I 33 anni di Andrea Arnaboldi: "Mi arrabbio se penso che non ho ancora vinto un Challenger"

Interviste

I 33 anni di Andrea Arnaboldi: “Mi arrabbio se penso che non ho ancora vinto un Challenger”

Un tennis sempre piacevole, ma finora gli è mancato l’acuto per entrare in top 100: “Non credo di essere più emotivo di altri. Il posto più brutto in cui ho giocato? Marocco, un hotel imbarazzante in mezzo al niente!”

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Andrea Arnaboldi - ATP Challenger Bergamo 2020 (foto Antonio Milesi)
 

Abbiamo raggiunto telefonicamente Andrea Arnaboldi (n.268 ATP) proprio nel giorno in cui è stato ufficializzato il calendario Challenger per i primi due mesi del 2021, ma come è ormai consuetudine – lo abbiamo fatto con Zeppieri, Lorenzi e Caruso – pubblichiamo la chiacchierata in occasione del compleanno di Andrea, che oggi compie 33 anni.

Buongiorno Andrea, innanzitutto grazie per il tuo tempo. Come ti sembra questa prima parte di calendario?
Figurati, è un piacere parlare con voi. Ed è un sollievo poter finalmente ragionare con qualcosa di ufficiale in mano. Premetto che capisco le difficoltà dell’ATP nell’organizzare un calendario in piena pandemia. Vedo però che purtroppo i Challenger rimangono pochi e che cominciano due settimane dopo rispetto al circuito maggiore. Questo significa aumentare le differenze tra quelli che stanno nei primi 200 e tutti gli altri.

Tu come ti programmerai?
Per prima cosa mi prenderò alcuni giorni per valutare bene anche se è evidente che i due tornei di Biella offrano un indubbio vantaggio logistico. Non male neppure il circuito turco (tre tornei tra Istanbul e Antalya a partire dal 18 gennaio, ndr). Come anche quello francese (anche qui tre tornei in sequenza a partire dal 25 gennaio: Quimper, Orleans e Cherbourg, ndr).

Hanno evidentemente cercato di accorpare le date.
Certo, è evidente lo sforzo di creare delle sinergie e dunque di favorire i giocatori. Lo apprezzo molto.  

Dal 10 al 13 gennaio ci sarebbero anche le qualificazioni degli Australian Open a Doha. Tu sei dentro?
Sono fuori di poco. Certo che se dovessero esserci delle defezioni ci metto un attimo a infilare racchette e costume in valigia e a correre in aeroporto.

Il 27 dicembre (oggi, ndr) festeggi il compleanno, toglimi una curiosità: da piccolo la vicinanza col Natale ti ha penalizzato? 
Ci puoi scommettere, sono sempre rimasto fregato! Un regalo unico e via così. Un bimbo rischia di subire dei traumi (ride, ndr).

Il tuo tennis spicca nettamente nei Challenger, purtroppo al momento più come livello di gioco che come risultati. Che spiegazione ti sei dato?
Bella domanda, non sei il primo che mi dice questo. Da un certo punto di vista mi fa piacere. Mi arrabbio però molto se penso che ancora non sono riuscito a vincere un Challenger quando invece so di avere il livello. Forse mi è mancata un po’ di determinazione nei momenti in cui ho avuto delle chance. Ad esempio in novembre a ‘Parma 2’ ho battuto Barrere (la testa di serie n.1, ndr) al termine di una bellissima partita e in semifinale, sopra di un set, ho sprecato molte occasioni contro il britannico Liam Broady.

È un problema emotivo?
Non credo. Certo tutti sentiamo l’importanza di certi punti, ma sinceramente non credo di essere più emotivo di altri.

La tua superficie ideale è il veloce, vero?
Sicuramente la partita della vita la giocherei sul veloce. Devo dire che comunque non disdegno la terra.

Proprio alla terra battuta è legato il tuo ricordo più bello quando nel 2015 al Roland Garros superasti nelle qualificazioni il francese Pierre-Hugues Herbert (attuale n.83 ATP, ndr). Il match (6-4 3-6 27-25) durò oltre quattro ore e mezza, tuttora record assoluto per una partita di tre set.
Ricordi bellissimi che mi porto sempre dietro. A proposito dell’emotività di cui si parlava prima, nel terzo set di quella partita ero consapevole che ogni game poteva essere l’ultimo e questo mi fece vivere con grande intensità ogni singolo momento. Ero in una specie di bolla emotiva che in pratica mi impediva di razionalizzare quanto stava succedendo e quindi di avere paura.

Giocare in uno Slam significa entrare in un’altra dimensione?
Sì, da ogni punto di vista. Ci sono molte più cose in palio: più punti, più soldi e un prestigio che i Challenger non ti daranno mai. Di conseguenza anche il tuo impegno e la tua concentrazione salgono in proporzione.

Andrea Arnaboldi – Wimbledon 2019 (foto Roberto Dell’Olivo)

In quel torneo dopo aver superato James Duckworth al primo turno perdesti contro Marin Cilic, allora un top player. Hai avuto altre esperienze con giocatori di vertice?
A Roma nel 2015 ho giocato contro Goffin quando era n.12 (onorevole sconfitta in tre set, ndr) e qualche anno fa mi sono allenato a Doha con Djokovic. Con Nadal e Federer invece non ho mai incrociato la racchetta.

Wimbledon 2019, perdesti al primo turno con Karlovic.
Sull’erba era obiettivamente un turno piuttosto complicato. Tornando in spogliatoio realizzai che forse avrei potuto fare di più (6-4 6-4 7-6) contro un avversario che non è certo imbattibile. Il problema con lui è che non riesci mai a prendere ritmo.

Il fatto che tu sia mancino è un vantaggio?
Penso che sia un piccolo vantaggio, ma solo per il fatto che ce ne sono pochi e dunque gli avversari sono meno abituati.

Si dice che i mancini siano ingiocabili quando battono da sinistra.
Dipende sempre da che tipo di risposta ti trovi davanti. Ci sono dei giocatori che soffrono il servizio a uscire, io stesso sono un po’ in difficoltà quando gioco contro un altro mancino. Altri avversari invece neutralizzano facilmente questo tipo di servizio.

Da giovane sei stato sei anni in Spagna.
Esperienza bellissima. Qui in Italia avevo già lavorato con un preparatore atletico che faceva base a Valencia, mi ero trovato bene e così mi invitarono a fare lì la preparazione invernale. Dovevo rimanere un mese ma si creò un tale feeling con il coach Josè-Luis Aparisi che rimasi sei anni. Fu un’ottima scelta per il mio tennis ma anche per la mia persona.

Parlerai benissimo spagnolo.
Beh sì, sei anni sono tanti. Non l’ho mai studiato ma l’ho imparato abbastanza in fretta.

E con l’inglese?
Me la cavo. Le lingue mi piacciono molto. Ai tornei parlo spesso con gli stranieri.

Chi sono i tuoi migliori amici nel circuito?
In genere ho ottimi rapporti con tutti ma se devo sceglierne uno, dico sicuramente Luca Vanni. Abbiamo un bellissimo rapporto. Ma vado d’accordo anche con i ragazzi più giovani, tipo Pellegrino.

A proposito di ragazzi giovani pronostico secco su quello che sarà il best ranking di Sinner e Musetti.
Entrambi in top 10. Ma secondo me Sinner potrebbe ambire anche a qualcosa di più.

Tipo numero 1?
Lo hai detto tu (ride; in realtà lo ha detto anche Lorenzi!, ndr)

Prima delle partite hai dei rituali?
Dei rituali miei per preparare al meglio l’ingresso in campo. Poi sì, qualcosa di scaramantico può capitare. Ma non voglio farmi condizionare, sennò rischio di entrare in campo preoccupato.

A proposito di scaramanzia e rituali, tutti i giocatori quando stanno per servire prendono sempre in mano tre palline per poi restituirne una al raccattapalle. Ha un significato particolare?
Nel mio caso è una cosa puramente tecnica, cerco di scegliere la pallina più nuova, quella meno consumata. Poi può essere che per alcuni anche questo sia diventato una specie di rito.

Hai da poco cambiato coach. Giorgio Mezanzani ti segue nei tornei?
Sai, abbiamo iniziato da poco a lavorare assieme e quest’anno non è che si sia viaggiato tanto. Penso però che avere con sé uno staff, per quanto ridotto, possa fare la differenza. Nel mio caso lui e Stefano Viganò, il mio preziosissimo e insostituibile preparatore atletico.

Viaggiare con lo staff è economicamente sostenibile?
Dipende da come uno vuole investire i propri guadagni. A livello Challenger, con un po’ di sacrifici, si può fare. Considera che l’organizzazione da una bella mano, facendosi carico dei pernottamenti e talvolta anche dei pasti.

Andrea Arnaboldi – ATP Challenger Parma 2 2020 (foto Marta Magni)

Ti piace viaggiare?
Non mi pesa assolutamente.

Riesci anche a fare del turismo?
Ultimamente mi piace ritagliarmi un po’ di tempo per vedere delle cose. Senza esagerare ovviamente, ma un pomeriggio ogni tanto può essere interessante. Recentemente ho visitato Porto e Istanbul ed è stato molto piacevole.

Invece il posto più orribile dove hai giocato?
Ce ne sono diversi. Mi ricordo in particolare un Future in Marocco quando con Luca Vanni finimmo a dormire in un hotel imbarazzante, in mezzo al niente. Ne parliamo sempre quando ci incontriamo (ride, ndr).

Quando sei in viaggio come occupi i momenti off?
Netflix, al contrario di molti colleghi, lo uso davvero poco. In questo momento sto leggendo un libro sugli All Blacks e porto sempre con me la settimana enigmistica. Una cosa un po’ da vecchietti (ride, ndr) ma a me piace un casino.

Si dice che tu sia un buon chitarrista.
Chi ha fatto la ‘spiata’ è stato troppo gentile, ho effettivamente un paio di chitarre, ma purtroppo è da un po’ che non suono e sono decisamente arrugginito.

Pratichi e/o segui altri sport?
Mi piace molto giocare a golf, ho un bellissimo campo vicino a casa e ci vado appena posso. Seguo anche le gare del PGA Tour quando le passano in TV, altrimenti cerco i filmati. Chissà, forse un giorno potrei giocare contro Nadal (più che un appassionato, visto che si distingue anche in tornei pro, ndr), visto che non ci sono riuscito su un campo da tennis.

So che sei interista.
Ti prego, sono in lutto dopo che siamo usciti dalla Champions League. Secondo me soprattutto per colpa dell’allenatore di cui non condivido per niente le scelte.

Il tuo rapporto coi social? Non mi sembri particolarmente attivo.
È così, guardo, osservo ma non scrivo più di tanto. Potrei promuovermi un po’ meglio ma lo strumento non mi fa impazzire.

A proposito di social mi hanno raccontato degli insulti che voi giocatori ricevete in caso di sconfitta.
Nel mio caso anche quando vinco.

Gente che aveva scommesso sulla tua sconfitta?
Immagino di sì.

Cosa pensi del problema delle scommesse nel mondo del tennis?
La T.I.U. (Tennis Integrity Unit) sta andando giù duro ma temo che in realtà nella rete rimangano solo i pesci piccoli. La mia opinione sull’argomento è molto chiara. Se uno fa queste cose deve essere radiato, non importa quanto sia ‘pesante’ il suo nome.

Meglio tornare al campo. Tu sei anche un ottimo doppista.
Il doppio mi piace molto ed è mia intenzione tornare a giocarlo più spesso nel 2021. È comunque un introito e in prospettiva una buona carriera. Il problema è che spesso devi improvvisare la formazione perché è difficile avere la stessa classifica e lo stesso percorso di quelli con cui ti piacerebbe giocare. Ed è per questo motivo che non ho mai avuto un compagno fisso.

Federer si ritira?
Speriamo di no, anche se le sue ultime dichiarazioni lo lasciano temere. Non penso però che vorrà mancare a Wimbledon, anche se il 2021 sarà molto probabilmente il suo ultimo anno.

Dimmi qualcosa di tuo cugino Federico (20 anni, n.901 ATP, ndr).
Secondo me ha grandi qualità e penso che farà veramente bene. Certo ha bisogno di tempo per maturare sia come persona che come giocatore.

Andrea grazie di tutto e auguri sia per il compleanno che per le Festività. Spero che il 2021 ti porti tante soddisfazioni.
Grazie a te e a tutti i lettori di Ubitennis.

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