4. Belinda Bencic
A conti fatti a vincere il torneo olimpico non è stata una delle prime favorite (per i bookmaker erano nell’ordine Osaka, Barty, Sabalenka e Swiatek) ma nemmeno una figura uscita dal nulla. Belinda Bencic partiva infatti come testa di serie numero 9.
Coetanea di Naomi Osaka (e di Jelena Ostapenko), Bencic sino a oggi ha vissuto una carriera caratterizzata dalla grande precocità ma anche da una serie di infortuni di non poco conto. Prima fra tutte le giocatrici della classe 1997 capace di sfondare nel ranking WTA (Top 50 a 17 anni), aveva dimostrato il suo valore vincendo nel giugno 2015, a 18 anni appena compiuti, il torneo di Eastbourne. Ma soprattutto conquistando in agosto il Premier di Toronto, al termine di un percorso di difficoltà quasi irripetibile. Belinda aveva sconfitto in serie la numero 25 Bouchard, la numero 5 Wozniacki, la 24 Lisicki, la 6 Ivanovic, la 1 Serena Williams, la 2 Halep. Sei avversarie di cui quattro Top 10, ma tutte come minimo finaliste Slam.
Come se non bastasse, ricordo un altro piccolo “dettaglio”: in quel 2016 Serena avrebbe perso solo tre match in tutta la stagione: da Kvitova a Madrid, da Bencic in Canada e da Vinci a New York. Sì, avete interpretato bene, quella era la Williams arrivata a un soffio dal Grande Slam.
Nel febbraio 2016 Bencic entra per la prima volta in Top 10, ancora diciottenne (è nata il 10 marzo 1997), e nello stesso mese raggiunge anche il best ranking (di allora): numero 7 al mondo. Poi però un guaio al polso sinistro innesca tutta una serie di problemi fisici che trascinano Belinda fuori dalla eccellenza del tennis: a un anno esatto dal best ranking è scesa al numero 125 della classifica WTA.
La risalita è complicata, ma nel 2019 torna ad alti livelli. Vince a Dubai facendo il bis dell’impresa canadese: di nuovo sconfigge nello stesso torneo quattro Top 10 (la 9 Sabalenka , la 2 Halep, la 6 Svitolina, la 4 Kvitova). E poi si spinge sino alla semifinale dello US Open, sconfitta 7-6, 7-5 dalla futura campionessa Andreescu. Di nuovo torna in Top 10 (e migliora il best ranking salendo alla posizione numero 4). Ma di nuovo un problema al braccio la ferma nel 2020. E se non crolla in classifica è solo grazie ai mutati meccanismi di ranking che tengono a galla anche le giocatrici (come Barty e Andreescu) che nell’anno dello scoppio della pandemia scendono in campo poco o nulla.
Estate 2021 e terza rinascita. Il segnale che qualcosa stesse cambiando lo abbiamo ricevuto con la finale raggiunta sull’erba di Berlino. Ma la conferma definitiva è arrivata proprio da Tokyo. Possiamo quindi dire che la vittoria del torneo olimpico certifica la terza risalita di carriera per Belinda, dopo due lunghe fasi di difficoltà determinate da infortuni. Una dimostrazione di tenacia che abbiamo rivissuto, in piccolo, in tutte le partite del suo impegno a Tokyo. In più occasioni, infatti, si è trovata in situazioni di punteggio complicate, ma ha sempre trovato dentro di sé le risorse mentali per riuscire a risollevarsi. Lungo il cammino ha sconfitto Pegula, Doi, Krejcikova, Pavlyuchenkova (vale a dire una dopo l’altra le due finaliste del Roland Garros), Rybakina e Vondrousova.
Ha saputo recuperare da 1-6 contro Krejcikova (1-6, 6-2, 6-3) mentre in semifinale e finale si è trovata in tutti e sei i set disputati in svantaggio di almeno un break. Ma a conti fatti quattro volte a spuntarla è stata lei. In semifinale ha recuperato nel set decisivo da 2-3 e servizio per Rybakina (risultato chiuso sul 7-6, 4-6, 6-3). E, in finale, sempre nel set decisivo da 0-1 e servizio per Vondruosova (risultato chiuso sul 7-5, 2-6, 6-3).
Sul piano tecnico non direi che abbiamo visto particolari novità nel gioco di Belinda, ma forse il campo di Tokyo le ha perdonato un suo cronico problema legato alla risposta di dritto: la tendenza a colpire con troppa frequenza in chop. Questa tendenza che forse le era costata la sconfitta nella semifinale dello US Open 2019 contro Andreescu, si è rivelata quasi un vantaggio nelle condizioni di Tokyo, che, come abbiamo visto in precedenza, finivano per valorizzare i backspin difensivi.
Durante la finale contro Vondrousova, ha destato qualche perplessità la decisione di Bencic di chiamare un Medical Time Out per curare una vescica all’alluce; pausa capitata in un momento cruciale del match, visto che si era sul 4-3 per Bencic, subito prima del turno di servizio di Vondrousova. Alla ripresa del gioco Marketa ha perso la battuta a zero, e quel break si è rivelato determinante per l’esito del match.
Volete sapere cosa ne penso? Un MTO non proprio indispensabile, con una punta di malizia che non rappresenta il massimo della sportività. E anche se parliamo di tennis professionistico, ci sono giocatrici, come Serena Williams o Suarez Navarro o Petra Kvitova, che in tutta la loro lunga carriera non hanno mai fatto ricorso a MTO tattici. Ma in punta di diritto nessuno può accusare Belinda: le regole glielo consentono. E se vi sembra di avere appena letto questa frase, lo confermo: sono le stesse identiche parole che ho usato a pagina 1 per commentare la scelta da parte di Vondrousova di utilizzare il ranking protetto alla vigilia dei Giochi.
a pagina 5: Le altre semifinaliste Vondrousova, Svitolina e Rybakina