L'addio silenzioso di Lucie. Con un rimpianto

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L’addio silenzioso di Lucie. Con un rimpianto

Lucie Safarova ha annunciato che si ritirerà sulla soglia dei 32 anni, dopo aver disputato l’Australian Open per l’ultima volta. Un braccio sinistro che avrebbe potuto, forse dovuto, conquistare Parigi tre anni fa

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C’è tanto di Lucie Safarova nel ventunesimo game della finale del Roland Garros 2015, l’unica giocata dalla tennista di Brno. Di fronte alla sfida estrema del tennis femminile moderno, ovvero affrontare Serena Williams in una finale Slam, sotto di un set, di un break e con il baratro a tre passi, Lucie tira un disperato ceffone mancino in lungolinea con il quale destabilizza Serena. Poi, cercando la palla con troppa pigrizia, sotterra a rete il dritto successivo e manda la statunitense a due punti dal ventesimo Major. La paura si è spesso impadronita di Lucie nel corso della sua carriera, facendosi strada tra le maglie larghe della sua emotività e lasciando privo di protezione un tennis di rara brillantezza.

Nel compendio di Lucie Safarova che è quel game, il punto successivo è infatti un dritto lungolinea dal centro del campo che atterra sulla riga. E un paio di minuti più tardi, per convertire l’occasione che trascinerà quella finale al tie-break e poi al terzo set, la tennista ceca si inventa un meraviglioso rovescio lungolinea anticipato che fotografa la vana rincorsa di Serena. Il rovescio rimarrà nel bilancio della carriera di Safarova un colpo nobile, assieme il più decisivo e il meno stabile, capace di rendere memorabili le sue prestazioni o affossarle. Come l’insicurezza che probabilmente le ha impedito di andare oltre una carriera di prestigio, benché senza l’acuto che in tanti hanno continuato ad attendere sino alla fine. Grossomodo fino a sabato, quando ha convocato i giornalisti a Praga dove si è recata per sostenere le sue compagne impegnate nella finale di Fed Cup: di fronte ai soli cronisti cechi, in una conferenza tenuta interamente in lingua, Lucie Safarova ha annunciato che si ritirerà dopo l’Australian Open 2019.

CARRIERA – Safarova non è stata solo un’ottima singolarista, capace di vincere sette titoli – il più prestigioso a Doha, nello stesso 2015 della finale persa a Parigi – e di un best ranking da numero cinque del mondo ottenuto al termine della sua miglior stagione, impreziosita dalla prima e unica partecipazione alle Finals. Safarova è stata soprattutto una grande doppista. In coppia con Bethanie Mattek-Sands, divertendosi e divertendo, ha vinto cinque Slam centrando due volte la doppietta Australian Open-Roland Garros (2015 e 2017) e vincendo lo US Open nel 2016, risultati che le hanno permesso di vestire i panni della numero uno di doppio per cinque settimane tra agosto e settembre 2017.

Lucie Safarova e Bethanie Mattek Sands in conferenza stampa (Indian Wells 2017)

Un’altra relazione particolarmente fulgida è stata quella tra Lucie Safarova e la Fed Cup, certo facilitata da una scuola tennistica che non accenna a smettere di produrre giocatrici di qualità. Lucie ne ha vinte quattro, almeno tre delle quali da grande protagonista. Su tutte la vittoria del 2012, stagione in cui la tennista è scesa in campo a partire dalle semifinali vincendo tre partite fondamentali: l’incontro di apertura della semifinale contro l’Italia, avversaria Francesca Schiavone, e i due singolari della finale contro la Serbia che l’hanno vista schiantare Jelena Jankovic e Ana Ivanovic.

La stessa Ivanovic sconfitta nel sesto incontro della (quasi) trionfale cavalcata a Porte d’Auteuil del 2015, impreziosita dagli scalpi di Sharapova (campionessa in carica) e Muguruza che quel torneo l’avevano già vinto o lo avrebbero presto vinto. Quando si ha il talento per arrivare in fondo a un grande torneo ma si difetta della continuità per riuscirci con frequenza, serve anche un pizzico di fortuna. Trovarsi di fronte un grande versione di Serena Williams al termine di due settimane in cui si dimostra di poter battere praticamente chiunque, non è certo l’abbraccio della buona sorte.

L’epilogo della carriera di Lucie in fondo è congruente con il suo sviluppo. Equilibrato, come il suo tennis in grado di adattarsi a tutte le superfici forse più delle connazionali, che hanno palesato qualche sintomo di allergia alla terra battuta; un lascito della formazione polivalente che la federazione ceca garantisce ai suoi atleti, come ebbe a dire una volta la stessa Lucie. Anche instabile, come i suoi colpi tanto proiettati all’attacco da farle a volte perdere l’appoggio di entrambi i piedi e renderla preda ideale dei fotografi, che amano gli eccessi e le giocatrici in volo molto più della regolarità. In qualche modo prevedibile, sulla base degli ultimi deludenti risultati che l’hanno esclusa dalla top 100 (ora è n.106), e comunque sorprendente perché a tre mesi dai 32 anni si può anche pensare di ricominciare. Evidentemente per Safarova è stato sufficiente così, anche per una serie di altre ragioni.

Prima tra tutte gli infortuni, causati prevalentemente – per sua stessa ammissione – ‘dallo stress e dai continui viaggi’. Non tutti gli atleti hanno la stessa resistenza e la stessa capacità di ricostruire il puzzle dopo un colpo di sfortuna: l’infezione batterica che ne pregiudicò le prestazioni alle Finals del 2015, duramente conquistate sul campo, e l’infortunio al polso che le impedì di concludere al meglio la scorsa stagione e non l’ha mai realmente abbandonata fino a convincerla che era il caso di smettere. Lucie lascerà il tennis con 22 titoli complessivi (15 in doppio), 4 Fed Cup e una medaglia olimpica, il bronzo conquistato nel 2016 a Rio in coppia con Strycova. E un grosso rimpianto, perché forse quel Roland Garros avrebbe dovuto vincerlo lei.

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