra destinato a restare sulla breccia più a lungo degli altri, è quello – anche per le sue posizioni NOVAX (peraltro coerenti al massimo, diversamente da chi ha presentato certificati falsi assolutamente imperdonabili) – che ha sollevato più casi controversi. Talvolta nemmeno interamente per sue responsabilità. Il background della sua famiglia, l’educazione, lo stile di vita, sono stati diversi da quelli di Federer e Nadal.
Eppoi lui è arrivato dopo di loro, quasi un intruso, in un mondo che tennisticamente si era diviso all’80% fra federeriani e nadaliani. Per conquistarsi un posto, ha dovuto farsi spazio fra loro, impossessandosi di quel 20% che era rimasto ai neutrali. E dovendo giocare dappertutto con folle di tifosi più ostili che amiche. In patria è diventato un simbolo, un eroe, un semiDio. Fuori no. E’ stata dura, molto più dura che per gli altri due fenomeni conquistarsi un suo pubblico, un suo status internazionale. Lo ha potuto fare nel solo modo che lo sport consente: i risultati. Risultati assolutamente straordinari. Pian piano ha battuto i suoi leggendari rivali più volte di quanto di avesse perso. Pian piano ha autorizzato i suoi estimatori a inserirlo nell’eterno dibattito sul GOAT, sul più forte giocatore di tutti i tempi.
Non si metteranno mai d’accordo i tifosi dei tre fenomeni. Tutti avranno buoni motivi per sponsorizzare il loro fenomeno d’elezione. Chi privilegerà un’epoca ad un’altra, una strong era a una weak era (e qualche vuoto pneumatico al top dei competitor c’è stato per tutti e tre), chi lo stile e l’eleganza, chi la forza e la garra, chi la completezza, chi una superficie o un’altra. E qualunque conclusione verrà raggiunta sarà sempre ingiusta. Anche perché se in uno stesso anno possono cambiare in maniera pazzesca le cose – pensate solo al 2016 con i primi 6 mesi di Djokovic e i secondi 6 mesi di Murray – e figurarsi da un anno all’altro – pensate al 2017 e ai 4 Slam divisi fra i “risorti” Federer e Nadal che molti avevano già dati per finiti – se si dovessero confrontare pacchetti di più anni, in cui sono magari cambiate le attrezzature, le superfici, ogni paragone fra epoche diverse condurrebbe a emettere verdetti assolutamente discutibili, comunque superficiali.
Oggi, e chiudo questo lunga premessa, i fan di Djokovic ebbri di gioia per i 22 Slam che hanno consentito a Nole di eguagliare i 22 di Rafa Nadal e di “staccare” definitivamente i 20 di Federer sembrano aver buon gioco a sostenere che chi vincerà più Slam a fine carriera potrà tappare la bocca a tutti gi altri pretendenti al GOAT.
Ma non è così. Ken Rosewall, cui abbiamo dedicato un bell’articolo in questi giorni, ha vinto 8 Slam ma ne ha dovuti saltare – perché professionista per 11 anni – ben 44. E Rod Laver, unico campione ad aver realizzato due volte il Grande Slam (1962 e 1969, a sette anni di distanza, i suoi migliori 7 anni…), ha vinto 11 Slam dovendo saltare 20 Slam fra il 1963 e il 1967. Non potevano essere loro i GOAT? I fenomeni del tennis non sono stati solo tre.
Quelle ultime due lettere, A e T, stanno per ALL TIME. Se allora ALL TIME, per i motivi su esposti, non si può dire, limitiamoci allora a dire chi sia stato il miglior tennista del mondo anno per anno. E solo in quel caso è più probabile che non ci si sbagli, anche se – ripetendo l’esempio fatto poc’anzi – se si prende in esame un anno come il 2016 nel quale Novak domina i rimi sei mesi, Andy Murray i secondi sei, e il computer ATP assegna il numero uno year-ending a Murray perché vince la finale del Masters…beh anche in quel caso siamo così sicuri che il verdetto fosse così inequivocabile, inappellabile? Una sola partita può decidere chi sia il miglior tennista di tutto l’anno, solo perché lo dice un computer che – cito per l’ennesima volta Rino Tommasi – “sa far di conto, ma il tennis non lo capisce?”.
Vabbè, torno sulla finale e sulla superiorità disarmante di Djokovic perfino al termine di un match non immune da pecche, da errori evitabili, da nervosismi quasi inesplicabili come quello che lo ha colto a metà del secondo set quando avrebbe potuto continuare a gestire tranquillamente il match come aveva fatto fino ad allora.
Tsitsipas non poteva far molto di più, salvo che – nel tiebreak del secondo set – evitare quei quattro errori di dritto, il suo colpo migliore andato improvvisamente…in barca.
Ma Djokovic, che è indiscutibilmente da anni il miglior ribattitore del mondo – e qui, su questo giudizio, credo possano essere d’accordo perfino i tifosi di Federer e Nadal – era stato ingiocabile sui propri servizi. Fino a quel game in cui Tsitsipas è riuscito – sul 4-5 del secondo set- a conquistarsi contemporaneamente sia la prima palla break che l’unico setpoint Djokovic, aveva lasciato al più temibile dei suoi avversari la miseria di sei punti nel primo set in cinque turni di battuta (la sola volta che Stefanos era arrivato a 30 però Novak era avanti già 3-1 e 40-0) e nel secondo set 5 punti nei quattro turni di servizio. Mai Tsitsipas era ancora arrivato a 40.
Ok? Bene: c’è arrivato in quel frangente e sulla pallabreak-setpoint che fa Djokovic? Prima di servizio e dritto vincente.
Poi un tiebreak giocato maluccio da entrambi, perché sul 4-1 per Nole frutto di tre minibreak seguiti a 3 inattesi errori di dritto di Tsitsipas Nole ha prima regalato un insolito rovescio per lui banalissimo e poi ha fatto anche il secondo doppio fallo del suo match. Ma sul 4 pari ecco di nuovo Tsitsipas, evidentemente teso come una corda di violino, sbagliare un quarto dritto! Djokovic non se l’è fatto dire due volte e dal 4 pari al 7-4 è stato un gioco da ragazzi.
Qualcuno poteva illudersi che dopo il toilette break e l’unico servizio perso da Nole all’inizio del terzo set le cose potessero cambiare? Forse neppure l’irriducibile Tsitsipas.
Dal 2 a 2 in poi Djokovic – che ribadisco essere il miglior ribattitore del mondo – tiene per 4 volte consecutive il servizio a zero: 17 punti di fila (contando l’ultimo che gli aveva dato il 2-1 in un game vinto a 15). Cui seguiranno gli altri primi tre del tiebreak che decide l’ultimo tiebreak in cui, giusto per non illudere Tsitsi e le migliaia di fan greci che non smettevano di gridare “Tsitsipas, Tsitsipas” – mentre fuori dal centrale la stragrande maggioranza nel garden davanti al mega schermo era invece serba (mica facile procurarsi i biglietti…) – Djokovic sale sul 5-0, subisce dopo 20 punti conquistati con il servizio un mini-break, ma poco dopo chiude con un dritto vincente sul terzo matchpoint.
Sì, mi scuso, ho riscritto una cronaca che Cipriano Colonna aveva già scritto brillantemente chiudendola su Ubitennis nei 5 minuti successivi alla conclusione, ma solo per sottolineare come oggi perfino un Djokovic che ha giocato senza fare troppe cose straordinarie, è stato assolutamente ingiocabile in 12 turni di servizio su 14 (salvo che sul 4-5 e sul primo gae del terzo set) ed è sempre stato fortissimo – sì, proprio come sempre – quando doveva rispondere.
I suoi record li abbiamo già ricordati dappertutto. Non credo serva scriverli ancora, prima di cominciare a pensare a che cosa potrà accadere nel regno di Nadal al Roland Garros. Novak ha perso un solo set nel torneo, ma perché con Couacaud al secondo turno gli faceva male la coscia sinistra. Però se fossi stato a Melbourne tutti i suoi dieci trionfi, i 22, i 93, le 374 settimane da n.1 (verso le 377 di Steffi Graf) magari avrei trovato un modo per ricordarglieli in conferenza stampa.
Qua dico soltanto….davvero not too bad! carissimo fenomeno Djokodiecivic.
Australian Open
Australian Open: Sabalenka sugli scudi. Ha vinto il miglior servizio o il miglior dritto? E l’assenza di inno e bandiere bielorusse ha senso?
Hanno vinto…gli studi biomeccanici della regina 2022 dei doppi falli. Ma fra dritto e rovescio, quale è il colpo da fondo di solito più decisivo? Il duello Djokovic-Tsitsipas suggerisce una risposta sbagliata

La nuova campionessa dell’Australian Open, Aryna Sabalenka, è una ragazza che l’anno scorso aveva vinto…la classifica di chi aveva fatto più doppi falli fra tutte le prime 100 tenniste della WTA.
Roba da far arrossire Sascha Zverev. Aryna, che diventa la seconda bielorussa a vincere uno Slam in Australia dieci anni dopo Vika Azarenka, di doppi falli ne aveva commessi ben 427 nel 2022, a una media di 8 a match. Ma lo scorso anno, durante lo US Open, subito dopo aver perso dalla Swiatek, lei che ama farsi chiamare “Tigre” –e che si è fatta fare un tatuaggio di una tigre sull’avambraccio sinistro “perché mi deve ricordare di lottare sempre come una tigre…”- aveva deciso di mettersi a studiare la tecnica della sua battuta con uno specialista di biomeccanica, con due obiettivi: 1) ritrovare percentuali migliori sulle prime palle di servizio 2) servire seconde palle meno aleatorie.
Prima della finale il coach della Rybakina Stefano Vukov aveva dato l’aria di mettere le mani avanti, quasi anche a voler mettere maggior pressione su Aryna: “Il risultato dipenderà da chi servirà meglio”.
E quello della Sabalenka, Anton Dubrov: “Vincerà chi saprà controllare meglio le proprie emozioni”. Anche questo, per la verità, sembrava più un messaggio rivolto alla sua “assistita” piuttosto che a Elena Rybakova, ragazza piuttosto introversa che sembra spesso anche fin troppo in controllo dei suoi nervi. Almeno all’apparenza, perché oggi l’ho vista spesso parlare con se stessa dopo alcuni errori.
Beh, in questa finale vinta 4-6,6-3,6-4, Aryna ha perso il primo set della finale e il primo dell’anno, ma dopo è riuscita abbastanza bene a controllare le proprie emozioni fino a quando – a seguito dell’ennesimo dritto lungo della Rybakina (decisamente il colpo più incerto della kazaka) sul suo quarto matchpoint e dopo che sul primo aveva commesso un doppio fallo – si è lasciata andare lungo distesa sul campo centrale della Rod Laver Arena coprendosi il volto e piangendo come un vitellino, con tutto il petto percorso da sussulti irrefrenabili.
Direi che lo studio ha pagato – soprattutto in percentuale di prime palle, il 65% contro la Rybakina che si è fermata al 59%; la seconda palla invece secondo me necessità di studi ulteriori: è troppo piatta, c’è poco lift – perché durante tutto l’Australian Open di doppi falli Iryna ne ha fatti “soltanto” 29 in 7 partite. Quindi è scesa a 4 di media a match.
Vero, però, che le prime sei Aryna le ha vinte tutte in due set e sempre perdendo pochi game, così come aveva vinto in due set tutte le partite giocate al torneo di Adelaide. Oggi che la partita è durata 2h e 29 minuti per 3 set, i doppi falli sono stati 7, non pochissimi, però sono stati bilanciati da 17 ace (mentre la Rybakina ne ha fatti 9 e un solo doppio fallo: insomma la forbice dice +10 per gli ace a favore della ragazza bielorussa, + 6 a favore per i doppi falli a favore della kazaka) e poi non so dirvi quanti siano stati i servizi immediatamente vincenti, ma in quelle 70 volte in cui ha messo direttamente la prima ha fatto 50 punti. Sospetto che i servizi vincenti che siano stati parecchi.
Quindi il servizio ha svolto un ruolo importante in un match caratterizzato da pochi break, cinque in tutto in 29 game, come vediamo di solito accadere più in un match di uomini piuttosto che di donne.
D’altra parte le due ragazze finaliste hanno un fisico non così comune per il tennis femminile: un metro e 84 centimetri la Rybakina, un metro e 82 la Sabalenka che ha anche due spalle e una potenza che non tanti tennisti di sesso maschili possono vantare e disporre.
I servizi della Sabalenka sfiorano i 200 km orari e fanno male. Se un numero sufficiente di battute le sta dentro, strapparle il servizio è tutt’altro che semplice. Infatti la Rybakina c’è riuscita solo due volte pur essendosi procurata 7 pallebreak, entrambe nel primo set. E poi più.
Con le sue possenti, fracassanti risposte, invece la Sabalenka di palle break ne ha conquistate 13 e dopo l’inutile break del primo set per risalire dal 2-4 al 4 pari, un break a set nei due set successivi le sono bastati per vincere il match e conquistare il suo primo Slam alla sua prima finale e dopo tre stop in tre precedenti semifinali Slam.
Di solito, se fra due giocatrici di simile livello (ma vale forse ancor più per i giocatori) una ha un grandissimo dritto e l’altra ha un grandissimo rovescio, dai tempi di Steffi Graf (anche se Chris Evert potrebbe aver argomenti validi per obiettare), vince quella con il miglior dritto.
Il dritto, in genere, procura più punti. Tant’è che salvo poche eccezioni se a un tennista si offre una palla a mezza altezza e a metà campo, è più normale che il tennista giri attorno alla palla per schiaffeggiarla con il dritto piuttosto che con il rovescio. Il dritto è un colpo più dirompente. E’ più normale schiacciarlo dando anche una spallata. Ma su questa tesi sono più che aperto ad aprire un fronte di discussione e contradditorio…
Ora ci sarà chi, alla vigilia della finale maschile fra Djokovic e Tsitsipas mi obietterà che Djokovic è il favorito anche se il greco ha il miglior dritto e il serbo il miglior rovescio, ma io a mia volta potrò controbattere che Nole fa comunque di solito più punti vincenti con il dritto che con il rovescio. Vedremo domani (ore 9,30 su Discovery-plus).
Intanto chiudo il discorso sulla finale femminile osservando che la bielorussa Sabalenka non ha potuto godere né dell’inno nazionale a celebrare il suo trionfo, né della bandiera bielorussia sul tabellone e sul palmares dell’Australian Open accanto al suo nome. Magari fra qualche anno ricomparirà al posto di una bandiera bianca. E chissà poi che cosa deciderà Wimbledon quest’anno. Molti auspicano un ripensamento. Non i tennisti ucraini. La Kostyuk, sconfitta in semifinale nel doppio femminile, ha chiesto agli inglesi di non fare marcia indietro.
Io ripenso con piacere a quando l’indiano Bopanna e il pakistano Qureshi si sono messi a giocare il doppio assieme.
Ma fra Russia-Bielorussia e Ucraina la guerra è ancora purtroppo così terribilmente virulenta, orribile oggi perché possano essere dei tennisti i primi a soprassedervi, a non farci caso. Anche se potrebbe essere un gran bel messaggio.
La newsletter Slalom.it di Angelo Carotenuto ha riportato un articolo del Sydney Morning Herald secondo cui “Sopprimendo le loro bandiere (di russi e bielorussi), i dirigenti maldestri offrono solo più fiato al loro vittimismo. Che si tratti di Australia, Parigi, Londra o New York, l’anno scorso ha dimostrato che più bandiere vengono bandite dagli eventi sportivi, maggiore è la sfida che producono. Quanto più il mondo condanna il nazionalismo, tanto più acquistano forza coloro che ci credono. Chiediamolo agli ucraini”
Comunque sia quando hanno chiesto a Aryna Sabalenkaq, nuovamente n.2 del mondo “nel giorno più bello della mia vita” (la Rybakina sarà top-ten, ma sarebbe stata top-five se avesse potuto contare anche i 2.000 punti di Wimbledon 2022) se non le sembrasse strano aver vinto uno Slam senza una sola bandiera bielorussa e neppure una menzione alla bielorussa, lei ha risposto con un sorriso: “Credo che tutto il mondo sappia che sono bielorussa, non vale la pena di aggiungerlo”.