Tokyo 2020: le Olimpiadi delle giocatrici ritrovate, da Bencic a Vondrousova - Pagina 5 di 5

Al femminile

Tokyo 2020: le Olimpiadi delle giocatrici ritrovate, da Bencic a Vondrousova

Belinda Bencic e Marketa Vondrousova era reduci da un 2020 di crisi, ma ai Giochi di Tokyo hanno saputo riproporre il loro miglior tennis

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Belinda Bencic - Olimpiadi di Tokyo
 

5. Marketa Vondrousova
Una medaglia d’argento fortemente desiderata, ma anche fortemente meritata. Come abbiamo già visto, prima passata attraverso la decisione di ricorrere a ogni mezzo possibile per essere presente a Tokyo, ma poi raggiunta grazie alla qualità di tennis offerta sul campo.

Sembrava che la miglior Vondrousova fosse evaporata due anni fa, quando al Roland Garros, ancora teenager (è nata il 28 giugno 1999), era stata capace di raggiungere la finale. Subito dopo un infortunio al polso (con tanto di operazione) l’aveva obbligata a fermarsi sei mesi. Al rientro si era ripresentata una giocatrice molto meno consistente, a volte incline ai doppi falli e con troppi errori non forzati a zavorrare le sue possibilità. Problemi che davano l’impressione di avere minato la sua fiducia e la capacità di lottare durante i match. Insomma, il classico circolo vizioso difficilissimo da spezzare.

Alle Olimpiadi ha esordito contro Kiki Bertens: un match che purtroppo non ho visto (terminato 6-4, 3-6, 6-4). Sulla carta si trattava di un confronto tra due giocatrici con seri problemi di condizione, destinate a fare poca strada nel torneo. Del resto Marketa era reduce da un pessimo Wimbledon: aveva perso 6-2, 6-4 contro la sorpresa Emma Raducanu (numero 338 del ranking). Ho seguito parte di quel match londinese; senza giri di parole: Vondrousova aveva giocato male, lontanissima dai suoi migliori livelli.

Ma evidentemente qualcosa è scattato a Tokyo, e sin dal secondo turno contro Buzarnescu (6-1, 6-2) Vondrousova ha cominciato a viaggiare spedita, grazie a un tennis che si sposava perfettamente con le condizioni di gioco. E così abbiamo ritrovato la giocatrice che non potrà mai spazzare via le avversarie di potenza, ma che dispone di grande intelligenza nell’interpretare i match, oltre che della capacità di sottoporre alle avversarie una serie di rebus tecnico-tattici inusuali nel panorama contemporaneo.

Sicuramente la vittoria contro Naomi Osaka, il personaggio copertina di queste Olimpiadi nel tennis, le ha dato ulteriore fiducia, anche perché ha in gran parte dominato il match (6-1, 6-4). A quel punto è stata brava a reggere alla “prova del nove” dei turni successivi, che pure non erano facili. Ha sconfitto Badosa (6-3, ritiro) e soprattutto in semifinale non ha lasciato scampo a Svitolina, testa di serie numero 4, la più alta rimasta in corsa nelle fasi finali del torneo.

Contro Elina ha dato la sensazione di governare il gioco a piacimento, facendo leva su tutte quelle caratteristiche che erano risultate indigeste anche per Osaka: la capacità di manovrare la palla non solo in direzioni differenti ma anche sulla verticale, attraverso un intero repertorio di colpi di profondità differente. Colpi cioè che non si limitavano alla semplice variazione “palla lunga alternata a qualche palla corta”, ma che presentavano tante differenti sfumature di spin e di velocità.

Naomi aveva perso 6-1, 6-4. Svitolina 6-3, 6-1. Ad Elina non è nemmeno bastato rispondere molto meglio di Osaka: anche entrando più spesso nello scambio, le parabole di Marketa hanno messo costantemente a disagio Svitolina, che ha chiuso con un saldo di -16 (13 vincenti, 29 errori non forzati).

Nella finale per l’oro contro Belinda Bencic, Vondrousova è andata vicina al successo: in ogni set è stata in vantaggio di almeno un break, ma non è riuscita a contenere i recuperi di Belinda, che quando si è trovata sotto nel punteggio (nel primo e nel terzo set) ha reagito con enorme grinta e coraggio, fra l’altro alzando anche la qualità della battuta.

E così, con la medaglia d’argento al collo, Vondrousova ha cancellato le tante critiche che in patria l’avevano accompagnata quando aveva deciso di fare ricorso al ranking protetto, estromettendo dai Giochi Karolina Muchova. Certo, non possiamo sapere se Muchova sarebbe stata in grado di fare meglio, ma rimane il dato che l’argento di Marketa è, in tutta la storia delle Olimpiadi, la medaglia più pregiata raccolta dal tennis ceco nel singolare femminile.

6. Elina Svitolina ed Elena Rybakina
La medaglia di bronzo dell’esperienza e della voglia di lottare, anche a dispetto di un gioco non proprio scintillante. A mio avviso Elina Svitolina non ha offerto il miglior tennis del torneo, però ha dimostrato che per batterla occorre davvero raggiungere livelli alti, perché altrimenti lei ci proverà fino all’ultimo a rovesciare a proprio favore le sorti del match.

Tre set contro Siegemund al primo turno (6-3, 5-7, 6-4), tre set contro Tomljanovic al secondo (4-6, 6-3, 6-4), tre set contro Sakkari al terzo turno (5-7 6-3 6-4). Non è stato semplice per Elina approdare ai quarti di finale contro Giorgi. Poi ha sconfitto Camila con un doppio 6-4, rischiando però di farsi recuperare dopo due inizi di set largamente favorevoli.

Con la vittoria su Giorgi è entrata nel giro medaglie, ma, come detto, in semifinale non è riuscita a trovare la chiave per venire a capo del tennis di Vondrousova (ha perso 6-3, 6-1). Però di nuovo grazie al terzo set è riuscita a sconfiggere Rybakina (1-6 7-6(5) 6-4), conquistando almeno il bronzo.

Sul piano tecnico secondo me ci sono state alcune soluzioni di gioco che le hanno permesso di arrivare alla sospirata medaglia. Intanto la capacità di mantenere lunga la palla anche quando è costretta al contenimento. Molto spesso sono proprio quei centimetri in più nella lunghezza delle parabole che rendono un colpo più o meno attaccabile. E in questo Svitolina è senza dubbio una delle migliori.

Quando invece si è proprio trovata alle corde, ha chiesto aiuto ai colpi choppati, che Elina sa eseguire bene sia di rovescio che di diritto. E sulla efficacia dei chop sui campi di Tokyo e le conseguenti difficoltà che proponevano alle attaccanti ho già parlamento ampiamente a pagina 2. Ultima dote che in alcuni frangenti si è rivelata fondamentale: la capacità di sfoderare servizi vincenti nei momenti in cui occorreva di più. Insomma, Svitolina non sarà la giocatrice più spettacolare del circuito, ma se è da parecchi anni in Top 10 è perché ha una consistenza da non sottovalutare.

Dunque la finale per il terzo posto fra Svitolina e Rybakina ha deciso chi fra le quattro semifinaliste sarebbe rimasta senza medaglia. E la “sfortunata” è risultata Elena Rybakina. Ad Elena non è servito il percorso netto sino ai quarti di finale. Al dunque ha perso le due partite che contavano davvero.

Questo il percorso di Rybakina: 6-4, 6-2 a Stosur, 6-2, 6-3 a Peterson, 7-6, 6-4 a Vekic, 7-5, 6-1 a Muguruza. Poi però ha perso 7-6(2), 4-6, 6-3 contro Bencic in semifinale, e 1-6, 7-6(5), 6-4 contro Svitolina nella partita per la medaglia di bronzo.

Non ho riportato tutti i punteggi per caso. I numeri ci dicono che quando riesce a dominare la situazione e la partita fila via liscia, allora le sue grandi qualità fisico-tecniche le permettono di arrivare con tranquillità al traguardo. Vince quasi per distacco. Ma se la partita si incattivisce, e ci si ritrova al confronto punto a punto, allora Elena tende a implodere, finendo spesso per uscire sconfitta.

Cito una statistica che sintetizza con pochi dati la situazione: il confronto contro le Top 10. Nel 2021 Rybakina ha affrontato sei volte delle Top 10. Tre volte ha vinto, ed è sempre stato in due set. Tre volte ha perso, ed è sempre stato in tre set.

Altro dato: nel 2021 è andata 13 volte al terzo set, e ha perso in ben 9 occasioni. Per come la vedo io, tutti questi numeri ci dicono che oggi Rybakina dispone sul piano fisico-tecnico di una livello di gioco degno delle migliori in assoluto, ma ha ancora bisogno di crescere sul piano mentale e agonistico.

Altro dato su cui riflettere: sia contro Bencic che contro Svitolina, Rybakina si è trovata in vantaggio di almeno un break in tutti i set disputati. Sei set complessivi, ma in quattro occasioni si è fatta rimontare. Quando ha giocato serena, ha dato  l’impressione di poter battere ogni avversaria in due set. Ma al primo momento di ansia, la qualità delle sue esecuzioni ne ha risentito immediatamente. A Tokyo ci sono state fasi dei match nelle quali l’irrigidimento degli swing è apparso evidente: e tutto parte da tensioni mentali.

Chiudo con un ultimo aspetto, che ho già sottolineato in passato: una giocatrice con il suo servizio dovrebbe ricavare molto di più dalla battuta nei frangenti combattuti. E invece quando vive momenti di difficoltà, anche il servizio scende di livello. Dall’alto della sua statura (1 metro e 85 abbondante) è un peccato vederla servire delle prime attorno ai 140 orari perché sente l’ansia salire.

In sintesi. Al momento Rybakina appare come una potenziale campionessa per le doti fisico-tecniche, ancora però incompiuta per le fragilità sul piano mentale. Una giocatrice con un talento eccezionale, capace di ottenere vincenti grazie un rarissimo mix di eleganza e potenza, che però non ha una tenuta agonistica all’altezza di quelle doti. Non è facile riuscire a mettere insieme il “pacchetto completo”, ma se quel giorno arriverà, la mia sensazione è che potrà ambire a vincere tornei di qualsiasi livello. Slam inclusi.

P.S. Martedì prossimo verrà recuperato l’ultimo articolo dedicato al torneo di Wimbledon, relativo all’analisi degli aspetti statistici. Mi scuso per il rinvio, deciso in extremis per non appesantire la copertura del torneo olimpico con contenuti estranei all’evento.

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