ATP Toronto: Kokkinakis supera Zhang e pesca Musetti, la gara di sportellate tra Monfils e Eubanks se l'aggiudica il francese

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ATP Toronto: Kokkinakis supera Zhang e pesca Musetti, la gara di sportellate tra Monfils e Eubanks se l’aggiudica il francese

Day 1 con gli incontri di primo turno della sessione diurna e pomeridiana del National Bank Open Presented by Rogers. Lorenzo avrebbe preferito di gran lunga il cinese all’ostico australiano

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Thanasi Kokkinakis all'ATP Adelaide 2 2022 (Credit: @AustralianOpen on Twitter)
 

[22] F. Cerundolo b. [WC] A. Galarneau 6-2 4-6 6-4 (a cura di Marianna Piacente)

Apertura non scontata quella della partita di primo turno del torneo Master 1000 di Toronto per Francisco Cerundolo (n.22) che, dopo aver ceduto al turno di battuta dell’avversario, rischia di farsi sfilare dalla tasca ai vantaggi (anche) il suo da un Alexis Galarneau (n.192) piuttosto a suo agio sul cemento di casa. All’inizio. Dal terzo game l’argentino realizza un filotto di quattro giochi, interrotto sul 5-1 da Galarneau, che ben si ingegna – complice qualche palla lunga dell’avversario – per ritardare il set. Non ci riesce per più di un game: dopo aver annullato due set point per l’argentino, gli scappa via il terzo.

Anche nel secondo parziale un buon inizio del canadese, che tiene il servizio concedendo un solo punto all’avversario. Segue un alternarsi di turni di battuta mantenuti da entrambi i giocatori, finché Cerundolo non interrompe l’altalena incassando il quinto gioco e portando così il punteggio del parziale a 3-2 in suo favore. Quella che sembrerebbe una situazione favorevole a un allungo di Cerundolo verso il match finisce per deludere le sue aspettative, riportandolo in parità con un Galarneau che pare in questi colpi (voler) aumentare i giri del motore. Sa farlo bene, tanto da ribaltare l’andamento del set: 4-3 per lui. Si intensifica il gioco sulle linee, che premia la racchetta del canadese: è suo anche il game successivo. Quattro pari. Pubblico dalla sua parte, Galarneau non esita ad accelerare e finisce per sorprendere l’argentino, che più volte sceso a rete vede cadere la palla all’interno del campo alle sue spalle. Al decimo gioco Galarneau segna tre punti consecutivi grazie a errori dell’avversario, ma il quarto lo realizza con un rovescio lungolinea: arriva il parziale, che chiama il terzo set.

Implacabile, Galarneau tiene il turno di battuta in apertura del nuovo parziale e si prende ai vantaggi anche quello dell’argentino. Il padrone di casa continua a coprire il campo vanificando ogni strategia – laterale e sottorete – tentata da Cerundolo, che aumenta invece i suoi falli in risposta rafforzando la tendenza del set: si va tre giochi a zero. Sotto pressione, l’argentino risponde all’innalzamento del livello di gioco da parte dell’avversario e riesce a recuperare tre game (di cui due ai vantaggi). È di nuovo parità. Galarneau non si fa distrarre e continua a tirare fuori dal cilindro dritti sull’incrocio che ben compensano la scarsa efficacia del servizio: così fino al trenta pari del settimo gioco, quando l’argentino mette a segno alle spalle dell’avversario un dritto vincente che vale il break. Ennesimo colpo di scena: il parziale si evolve in un punteggio di cinque giochi a tre per Cerundolo. Galarneau al servizio non delude il tifo del pubblico e da 0-30 riesce a salvare il game (e la speranza). Ma non va oltre, e neanche la partita, chiusa al servizio dall’argentino nel gioco successivo (6-2 4-6 6-4). Ora c’è meno clamore sugli spalti, ma a Cerundolo va bene così.

J. Lehecka b. B. Nakashima 7-5 3-6 7-6(2)

Ad aprire il programma del Day 1 di Toronto sul Court 1, terzo campo per importanza dell’impianto dell’Ontario, sono state le 2h37′ di grandissima intensità e furore agonistico che sono servite al ceco Jiri Lehecka per sbaragliare la resistenza dell’ultimo campione Next Gen in terra meneghina Brandon Nakashima.

La reincarnazione di Tomas Berdych ha posto fine alle speranze californiane con il punteggio di 7-5 3-6 7-6(2), nonostante il n. 74 del mondo abbia messo a referto la doppia cifra di ace (10) ed abbia trasformato in punti intascati 48 delle 64 prime scagliate nel rettangolo apposito, una percentuale pari al 60% di prime di servizio in campo.

Una partita vissuta sul sottilissimo filo dell’equilibrio, come testimoniano perfettamente altri numeri dell’incontro oltre a quelli già menzionati a favore del 22enne di San Diego: – sì, perché Jiri ha commesso più doppi falli (5 contro 2) servendo pure meno aces (5) e raccogliendo meno con una prima trovata anche meno spesso dello statunitense (seppur si parli di differenze veramente esigue, rispettivamente 58% e 70%) – la sostanziale paritetica capacità di essere glaciali di fronte alle palle break concesse o costruite dal rivale, 75% per il n. 36 ATP e 80% in favore dello sconfitto.

Il recente quartofinalista di Umago si è fatto leggermente preferire per la resa con la seconda palla, 57% di realizzazione a fronte del 51% del giocatore di origini giapponesi e vietnamite.

Anche le statistiche relative al computo totale tra vincenti e non forzati tradisce la grande linearità della sfida in termini di corposità del concetto stesso di partita attribuibile a tale incrocio canadese: un +1 (37 a 36) nei winners sempre per il povero Brandon, provvisto di poche cose nell’interpretazione di una gara nella quale ha sì vinto con un scarto irrisorio la stragrande maggioranza dei vari generi di analisi numerica però nella pratica – vera essenza di un match – ha lasciato strada sguarnita all’altro nei punti più importanti e decisivi, pari 15-15 per quanto concerne gli unforced.

Ai sedicesimi di finale, il n. 3 del tabellone Casper Ruud è avvisato: certamente sarà più fresco del giovane ceco, grazie al bye iniziale come le altre prime 7 teste di serie, ma sui questi campi un colpitore così naturale come Lehecka non può essere mai considerato un bel cliente di merende con cui dividerle dovendo fronteggiare un osso così duro.

A. Davidovich Fokina b. J. J. Wolf 6-0 6-2

Passeggiata di salute nel verde smeraldo di una pineta marittima senza alcuna parvenza di insidia a turbarne la pace interiore, ritrovata dopo la sciagurata eclissi londinese al cospetto di un’inscalfibile pila danese. Si potrebbe riassumere così il 6-0 6-2 in appena 1h04′ dell’iberico Alejandro Davidovich Fokina, inflitto ad uno spento e immerso nei propri turbamenti interiori Jay Jay Lupo, ufficialmente denominato Jeffrey John Wolf all’anagrafe del ranking ATP figurante al n. 43.

Sfortunati coloro che si sono assiepati sulle tribune del Grandstand al termine dell’affermazione di Musetti su Nishioka, match non c’è mai stato.

Alla ciambella inaugurale, dove quantomeno bisogna riconoscere al nativo di Cincinnati di averci provato con quel pochissimo di cui era in possesso nella versione odierna quasi totalmente dimessa – break a freddo giunto nonostante il salvataggio di tre palle break, l’occasione sfumata sul 3-0 “leggero” per accorciare le distanze -, veementemente e orgogliosamente J.J. si è preso il 2-0 a far da apripista alla ripresa della contesa. Tuttavia alla prima reazione degna di questo nome, Wolf è ritornato nel proprio limbo di dubbi irrisolti e di uno stato confusionale di difficile risoluzione: cioè sextete del russo di Spagna e tutti a casa a rimuginare in vista dell’Ohio, e siamo sicuri che l’1,83 finalista a Firenze nel 2022 nonché interprete Rock and Roll del tennis mondiale voglia fare ben altra figura in “Casa”.

Probabilmente Sascha Zverev sul cammino di Alejandro, ma occhi al finalista uscente di Washington che se non dovesse aver finito la benzina potrebbe essere in grado – almeno – di regalarci uno scontro scoppiettante trovandosi di fronte il vincitore di Amburgo.

[15] H. Hurkacz b. A. Bublik 6-3 7-6(2)

Hubi bombardiere per antonomasia di cannonballs, caro Novak a Wimbledon l’hai scampata ma siam certi che tu non abbia più voglia di rincontrarlo e stiamo parlando pur sempre della migliore ribattuta di tutti i tempi, nonostante i suoi up and down emotivi è ancora attualmente più solido di testa e di racchetta del sempreverde da ammirare sul campo Alexander magnificamente Bublik: 6-3 7-6, sette punti a due, nell’incontro andato in scena sul Granstand dopo Davidovich-Wolf.

Perché sì, il russo di Nur Sultan pazzoide e scellerato piace nell’esposizione delle sue estroverse magie tennistiche proprio poiché ha qualche rotella tennistica fuori posto. Se fosse un sergente di ferro nell’agone tattico alla Rafa, beh semplicemente non farebbe divertire quanto invece è capace ora anche nei KO che lo vedono protagonista.

Questo scontro dal rumore di Foglia d’Acero era certamente uno dei primi turni più interessanti di Toronto 2023, due giocatori abili raffinatori di un tennis fatto di grazia e potenza: spariti agnostici con minimali divergenze nella messa in scena, uno più bello a 360° l’altro però – e ribadiamo, questo preciso aspetto ha ritratto il margine della sfida – molto più consistente qualora sia in giornata, con la battuta a pieno regime e gli sbalzi d’umore tennistico dissipati dall’ispessimento della fiducia consapevole dei propri mezzi tecnici e fisici. E l’Open del Canada, da questo punto di vista, rappresenta una delle sue pochissime isole felici anche se lo sbarco finale di Montreal 2022 è ancora depositario di ferite non guarite del tutto: accade questo quando “sprechi”, si far per dire è solo che è necessario contestualizzare quello che succede, la ghiotta occasione di non ritrovarti un Super Top nella finale di un Masters 1000. Ma siamo sicuri che questa volta la delusione in questione sia il motore motivazionale che ha accompagnato Hurkacz all’evento e che gli infonderà ulteriore spinta per ritornare a giocarsi nuovamente l’ultimo atto. Sarebbe di nuovo un grandioso cammino.

Spettacolare la prova fornita dal polacco, sì solido (solo 6 errori non provocati) ma non per questo più restio all’attitudine aggressiva di chi si sente un attaccante dentro – si esistono nel tennis moderno anche se hanno dovuto gioco forza mutare pelle rispetto ai fantasmagorici anni ’80 -. Una percezione sostenuta dai 30 vincenti, che si traducono nel bilancio complessivo in un +24 spalmato in “soli” due set e con dall’altra parte della rete un rivale che non è proprio la raffigurazione del gatto che raccatta tutto ciò che passa il convento, quanto più l’esteta che predilige il gesto al risultato. Abbiamo già rimarcato più volte come sia stata la maggiore consistenza polacca a incrinare i meccanismi kazaki, ma non abbiamo sottolineato sufficientemente come questo riconosciuto limite di Sasha – e parzialmente inevitabile oltre che fisiologico visto il suo modo di intendere il gioco del tennis – oggi si sia visto veramente in maniera sporadica tuttavia tanto basta per perdere: 27 winners, infatti, fanno da contro altare a solamente 17 gratuiti, per lui pure 10 aces ma anche – ecco il nostro campione di Halle – 10 doppi falli perché se non giocasse al limite non esisterebbe. Per lui il tennis non potrà mai essere, topponi arrotati con considerevole altezza di sicurezza sul nastro.

Il qualificato Garin o il serbo Kecmanovic per continuare a rodare il fondamentale d’inizio gioco nello spicchio più alto del draw, quello ovviamente presieduto da Carlitos Alcaraz.

[Q] T. Kokkinakis b. Z. Zhang 7-5 6-4

Uno recentemente semifinalista nel sempre prestigioso ATP 500 di Amburgo, meta principe degli appuntamenti estivi fatta la doverosa eccezione degli Slam e dei ‘mille’, ad un solo passo dalla finale e in questo momento n. 63 ATP. L’altro per via della sua classifica di n. 86 al mondo costretto a dover necessariamente disputare le quali in queste specifiche tipologie di eventi 1000 oramai in via di estinzione, ma pur presa piena coscienza delle 23 posizioni che li distanziano nel ranking mondiale non c’è mai stata alcuna titubanza per chiunque si apprestasse a deliziarsi delle dinamiche dell’incontro sui chi de due avrebbe alla fine vinto: 7-5 6-4 in 1h27‘ per il vincitore. Se sta bene, e purtroppo la sua ascesa al Grande Tennis d’élite dopo l’esplosione fenomenale quando era ancora uno sbarbatello è stata frenata proprio da inciampi di natura fisica, Thanasi Kokkinakis è di gran lunga un tennista con una completezza di soluzioni tecniche mixate a potenza aerobica e capacità di accelerazione neppure avvicinabili al bagaglio molto più esiguo del n. 1 di Cina.

Zhizhen Zhang, infatti, è quel giocator ordinato, solido che fa tutto molto bene, anche ottimi drop-shot, senza tuttavia eccellere particolarmente in un colpo fenotipico tra i fondamentali della disciplina tennistica.

Mentre l’australiano ormai giunto alla soglia dei 28 anni – lì compirà il prossimo 27 aprile -, da junior due volte finalista Major in Australia sconfitto dall’amico Nick Kyrgios e a Flushing Meadows da Borna Coric, gode di tutt’altra colonna vertebrale dell’essere tennista: in possesso di un potenziale in grado di sprigionare la fiammata risolutiva, la cosiddetta castagna che seppellisce qualsiasi increspatura di spazio sguarnito della metà campo protettorato del rivale di turno: quest’ultimo abile in tutti gli appariti del ventaglio ma non immune al drittone aussie e alla lunga, dunque, inevitabilmente foriero di qualche spiraglio dove permettere al “colpo che lascia fermi” di incunearsi.

Straordinario è anche il fondamentale d’inizio gioco del 27enne di Adelaide, portatore in dote di 14 aces e di una complessiva – e strabiliante – resa percentuale di finalizzazione della prima palla: 33 punti vinti su 41 iniziati con essa, cioè l’ 80%. Positivi pure i numeri in battuta del 26enne di Shanghai, che raccoglie il 79% con la prima ma paga la minore incisività della seconda (50% contro il 65% del qualificato oceanico) oltre ad un conguaglio ridotto di prime direzionate in campo rispetto a Kokkinakis: 57% a fronte del 67% australiano.

Un vincente in più per l’asiatico (29 a 28), di un anno più giovane, ma anche 5 errori in più nel raffronto.

Al turno successivo per uno dei due membri dell’entità 2K, la tds n. 16 Lorenzo Musetti: Lollo avrebbe preferito certamente incrociare il cinese che il drittone ed il servizio del greco di origini.

[PR] G. Monfils b. C. Eubanks 7-6(3) (4)6-7 6-1

Esuberanza atletica all’ennesima potenza, l’incipit dell’incrocio indubbiamente – a posteriori – più esaltante della prima parte di giornata del lunedì di Toronto e che già alla vigilia prometteva incandescente spettacolo. Così, con questi connotati di grandioso confronto si è aperto il programma pomeridiano sul Grandstand, quarto match dall’apertura del sipario alle 11.00 locali, tra il risorto pro tempore Gael Monfils e il figlio di un predicatore battista di Atlanta Christopher Eubanks.

Il momentaneo risveglio dall’oltretomba di cui è stato protagonista il marito di Elina Svitolina in quel di Washington necessita di conferme ulteriori per vedere il proprio status divenire definitivo. Un compito non facile per l’esponente della nuova – ma oramai bella che passata viste le 36 candeline e i ritiri di metà degli altri compari – Belle Epoque tennistica dopo quella che ne ha dato i natali: ossia i quattro moschettieri, gli originali resi celebri dalla trasposizione nel mondo della racchetta del quartetto nato dalla penna di Dumas, che furono assoluti dominatori della scena tennistica dall’ultimo squarcio dei ruggenti anni ’20 sino alla prima metà degli anni ’30: assieme conquistarono la bellezza di 19 prove Slam in singolare, 23 in doppio, senza dimenticare i sei trionfi consecutivi in Coppa Davis.

A Jan Borotra, Jacques Brugnon, Henri Cochet e René Lacoste quasi 80 anni dopo succedettero Tsonga, Gasquet, Simon e per l’appunto La Monf.

I “nuovi” fantastici quattro hanno raccolto molto meno dei loro predecessori e capostipiti, ovviamente in un epoca sociale e di conseguenza del tennis agli antipodi.

Tuttavia quando sono scesi in campo, Jo e Gilles, o scendono in campo, Richard e Gael, sono stati e sono in grado ognuno con le proprie spiccate peculiarità di attrarre ed essere immaginifici come pochi altri hanno fatto nella storia di questo sport.

Specie l’ex n. 6 ATP, parigino e semifinalista in due circostanze negli Slam a casa sua al Roland Garros nel 2008 e allo US Open otto anni dopo Bois de Boulogne, che esprimendo quel suo tennis di strapotere aerobico e verve giocherellona nel senso buono del termine, cioè quella gioia di stare sul campo che gli permette di far vedere cose che agli umani tennisti non è concesso nemmeno il lusso di conoscere, produce meraviglia. Esempio, la rispostona in allungo spaccato con tanto di polso sigillato ad annientare lo spericolato serve&volley di Christopher sul finire della seconda frazione.

Sì fuori dagli schemi, l’aggettivo usato per affiancare il servizio e volée States calza a pennello perché Mister Stecchino o Giraffa – a voi lettori la scelta finale sull’appellativo da affibbiargli – non può essere cesellato in una scatoletta stereotipata e preconfezionata finora in utilizzo nell’inquadramento di quello o quell’altro atleta della racchetta: una ragazzone di 2,01 dal peso di 82 Kg con una massa muscolare quasi del tutto assente è capace comunque di montare fisicamente sopra praticamente tutti gli avversari che incontra, a tale abilità può abbinare una potenza a propulsione inaudita: violentissime saette che sembrano fulmini provenienti dall’Olimpo, ma sappiamo che la potenza che si è in grado di generare come la velocità di palla passa di gran lunga dalla rapidità di esecuzione del braccio. Dunque niente a che vedere in linea di massima con il fisico, mentre invece la forza d’urto del proprio corpo in ogni situazione di gioco quella sì che c’entra ed appare inspiegabile con quel tipo di continuità di rendimento nel momento in cui deriva da apparati atletici soltanto all’apparenza non dotati.

Perciò due mostri di atletismo che si trovano a fronteggiarsi, vero è che Gael è in fase calante e ha rischiato già in svariate circostanze di vedersi eclissare definitivamente per via dei numerosi stop fisici che lo hanno condizionato pesantemente nelle ultime stagioni – passate più in infermeria che in campo – ma forse soltanto con il recente quartofinalista di Wimbledon – dove ha bombardato Medvedev, pur venendo sconfitto al quinto dopo un battaglione stoico, come se non ci fosse un domani facendo piovere vincenti da ogni lato del campo – e pochissimi altri esponenti del Tour può pagare ancora oggi un gap fisico.

Entrambi poi, anche se non si tratta di battitori alla Isner, come è facilmente intuibile sono dotati di cavalli al servizio di prima mano: soprattutto il 27enne nativo di Atlanta, e poche settimane fa campione a Maiorca, ha un portentoso fondamentale d’inizio gioco. Al contrario del francese in gara con il ranking protetto, attuale n. 236 ATP, che sì si serve di una buonissima battuta ma è soprattutto nella fase difensiva robustamente fisica che si esalta: ovviamente rispetto a quando era nel fiore degli anni, ora necessariamente è costretto ad essere più aggressivo nel tentativo di abbreviare gli scambi ed evitare di ingabbiarsi in una fase di stanca in cui si troverebbe in palese debito d’ossigeno.

Infine, prima di addentrarci nel racconto conseguenziale della sfida, da notare come mentre sia di difficile incasellamento a livello di connubio fisico e valori tecnici; il buon Christopher sia invece assolutamente limpido nel piano strategico che applica: tirare a tutto gas tutto quello che gli passa vicino, quindi 42 vincenti ma anche 17 non forzati che non sembrerebbero neanche troppi. Purtroppo per lui però tutti concentrati nei momenti topici.

Si parte e le battute girano che è uno splendore, ma dopo 19 game consecutivi e 5 palle break cancellate a testa ecco che improvvisamente sul 4-3 del secondo set con il n. 29 ATP al servizio si materializzano due break consecutivi. Ciò significa lapalissianamente che Monfils abbia malamente sprecato la possibilità di servire per il match, dopo essersi aggiudicato agevolmente il primo parziale al tie-break partendo a razzo nel tredicesimo gioco con il 3-0 “pesante”. Così viene ristabilita la parità, bisogna tuttavia attendere poco per ritrovare un momento di sofferenza in battuta: sul 6-5 arriva un doppio match point per il veterano transalpino.

Sul primo match ball influiscono integralmente le pochissime partite – e soprattutto vittorie – che Gael ha fatto registrare nel circuito in questo 2023: gli manca il coraggio per l’affondo decisivo, poi sulla seconda opportunità ci pensa l’americano a togliersi dal fuoco con la prima vincente onde evitare di incorrere in ustioni marchiane. Si giunge così ad un altro tie-break con il bilancio dei punti vinti in perfetto equilibrio, 85 a testa: va avanti di un mini-break il francese, ma sul 4-3 lo statunitense rompe gli indugi esondando gli argini del vantaggio avversario prima con un rovescione monomane incrociato e poi prendendosi un secondo mini-break e conseguentemente la testa della frazione con il suo marchio di fabbrica: sventaglione fulmineo da togliere il fiato sulla seconda d’Oltralpe. Il servizio da Atlanta non concede più nulla, 7-6(4) e si va al terzo.

Ora giunti a quel punto diventata fisiologicamente favorito Eubanks considerati i suoi 9 anni in meno, Gael fisicamente avrebbe dovuto pagare la sue mere e sporadiche apparizioni in Tour nell’ultimo anno e mezzo. No, assolutamente no. Arriva il break subitaneo ma quello che non ti aspetti: il 2-0 Monfils in breve tempo va vicinissimo a trasformarsi in 4-0, ma l’americano rinviene dal 0-40 e rimane abbarbicato al match. Poco conta però nella sostanza intrinseca della sfida, il doppio break arriva comunque sul 4-1 e poco dopo La Monf appone il sigillo per il 6-1 conclusivo al termine di 2h29‘ di puro intrattenimento anche nei frangenti meno qualitativi.

Ora sarà complesso recuperare in tempo per il crush test con Tsitsipas, tds n. 4 del seeding, tra l’altro uno Stefanos fresco di titolo messicano.

[Q] T. Daniel b. A. Mannarino 7-6(5) 6-4

Nel terzo match sul Court 1, a chiusura del programma pomeridiano, trionfa il qualificato giapponese Taro Daniel sul recente campione di Newport Adrian Mannarino per 7-6(5) 6-4 in quasi due ore di partita (1h52′), al prossimo round per il nipponico scontro con il vincente di Raonic-Tiafoe.

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