Nei dintorni di Djokovic
Nei Dintorni di Djokovic: Ana Konjuh is back. “Forse non sono fatta per il tennis. Ma non mollo”
A quasi tre anni dal primo stop e dopo tre operazioni al gomito, a Zara abbiamo rivisto in campo Ana Konjuh. L’ex n. 20 WTA, nonostante il ranking protetto, ha deciso di ripartire dalla retrovie (“Sarà strano”) per prendere confidenza con il tennis agonistico. E il ritiro non è più un’opzione (“Ho ancora tante motivazioni”)

L’Adria Tour di Zara, purtroppo, verrà ricordato soprattutto per la positività al COVID-19 di alcuni dei protagonisti e di altre persone – fortunatamente tutte guarite, la cosa più importante – e per le conseguenti polemiche sulla mancata adozione da parte degli organizzatori dell’evento di maggiori precauzioni al fine di ridurre il rischio di contagio. Ma in quel weekend nella città che fu la capitale del Regno di Dalmazia ai tempi dell’impero austro-ungarico, c’è stato comunque qualcosa di bello da segnalare, tennisticamente parlando. Sebbene si sia trattato solo di un doppio di esibizione, in cui insieme a Borna Coric ha affrontato Novak Djokovic ed Olga Danilovic, a Zara abbiamo infatti rivisto in campo Ana Konjuh.
La 22enne talentuosa giocatrice di Dubrovnik era praticamente ferma da quasi tre anni. Da quando nell’agosto 2017, appena entrata in top 20 e dopo aver raggiunto gli ottavi a Wimbledon il mese prima, il gomito destro – già operato nel 2014 – era tornato a farle male. Da quel momento in poi, un calvario. Nell’anno e mezzo successivo, due operazioni all’articolazione (settembre 2017 e marzo 2018), tentativi di rientro e ulteriori terapie conservative. L’avevamo ritrovata in campo all’inizio del 2019. Tre sconfitte in tre incontri, l’ultimo a Budapest, in febbraio, battuta dalla francese Parmentier. E la speranza di essere guarita che subito svaniva davanti alla triste realtà: il dolore al gomito era tornato. Poco dopo ecco la quarta operazione, ultima speranza di risolvere il problema all’articolazione e tornare a giocare senza dolore. Da allora, sono passati altri sedici mesi.
Proprio qualche settimana prima del rientro in campo (prima di Zara, era scesa in campo anche in un’altra esibizione in Croazia, ad Osijek), Ana era stata intervistata in un paio di occasioni dal sito croato 24sata.hr, rivelando i retroscena della decisione di tornare per l’ennesima volta sotto i ferri. “A febbraio ero andata negli USA per una visita, non era previsto che mi operassi, ma è andata così. Il gomito era tornato a farmi molto male, non sapevo cosa fare. Il medico mi disse che non vedeva nulla, ma che era evidente che non potevo più giocare. Si è messo in contatto con i medici che mi avevano operato in precedenza e mi ha dato un’unica opzione: avrei dovuto operarmi di nuovo e avevo cinque minuti per decidere. Il giorno dopo alle cinque del mattino ero sul tavolo operatorio”.
Ora, tutto sta finalmente procedendo per il meglio. “Se non ci fosse stata la pandemia, probabilmente adesso sarei in giro per tornei. Mi alleno ogni giorno e spero di non avere più problemi con gli infortuni. Il gomito va bene e questa volta ho avuto molto tempo per il recupero e per una riabilitazione ottimale e confido di essere pronta quando inizieranno i tornei”.

A Zara la vincitrice nel 2013 di due Slam juniores in singolare, Australian Open e US Open (“È uno dei sogni che non ho realizzato, avrei voluto vincerli tutti e quattro”), ha giocato con una vistosa protezione al gomito, ma a giudicare da quanto visto – a partire da un paio di dritti sparati addosso a Djokovic a rete – la potenza dei colpi che le valsero l’appellativo di “Baby Serena” quando iniziò a muovere i primi passi nel circuito maggiore pare non avere risentito dello stop. “Mi hanno detto che l’80% delle persone recupera completamente da questa operazione (ricostruzione del legamento collaterale ulnare, ndr). Considerando che nessuno sa esattamente quale sia il mio problema – forse è una questione biomeccanica, forse non sono “fatta” per il tennis – nel mio caso questa percentuale è inferiore. Ma mi sono detta: ‘Dai Ana, questo è l’ultimo tentativo’”.
Un tentativo in cui ripartirà da…zero, dato che attualmente non ha una classifica WTA, considerato che gli ultimi punti erano i tre ottenuti a febbraio dell’anno scorso.
In realtà la tennista dalmata potrebbe sfruttare il ranking protetto di n. 255 (“Non sono stata molto tempestiva nel richiederlo” ha ammesso, ed è difficile darle torto considerato che lo ha fatto a metà luglio 2018, a più di dieci mesi dal primo stop e dopo che si era già sottoposta a due interventi: solo un mese prima era ancora n. 127), ma ha dichiarato che non è sua intenzione farlo subito (“Penso di utilizzarlo per le qualificazioni degli Slam”), dato che vuole iniziare giocando tornei di livello inferiore, per riprendere confidenza con i match. Tornei che non frequenta da un bel po’. “Sì, riparto da zero, è così. Ho dimenticato come sia giocare in questi tornei, perché sono passata velocemente da junior a senior. In tutti i casi, sarà strano”.
Siamo andati a controllare e in effetti per Ana sarà veramente strano, perché da quasi sei anni non frequenta i tornei ITF di livello inferiore. A parte infatti il match di primo turno a Trnava, in Slovacchia, nel gennaio dello scorso anno, nell’ultimo tentativo di rientro purtroppo andato male (dove perse 7-6 6-4 dalla n. 153 Martincova, non proprio un sorteggio favorevole per un primo turno ITF), l’ultimo ITF da 25.000$ disputato fu quello di Clemont-Ferrand nel settembre 2014, quando aveva diciassette anni.
In questi ultimi tre anni la vita di Ana è stata ben diversa da quella a cui era abituata, da juniores prima e professionista poi. Tra riposo e riabilitazione, tanto il tempo passato a casa davanti alla TV, a guardare serie TV (“Le adoro. Ho iniziato a guardare “La casa di carta” ma non ho finito. Mi sono dovuta dare una calmata, ero capace di rimanere a guardare puntate fino alle prime ore del mattino…”) e anche altri sport. “Sono diventata un’appassionata di NFL. Passo un paio di mesi all’anno negli USA e mi sono appassionata di questo sport. Eravamo a Cincinnati, vai in un ristorante e tutti ne parlano, guardano i match… Per chi faccio il tifo? Per i San Francisco 49ers, San Francisco è una città che adoro”.
Un’altra curiosità collegata alla nazione nordamericana è il fatto che abbia dichiarato che il suo migliore amico nel tour non è un connazionale, come di solito capita, ma proprio un tennista statunitense, Frances Tiafoe. “Quella dichiarazione devo cambiarla. Il mio amico più caro è Borna Coric. Devo dirlo, perché si è arrabbiato con me quando ho detto che era Tiafoe… Quindi con l’occasione mi scuso con Borna. Tra l’altro, anche Frances si era arrabbiato con me: quando gli avevano tifato contro, o meglio per Borna, quando avevano giocato contro in Coppa Davis a Zara. Non è stato facile…”.

In passato l’allieva di coach Antonio Veic, suo connazionale ed ex n. 119 del mondo, aveva più volte dichiarato – l’ultima solo lo scorso anno – che pensava di smettere presto con la carriera agonistica. “Sì, all’inizio della carriera avevo detto che era mia intenzione giocare fino ai 26 anni e poi crearmi una famiglia, diventare mamma. A causa di questi infortuni i piani sono cambiati. Giocherò probabilmente fino ai 30. Ma potrei ritirarmi prima se raggiungessi quello che vorrei…”. E cosa vuole Ana Konjuh? “Vincere un torneo del Grande Slam, è il sogno di tutti quelli che giocano a tennis. Ed è questo il momento per sperarci, considerato che ci sono tenniste che periodicamente riescono a fare salto e ad ottenere il grande risultato. Basta guardare chi sono le ragazze che hanno conquistato gli ultimi Slam, sono tutte della mia generazione”.
I dati le danno assolutamente ragione: degli ultimi sei Slam solo uno (Wimbledon 2019, Simona Halep) è stato vinto da una giocatrice della generazione precedente. Gli altri sono stati appannaggio, nell’ordine, di Naomi Osaka, coetanea di Ana, di Ashleigh Barty, un anno in più della croata, e di Bianca Andreescu e Sofia Kenin, rispettivamente più giovani di diciassette e dieci mesi.
E magari lo Slam in cui trionfare potrebbe essere quello che ama di più, Wimbledon. “È particolare. Sarà per l’erba, sarà perché siamo tutti vestiti di bianco… Comunque tutti i giocatori vorrebbero giocare una volta nella vita sul Centrale di Wimbledon”. Ma nel breve termine c’è un altro obiettivo a cui la tennista croata tiene in modo particolare: la qualificazione alle Olimpiadi di Tokyo. Ci aveva messo una pietra sopra, ma il rinvio dei Giochi di un anno a causa della pandemia le offre ora una nuova possibilità. “Credo sia il sogno di ogni tennista partecipare alle Olimpiadi. Sono stata a Rio 2016 e la partecipazione ai Giochi è un qualcosa di unico. Spero, se sarò in salute, di poter risalire nel ranking in modo da qualificarmi per Tokyo”.
L’ultima domanda è – purtroppo – doverosa: e se il rientro non dovesse andare secondo i piani? Mesi fa la giovane croata aveva infatti fatto capire che se ci fossero stati dei nuovi problemi, avrebbe potuto veramente decidere di appendere la racchetta al chiodo. Ma il tempo ha stemperato dubbi e preoccupazioni, ed ha anche dato ad Ana la forza e l’energia per ripartire e non pensare più ad arrendersi. “Era una cosa detta a caldo. Se dovesse capitare ancora qualcosa, ritornerei ancora. Ho ancora tante motivazioni”.
Flash
Nei dintorni di Djokovic: venti di Nole
Sono trascorsi vent’anni dalla prima vittoria di Novak Djokovic a livello professionistico. Partiamo da quel giugno 2003 per ripercorrere la carriera del fenomeno di Belgrado attraverso dati, curiosità ed aneddoti delle sue tante prime volte. E l’intreccio con le carriere dei suoi grandi rivali, Roger Federer e Rafa Nadal

Vent’anni. Tra qualche giorno saranno passati vent’anni esatti da quando un ragazzo di Belgrado, che ne aveva compiuto da poco sedici, vinse il suo primo match ufficiale a livello professionistico. E non contento, per far capire da subito che non era uno qualsiasi, vinse anche il torneo. Di chi stiamo parlando lo avrete già capito: Novak Djokovic, colui che una decina di giorni fa ha conquistato il suo 23esimo torneo del grande Slam, record assoluto in campo maschile.
E mentre appassionati e addetti ai lavori già si interrogano se il prossimo mese a Wimbledon il fuoriclasse serbo riuscirà addirittura a migliorare questo primato, aggiungendo un altro trofeo a questa prestigiosa collezione ed eguagliando così l’australiana Margaret Smith Court nella classifica assoluta dei plurivincitori Slam, noi abbiamo pensato di ripercorrere l’incredibile carriera di Nole partendo da quella prima vittoria. Per poi “surfare” tra tante altre sue prime volte (non tutte, sennò non finivamo più), aggiungendo qualche dato curioso qua e là, una spolveratina di aneddoti ed un pizzico dell’intreccio con le carriere dei suoi più grandi rivali: Roger Federer e Rafa Nadal. Nel suo discorso dopo la vittoria al Roland-Garros, infatti, Nole ha voluto sottolineare come non sarebbe diventato il giocatore che è oggi e non avrebbe ottenuto tutti questi successi se non si fosse dovuto confrontare per tutta la sua carriera con questi due incredibili fuoriclasse. Quindi non possiamo ripercorre la sua strada senza dare un’occhiata alla loro.
IL PRIMO TITOLO NON SI SCORDA MAI
Partiamo allora da quel giugno 2003. Il sedicenne Novak Djokovic, da qualche anno trasferitosi all’Accademia di Nikki Pilic a Monaco, aveva fatto il suo esordio a livello Future, perdendo, proprio qualche mese prima nella capitale bavarese. Ma dopo un’altra sconfitta nel primo torneo del circuito satellite che si disputava nella neocostituita Unione statale di Serbia e Montenegro (subentrata a febbraio alla Repubblica Federale di Jugoslavia, già composta dalle sole ex repubbliche jugoslave della Serbia e Montenegro, cancellando così l’ultimo legame, il nome – peraltro mai riconosciuto dalla comunità internazionale -, con la “vecchia” Jugoslavia di Tito) ecco che al Tennis Club Crvena Zvezda di Belgrado arriva la prima vittoria a livello ITF, contro il connazionale Madjarovski, classificato tra i primi 500 al mondo. Ma il giovane Nole non si ferma lì e infila altre quattro vittorie per alzare il suo primo trofeo in campo professionistico. Curiosità: Djokovic ai tempi era tesserato per il TK Partizan, il club belgradese dove era cresciuto tennisticamente prima di trasferirsi alla corte di Pilic, storico sodalizio rivale – a partire dagli sport più popolari come il calcio e il basket – proprio della Crvena Zvezda, di cui peraltro Nole è da sempre grande tifoso.

La vittoria porta al giovane Novak i primi punti ATP e di conseguenza il primo ingresso nel ranking, alla posizione n. 767. Se dividiamo per due, sono più o meno le sue attuali settimane di permanenza al n. 1… Non possiamo però chiudere il capitolo della sua prima vittoria, senza andare a vedere come già in quei giorni il suo destino stava iniziando ad intrecciarsi con quelli di Federer e Nadal. Infatti, mentre Nole vinceva i suoi primi match “pro” anche gli altri due erano alle prese con delle loro prime volte. E che prime volte, soprattutto una! Rafa faceva il suo esordio a livello Slam a Wimbledon, conquistando anche le sue prime vittorie e raggiungendo il terzo turno. Sì, proprio Wimbledon 2003, quello del primo trionfo Slam di Roger Federer. Pare incredibile a farci caso adesso: pochi giorni dopo il primo trionfo ITF di Nole, iniziava di fatto l’epopea dei Big Three, con la conquista del primo dei loro 65 Slam complessivi.
Nella seconda parte del 2003, dopo altre due semifinali raggiunte sempre nello stesso circuito di tornei ITF a Belgrado che gli permettono di salire nel ranking di un’altra sessantina di posizioni, Djokovic gioca solo (e poco) a livello juniores, ma dopo la semifinale a gennaio nel singolare junior dell’Australian Open, inizia a dedicarsi esclusivamente ai tornei “pro”. Disputerà solo ancora un torneo junior qualche mese dopo, vincendo in agosto la European Summer Cup a Verona.
A febbraio fa il suo esordio a livello Challenger, sempre nella natia Belgrado. Anche in questo caso inizia con una sconfitta e ad infliggergliela è un tennista svizzero. Ovviamente non Federer, che proprio in quei giorni, dopo la vittoria all’Australian Open, saliva per la prima volta al vertice della classifica mondiale. A batterlo, tanto per confermare quanto i loro destini si stessero già intrecciando, è l’amico di infanzia di Roger e suo compagno di allenamenti a livello juniores, Marco Chiudinelli. Ok, volete sapere cosa stava facendo Rafa? Ebbene sì, erano giorni importanti anche per lui. Già top 50 da qualche mese, dopo aver raggiunto qualche settimana prima ad Auckland la prima finale ATP, in quel primo weekend di febbraio faceva il suo esordio in Coppa Davis. E come poteva esordire, a 17 anni, il più grande fighter della storia del tennis se non vincendo il singolare decisivo contro Stepanek per il 3-2 Spagna?
LEGGI A PAGINA 2 Dal debutto in Davis ai primi successi
LEGGI A PAGINA 3 Il primo Slam e l’inizio dell’Era Nole
LEGGI A PAGINA 4 Il Nole Slam, il Buco Nero e la Leggenda
evidenza
Nei Dintorni di Djokovic: Nole, ancora tu? Ma non dovevi arrivarci più?
Novak Djokovic ha raggiunto Steffi Graf in testa alla classifica assoluta di settimane di permanenza al n. 1. Solo un anno fa, dopo quanto accaduto a Melbourne, sembrava un’impresa irrealizzabile. Ma, ancora una volta, Djokovic ha stupito tutti e riscritto una pagina della storia di questo sport

È passato un anno. Era infatti lunedì 28 febbraio 2022 quando Medvedev subentrava a Djokovic al vertice della classifica ATP, peraltro interrompendo il monopolio del trono ATP da parte dei Fab Four (Federer, Nadal, Djokovic e Murray – elencati, a scanso di equivoci, in rigoroso ordine cronologico di conquista della prima posizione mondiale) che durava ininterrottamente da ben 18 anni. Da quando cioè – il 2 febbraio 2004 – Roger Federer raggiunse per la prima volta la prima posizione del ranking, dando inizio ad un’era probabilmente irrepetibile, che ha visto per quasi vent’anni il dominio di quattro fuoriclasse assoluti. Sì, consideriamo tale anche Andy Murray, che non vanterà il palmares degli altri tre – ridenominati Big Three proprio dopo che, a partire dal 2017, per i problemi all’anca lo scozzese non è più stato in grado di competere al loro livello – ma che comunque nel periodo in cui duellava con loro ha portato a casa 3 Slam (in 10 finali), 1 ATP Finals, 2 medaglie d’oro olimpiche, 14 Masters 1000 e 41 settimane da n. 1. Ma non divaghiamo, anche se c’è sempre il rischio di farlo parlando di questi quattro fenomeni.
Stavamo dicendo che in quell’ultimo giorno di febbraio di un anno fa Medevdev diventava per la prima volta il n. 1 ATP, superando Djokovic. Il serbo era appena uscito dal “pasticciaccio brutto” dell’espulsione dall’Australia e conseguente forfait all’Australian Open e già sapeva che avrebbe dovuto rinunciare anche ai Masters 1000 di Indian Wells e e Miami, dato l’obbligo di vaccinazione anti Covid previsto per chi si recava negli Stati Uniti. Insomma, Nole si trovava sicuramente in un momento psicologicamente molto difficile. Già reduce dalle delusioni di pochi mesi prima – la mancata medaglia d’oro olimpica, ma soprattutto il Grande Slam sfumato all’ultimo chilometro, con la finale dello US Open persa proprio contro Medvedev – aveva appena visto svanire anche il sogno della decima vittoria a Melbourne e stava realizzando che l’annata sarebbe stata costellata da diversi stop and go agonistici in considerazione della sua scelta di non vaccinarsi e che lo strascico di critiche e polemiche annesse a quanto accaduto Down Under – e in assoluto alla scelta in questione – lo avrebbe accompagnato per parecchio tempo. Ed erano in tanti tra gli addetti ai lavori e gli appassionati a pronosticare che con tutto quel fardello emozionale addosso, per quanto gli era accaduto e gli stava accadendo, difficilmente Nole si sarebbe ripreso del tutto e avrebbe avuto la forza di tornare quella macchina da tennis pressoché perfetta ammirata per tanti anni. E a ritenere, quindi, che il sole sul regno del re serbo fosse tramontato.
In realtà non passò nemmeno un mese che, complici le performance non eccezionali del russo ai Master 1000 di Indian Wells e Miami (anche a causa di un problema fisico che lo ha poi costretto ad operarsi e a fermarsi), il fuoriclasse di Belgrado si riprese lo scettro stando seduto sul divano di casa, vista la rinuncia obbligata al Sunshine Double. Ma i discorsi tornarono d’attualità a metà giugno, quando – usciti dal computo i punti della vittoria al Roland Garros dell’anno precedente – Nole dovette cedere nuovamente la prima posizione a Medvedev. Ci fu il “copia & incolla” di quanto detto e scritto a febbraio, rafforzato da quanto accaduto nel frattempo nel circuito e da quanto si pensava stesse per accadere. L’ascesa prepotente di Alcaraz, che sembrava destinata a proseguire anche nella seconda parte della stagione, soprattutto sul cemento americano. La doppietta Slam di Nadal e la conseguente possibilità che vedendo all’orizzonte la possibilità di realizzare il Grande Slam avrebbe trovato per l’ennesima volta modo di andare oltre gli acciacchi fisici: conoscendo l’animus pugnandi del maiorchino, per molti era quasi una certezza. L’approssimarsi della stagione del cemento americano, dove Medvedev negli ultimi anni aveva sempre reso al meglio. A queste ed alle considerazioni di febbraio che restavano attuali – dato che per i protocolli Covid in vigore non avrebbe potuto partecipare anche i tornei nord-americani dell’estate, US Open compresi – se ne aggiungevano delle altre a sfavore di Nole: l’impatto della cocente sconfitta contro Rafa a Parigi, il fatto che avesse appena superato i 35 anni, che lui stesso avesse dichiarato apertamente come tra i suoi obiettivi non ci fosse più la prima posizione del ranking ma pressoché esclusivamente i tornei del Grande Slam. La mancata assegnazione di punti ATP al torneo di Wimbledon, il Major che in questi ultimi anni lo vede maggiormente favorito e dove non perde dal 2017, sembrava infine l’ultimo colpo di piccone alla possibilità del campione di Belgrado di restare in scia e magari tentare un nuovo sorpasso a fine stagione, grazie agli amati tornei indoor. Insomma, erano di nuovo in molti quelli convinti che la sesta ascesa al trono fosse stata l’ultima e che si fosse veramente giunti al crepuscolo del suo regno.

Ed invece eccoci qua, ad annotare l’ennesimo record del fenomeno serbo. Da questa settimana, infatti, Novak ha raggiunto Steffi Graf per numero di settimane in testa alla classifica mondiale, 377. Eh già, perché da qualche settimana siamo al Djokovic VII. Il sole non era tramontato, c’erano solo tante nubi che lo oscuravano. E Novak le ha spazzate via, con la stessa forza con cui la Košava, il potente e freddo vento che arriva dai Carpazi, in questo stesso periodo le spazza via dai cieli della sua Belgrado.
Questo perché i pronostici di metà giugno sono tutti saltati. Medvedev tornò n. 1 ma da quel momento non ne ha azzeccata praticamente una, tanto che adesso è ai margini della top 10 (ci è rientrato lunedì, grazie alla vittoria a Rotterdam dela scorsa settimana). Anche Nadal non è più riuscito ad ingannare le leggi del tempo e dell’usura fisica: infortunatosi a Wimbledon, non è praticamente più tornato competitivo da allora e a Melbourne ha accusato l’ennesimo acciacco fisico che lo terrà di nuovo lontano dai campi per un po’. Alcaraz a dire il vero ha mantenuto le promesse, ha vinto lo US Open ed è diventato il più giovane n. 1 della storia. Ma ha dovuto pagare dazio per una stagione scintillante ma oltremodo impegnativa, con ben 70 partite disputate. Che sono risultate evidentemente troppe anche per un teenager dal fisico corazzato come lui, visto che sono arrivati gli infortuni – prima lo strappo agli addominali al Masters 1000 di Bercy, poi un problema alla coscia prima dell’Australian Open – che lo hanno tenuto fermo da inizio novembre sino alla scorsa settimana, quando è rientrato sulla terra rossa di Buenos Aires (riprendendo peraltro subito le buone abitudini: cioè vincendo il torneo). E se è vero che a Wimbledon non si assegnarono punti, d’altro canto quella vittoria, la settima ai Championships, confermò a Djokovic di essere di nuovo lui. Di aver cioè metabolizzato tutto quanto era accaduto nei mesi precedenti e di poter ancora essere il “RoboNole” che tutti conoscevano. Tanto che dopo la forzata rinuncia ai tornei sul cemento dell’estate nordamericana ha ripreso il discorso da dove lo aveva lasciato sull’erba londinese: il suo score nei tornei ufficiali, da Wimbledon alle ATP Finals è stato di 25 vittorie ed una sola sconfitta. E così anche quel pronostico era stato smentito: Djokovic era tornato.

“Devo essere meno umile nel 2023: il 2022 mi dice che devo puntare ai grandi tornei, vincerli”. “Voglio rimanere sano e giocare al livello più alto”. Queste le dichiarazioni di Nole a dicembre, poco dopo la sesta vittoria alle ATP Finals che gli ha consentito di raggiungere Federer in testa alla classifica dei plurivincitori del torneo, pienamente in linea con la consapevolezza appena acquisita di essere di nuovo il giocatore da battere. Detto, fatto. Ed è così che a gennaio (aggiornando nel frattempo lo score vittorie-sconfitte dal giugno scorso ad un impressionante 35-1) ha realizzato il sogno sfumato lo scorso anno: ha conquistato il suo decimo Australian Open. Ed è tornato per la settima volta in testa alla classifica. La prima fu il 4 luglio 2011, dopo il suo primo successo a Wimbledon. Raggiunta Steffi Graf, come dicevamo, ma già certo di superarla. Il prossimo lunedì, infatti, il solo Alcaraz potrebbe eguagliare il suo punteggio nel ranking, vincendo questa settimana l’ATP 500 di Rio de Janeiro, ma Nole rimarrebbe comunque il n. 1 in quanto ha conquistato complessivamente più punti tra Slam, Masters 1000 Mandatory e ATP Finals. Tra qualche settimana molto probabilmente dovrà di nuovo abdicare, anche se la prossima facesse bottino pieno a Dubai, dato che i protocolli anti Covid USA non gli consentiranno di partecipare neanche quest’anno al “Sunshine Double”. Ma attenzione: da qui al Roland Garros (compreso), Alcaraz difende oltre 3.000 punti, Nadal poco più di 2.800 punti, Ruud e Tsitsipas circa 2.300, Nole invece meno di 2.000. E poi arriverà Wimbledon, stavolta con i punti in palio. Insomma, un Djokovic VIII e quota 400 settimane non sembrano proprio traguardi impossibili.
Concludiamo l’articolo riportando alcuni dati – anche aggiornando parte di quelli riportati di recente da Ferruccio Roberti nella sua rubrica “Numeri” – che certificano, al di là dei calcoli del computer ATP, di come il fuoriclasse serbo sia stato il n. 1 del tennis maschile di questi ultimi dodici anni. Diciamo dodici perché è vero che divenne n. 1 per la prima volta a metà 2011, ma la sua supremazia si delineò sin dall’inizio di quella stagione, dato che arrivò a Londra avendo già vinto l’Australian Open e 4 Masters 1000: dopo i Championship, il suo score stagionale fu di cinquanta vittorie ed una sola sconfitta, quella nella semifinale del Roland Garros contro Federer. A partire dal 2011 Djokovic ha vinto 21 dei 45 Slam (il 46,7%) e 33 dei 79 Masters 1000 (41,7%) a cui ha partecipato. In questo lasso temporale solo Nadal è riuscito a stargli (quasi) a ruota, grazie soprattutto al predominio sulla terra battuta: Rafa ha infatti vinto 13 Slam e 18 Masters 1000, di cui rispettivamente 9 e 13 sul mattone tritato. Molto più lontani gli altri due Fab Four, a partire da Sua Maestà Roger Federer che negli ultimi dodici anni ha vinto 4 Slam e 11 Masters 1000. Giusto evidenziare come il fenomeno di Basilea abbia scontato la differenza di età con i suoi grandi rivali: in quel 2011 Roger compì trent’anni, Djokovic 24 e Nadal 25. Per il coetaneo di Nole, Murray, 3 Slam e 8 Masters 1000, ma come già detto è stato competitivo al top per i primi cinque anni, fino al 2016. E tornando a parlare della prima posizione del ranking vera e propria, da quel 4 luglio 2011 Djokovic, come dicevamo, ha occupato la prima posizione del ranking ATP per 377 settimane, ovvero per il 64,3% del tempo (sono escluse dal calcolo le 22 settimane in cui il ranking fu congelato per la sospensione dell’attività a causa della pandemia). Gli altri lo seguono ben distanti: Nadal 107, Murray 41 e Federer 25.

Certo, la vittoria a Melbourne per quanto netta ha comunque fatto capire, visto il problema muscolare accusato alla coscia e risolto quasi miracolosamente (uno dei possibili argomenti della conferenza stampa indetta per oggi all’ora di pranzo a Belgrado, dato che aveva accennato a tale possibilità verso la fine dell’Australian Open; un altro potrebbe essere un aggiornamento sullo stato di avanzamento della sua richiesta di un permesso speciale per giocare tra due settimane negli USA), che neanche il fisico bionico di Djokovic può sfidare le leggi del tempo. E che i quasi 36 anni, le oltre 1.200 partite da professionista, i diciotto anni e mezzo nel circuito maggiore (l’esordio fu ad Umago nel 2004, perse al primo turno contro l’attuale capitano azzurro di Davis, Filippo Volandri), prima o poi presenteranno il conto anche a lui.
Anche se con tutte le volte che ci ha sorpreso in questi anni quasi quasi un piccolo dubbio viene… Viene quasi quasi da chiedersi, tra il serio e il faceto (del resto siamo a Carnevale, no?), se siamo proprio sicuri che tra tutto quello che Djokovic ha studiato, scoperto, fatto e utilizzato per prendersi cura del proprio corpo, sia dal punto di vista fisico che spirituale – la camera iperbarica, la dieta, lo yoga, la meditazione -, non ci sia anche lo specchio di Dorian Gray? E che magari lui abbia trovato il modo per renderlo infrangibile. Per continuare a riflettere quel sole che, probabilmente, vorrebbe non tramontasse mai.
Australian Open
Nei dintorni di Djokovic AO Edition: a Melbourne è l’ora del D10KO?
Per gli addetti ai lavori è Djokovic il grande favorito dello Slam di apertura della stagione 2023. Vediamo cosa fa pensare che assisteremo alla sua decima cavalcata trionfale a Melbourne e cosa invece può far dubitare che l’aggancio a Nadal a quota 22 Slam sia dietro l’angolo

Sono passati meno di due mesi dalle ATP Finals e ancor meno dalle fasi finali della Coppa Davis ed il tennis professionistico torna a fare sul serio: lunedì a Melbourne inizia il primo Slam stagionale, l’edizione n. 111 dell’Australian Open. E come si immaginava quando c’è stata la conferma della revoca del divieto di ingresso in Australia per tre anni comminatogli dopo quanto accaduto lo scorso anno, il grande favorito è Novak Djokovic. Il fuoriclasse serbo è a caccia del suo decimo Slam Down Under, che significherebbe agganciare Nadal a quota 22 nella classifica totali dei Major vinti e, tanto per non farsi mancare nulla, anche la riconquista – ne entrerebbe in possesso per la settima volta – di quello scettro di n. 1 mondiale che ha tenuto per più tempo di tutti (373 settimane). Ma quali sono i motivi principali che portano a ritenere il 35enne campione di Belgrado in grado di portare a termine l’ennesima impresa da record – il secondo tennista in campo maschile a raggiungere la doppia cifra nelle vittorie di un singolo Slam dopo Nadal al Roland Garros – e quali invece i segnali che portano invece a ipotizzare che ci sia la possibilità che i pronostici vengano sovvertiti? Abbiamo cercato di riassumerli qui di seguito.
I punti a favore
Sia parlando di dati statistici che di risultati recenti, i numeri sono dalla parte di Nole. Che si presenta ai nastri di partenza con una imbattibilità sui campi di Melbourne Park che dura dal 2019 (striscia di 27 vittorie consecutive: ultima sconfitta nel 2018, contro Chung negli ottavi), con tre vittorie nelle tre ultime partecipazioni, ed un parziale negli ultimi sette mesi di 30 vittorie ed una sola sconfitta (la finale del Masters 1000 di Bercy contro Rune) in match ufficiali. Ne dovrebbe derivare un serbatoio dell’autostima bello pieno, e sappiamo quanto conti per il belgradese poter approcciare un grande evento con la miglior attitudine mentale. Considerazione, quest’ultima, rafforzata dalle prestazioni della scorsa settimana ad Adelaide, che hanno evidenziato come anche tecnicamente e fisicamente la condizione del tennista serbo sia ottimale. Aggiungiamo il fatto che il lotto dei suoi principali competitors non è che invece se la passi benissimo: se ci focalizziamo sui più recenti campioni Slam, Alcaraz è fuori dai giochi, Nadal non ha brillato alla United Cup e le recenti dichiarazioni ottimistiche non possono dissipare i dubbi sul suo stato di forma, Medvedev in queste non ha dato segnali di essere tornato quello del biennio 2020-2021 e non la copia un po’ sbiadita vista all’opera lo scorso anno.
Anche il sorteggio pare sia stato benevolo con Nole. Non si vedono infatti grossi ostacoli sino ai quarti di finale, anche se la sfida a Carreño Busta a livello di ottavi evoca spiacevoli ricordi newyorchesi. Nei quarti invece qualche problemino – e ci mancherebbe altro, potrebbe dire qualcuno, dato che è uno Slam e siamo a livello di top ten – potrebbe arrivare. A rigor di classifica a procuraglieli dovrebbe essere il n. 6 del mondo Rublev, ma forse potrebbe averne qualcuno in più se dall’altra parte della rete trovasse quel Rune che è l’unico che può dire di averlo battuto da giugno a questa parte in un torneo ufficiale. E probabilmente sarebbero anche maggiori se invece ci fosse quel Kyrgios che il primo set della finale di Wimbledon glielo aveva portato via e che di fronte ai suoi connazionali trova sempre energie e soprattutto motivazioni extra. Ma un Nole che arriva alla seconda settimana senza aver speso troppe energie sotto il sole dell’estate australiana, e i suoi potenziali primi tre turni rendono l’ipotesi parecchio plausibile, dovrebbe essere nelle condizioni psicofisiche ottimali per tenere a bada tutti i nomi fatti, compreso il suo nuovo amico di Canberra. Anche i possibili incroci in semifinale non paiono ostacoli insormontabili: per quanto entrambi siano in evidente crescita, affrontare uno tra Ruud (anche se noi speriamo che da quello spicchio di tabellone salti fuori Berrettini) e Fritz – anche qui qualche doloroso ricordo, anche se tutto è bene quel che finisce bene – per arrivare alla trentatreesima finale Slam non è la peggiore delle combinazioni possibili.
In finale dovrebbe trovare uno tra – in ordine di ranking – Nadal, Tsitsipas (qui per Sinner vale ovviamente la stessa speranza espressa prima per Berrettini) o Medvedev. Con il maiorchino, al netto delle considerazioni precedenti sul suo stato di forma, al di fuori della terra battuta non perde da quasi 10 anni (finale US Open 2013) e nell’ultima sfida a Melbourne, la finale 2019, dominò. Con il greco non perde dal 2019 ed ha vinto gli ultimi sette head to head, comprese le due sfide Slam finite al quinto a Parigi. Con il russo c’è sicuramente la ferita della sconfitta subita nella finale dello US Open 2021 che ha fatto svanire il sogno del Grande Slam proprio sul traguardo, ma all’inizio di quell’anno un Nole non a corto di energie come a New York aveva vinto in tre set la finale australiana e abbiamo già detto che Daniil non sembra ancora uscito dal tunnel 2022, stagione che lo ha visto perdere tre sfide su tre contro Nole. Insomma, a questo punto, per mettere un po’ di pepe forse vale la pena inserire anche il nome di Auger-Aliassime tra quelli dei possibili finalisti, dato che prima o dopo ci arriverà e considerato il fatto che tra tutti i giocatori citati è l’unico insieme a Rune che è in parità negli scontri diretti con il fenomeno serbo, anche se solo grazie al fatto che la vittoria nella Laver Cup su un Djokovic acciaccato è calcolata nelle statistiche. Ma con FAA o senza, la sensazione è che la sostanza non cambi: chiunque si troverà di fronte in finale, il campione serbo partirà favorito.
I punti di attenzione
Insomma, tutto sta filando liscio e non ci sono dubbi che Nole metta nella bacheca del suo Novak Tennis Center di Belgrado l’ennesima riproduzione della coppa del vincitore dell’Australian Open? Keep calm, per dirla come gli australiani (a meno che nel loro tipico slang non abbiano un modo diverso per dirlo, ma non risultava). Al netto dell’ovvia considerazione che nello sport non è mai finita finché non è finita e che di clamorose eliminazioni dei grandi favoriti sono pieni gli annali, non è che proprio tutto stia filando liscio come l’olio in casa serba. Ci sono infatti dei segnali che possono dare un po’ di coraggio ai suoi avversari e che probabilmente si possono ricondurre tutti ad un’unica considerazione: nonostante in campo cerchi di non darlo a vedere (e gli riesce benissimo), Nole veleggia verso le 36 primavere. E per quanto appunto non abbia niente dell’agonista over 35, si può notare come qualche acciacco ogni tanto inizi a saltar fuori anche per lui. È successo sia la scorsa settimana durante il torneo di Adelaide, sia in questi giorni di allenamento a Melbourne. Niente di preoccupante, a suo dire. Ma come sappiamo che quando sente girare tutti gli ingranaggi alla perfezione Djokovic è in grado di trasformarsi in RoboNole e diventare pressoché imbattibile, dall’altra parte abbiamo anche visto che quando invece percepisce che qualcosa non va nel verso giusto la cosa può impattare sul suo approccio in campo e far intravedere qualche crepa nel suo gioco, in cui gli avversari più accorti possono infilarsi (ed è logico pensare a Nadal, anche solo ricordando la rimonta da 2-5 nel quarto set dei quarti dell’ultimo Roland Garros). Il nervosismo dimostrato nella finale di Adelaide ne è l’esempio più recente.
E non si può inoltre non osservare il fatto che comunque, anche se alla fine la vittoria la porta poi a casa praticamente sempre lui, Nole nell’arco di un match non appare più così dominante come in passato. Giocoforza, infatti, dopo vent’anni dalla prima partita da professionista – era il 6 gennaio 2003, perse al primo turno di un ITF in Germania – e oltre 1200 partite a livello ATP, l’intensità in campo non può più essere sempre quella di una volta: i momenti di pausa durante i match sono un pochino più frequenti, le chance non vengono sfruttate con la chirurgica lucidità di qualche anno fa. E anche se, soprattutto al meglio dei cinque set, la classe, l’esperienza e la forza mentale gli permettono di alzare il livello e fare ancora la differenza nei momenti decisivi di un match, far rimanere in partita avversari che spesso hanno dieci e più anni di meno e soprattutto non hanno telaio e motore usurati da centinaia di partite in più, può diventare estremamente pericoloso se la partita si allunga e il fisico diventa il fattore più rilevante, specie sotto il cocente sole australiano.
Conclusioni
Diciamo che se il fisico non lo tradisce, tutto fa pensare che sia l’ora del D10KO, se ci consentite di sintetizzare così, a mo’ di hashtag, l’obiettivo del fuoriclasse belgradese: la conquista della decima vittoria a Melbourne. L’unico appiglio per gli avversari è appunto il fatto che il tempo, citando Jovanotti, “comunque vadano le cose lui passa” e quindi ad un trentacinquenne può presentare il conto quando meno se lo aspetta. A proposito, com’è la statistica dei vincitori Slam over 35? Ah, già: Federer e Rosewall a quota tre vittorie, Nadal a due e Djokovic a una. Lo ammettiamo, non l’avevamo considerata nel fare le nostre riflessioni. Ma, tutto sommato, che rilevanza volete che abbia? Nole mica è il tipo che si pone sempre nuove sfide e trae energia dai nuovi obiettivi, come diventare non solo il giocatore con più vittorie Slam in assoluto ma anche da over 35, no?