Messi a posto i giovanotti con la conferma che le Next Gen ATP Finals si terranno in Arabia Saudita per i prossimi cinque anni, resta aperta la questione sul torneo di fine anno del Tour femminile. Controllando il calendario della WTA, infatti, si può notare che non compaiono le WTA Finals, la cui sede non è stata ancora decisa quando mancano un paio di mesi all’appuntamento. Lo scorso anno si sono tenute a partire dal 31 ottobre a Fort Worth, in Texas, con gli spalti che sembravano ancora più vuoti di quanto non fossero se paragonati allo straordinario successo di pubblico della precedente edizione a Guadalajara a dispetto dell’assenza della n. 1 del mondo Ashleigh Barty. Nel 2019 a Shenzhen, Ash aveva intascato quello che allora era il più cospicuo assegno mai staccato per un(a) tennista: 4,42 milioni di dollari. Non stiamo a ricordare le scuse accampate dal suo allenatore per giustificare l’assenza in Messico, dove il montepremi totale era di 5 milioni di dollari contro i 14 di Shenzhen, perché è un’altra storia. Ma lo è davvero?
Al media day dello US Open alle tenniste è stata chiesto cosa pensassero della possibilità tutt’altro che remota che anche le WTA Finals vadano all’Arabia Saudita, Paese (uno dei troppi) nel quale i diritti umani vengono violati e che si trova nella top 15 mondiale degli Stati con il più ampio divario di genere secondo l’ultimo rapporto del World Economic Forum. Dal momento che parliamo di Women’s Tennis, la pertinenza di tale quesito pare giustificata.
La prima a rispondere è stata Jessica Pegula, secondo la quale “in molti posti non pagano abbastanza le donne e purtroppo non possiamo permetterci il lusso di dire no ad alcune cose. Credo che se i soldi fossero giusti e l’accordo fosse qualcosa per cui possiamo creare un cambiamento, andrebbe bene giocare là”. Il suggerimento per cui, per diventare miliardari, rifiutare vagonate di soldi non è una buona tattica è chiaro. Sarebbe però interessante capire che tipo di accordo abbia in mente Pegula, quale clausola nel contratto di assegnazione di un torneo di tennis si potrebbe inserire per ottenere i cambiamenti auspicati.
Vediamo ora cosa hanno detto le altre tenniste sulla questione, precisando che eviteremo di ripetere ogni volta la prima parte della risposta che, giustamente, è “sono ancora solo voci, non c’è nulla di confermato”.
Ons Jabeur risponde che, “in quanto giocatrice araba, sarei emozionata di esserci. Spingo per un cambiamento, per dare sempre più opportunità specialmente alle donne. So che in Arabia Saudita stanno cambiando le cose e si stanno evolvendo. Ci sono stata l’anno scorso per un’intervista e tenere un discorso. Stavo cercando si spingere perché ci fosse del tennis in Arabia.è un grande passo. Credo sia qualcosa che potrebbe aiutare il mondo arabo ad avere più giocatori, a essere più coinvolti nello sport. Se si giocherà là, e sperando che io mi qualifichi, sarà un grandissimo onore per me andarci, specialmente incontrando tante donne. Hanno detto di guardarmi con ammirazione. Sarebbe una fantastica occasione incontrarle e parlarci”.
È vero che, se per taluni aspetti la situazione rimane grave se non in peggioramento, qualche “passo avanti” è stato fatto. Per esempio, da quattro o cinque anni a questa parte le donne possono prendere la patente, andare al cinema e allo stadio, correre le maratone (magari non in pantaloncini…). Però non funziona o, almeno, non dovrebbe funzionare che “hanno permesso alle donne di guidare, facciamo pari con l’omicidio di Jamal Khashoggi” e via così in una sorta di baratto cancella-atrocità.
Tocca poi ad Aryna Sabalenka, candidata al numero 1 dopo lo US Open, che non ha voglia di sorprendere: “Qualsiasi decisione prendano, sarò felice di andare – come dire – da qualunque parte”. E sorride.
All’attuale regina del ranking viene esplicitamente domandato se prenderebbe in considerazione l’idea di non andarci, ma Iga Swiatek ancora non si sbilancia: “In quanto giocatrici, non siamo coinvolte nella discussione. Sono in attesa di quello che ci dirà la WTA. Di sicuro è spiacevole e deludente che non sia stato ancora deciso. Probabilmente avrò più da dire quando ci sarà la decisione”.
Qualcuno potrebbe trovare altrettanto spiacevole che le giocatrici non siano coinvolte e che si riferiscano all’associazione di cui fanno parte come a un qualcosa di estraneo. Similarmente alla struttura dell’ATP, nel Board della WTA c’è una rappresentanza delle tenniste ed esiste altresì il Consiglio delle Giocatrici, anche se rinunciamo a cercarlo sul sito ufficiale. Quindi, se la numero 112 della classifica ha un’idea che varrebbe la pena analizzare o un problema che potrebbe essere comune ad altre, può rivolgersi alla sua rappresentante nel Consiglio che a sua volta si occuperà di contattare una delle componenti del Board che… Vabbè, la n. 112 non ha nemmeno la fotina sulla pagina del proprio profilo sul sito WTA, non prendiamoci in giro. Tuttavia, se Iga Swiatek tuonasse, “il fatto che già giochiamo in un sacco di posti squallidi non giustifica aggiungerne di altri, io là non ci vado”, ecco che la parte del mancato coinvolgimento sarebbe superata. Non che ciò comporterebbe un esito diverso, probabilmente.
Nella richiesta di un’opinione a Coco Gauff viene viene inclusa la frase “considerando il trattamento delle donne”. La sua posizione è la stessa di Iga: lasciare che i vertici della WTA decidano (o “decidano”, nel senso che potrebbero non avere tante opzioni tra cui scegliere) e poi eventualmente commentare. Così, Gauff conferma che le giocatrici non ne sanno granché (della decisione) e aggiunge che “preferirei non parlarne finché non è scolpita nella pietra”.
Tocca infine a Marketa Vondrousova. “Sarebbe fantastico” esclama la campionessa di Wimbledon. E sarebbe fantastico anche come titolo se non fosse che (forse) Marketa si riferisce ad altro. È colpa della domanda: “Una possibilità è Riad e una la Cechia. Quali sono i tuoi pensieri se il torneo va a Riad? Dovrebbe tenersi in Cechia perché al momento ci sono tante giocatrici ceche di successo?”. Insomma, i giocatori vanno al media day per dire di essere contenti di essere lì (al torneo, non in sala conferenze), di sentirsi bene e tutto quanto, poi salta fuori uno che chiede di Riad (Riyad?), neanche dell’Arabia Saudita, e senza accenno alle problematiche sottese. Dunque, la risposta di Marketa rimane sospesa, con il “fantastico” che può essere riferito alla Repubblica Ceca oppure all’Arabia o a entrambe.
Non resta allora che aspettare questa decisione che, da quanto abbiamo visto negli ultimi tempi, difficilmente terrà conto delle eventuali “problematiche” del Paese scelto. Il CEO dell’associazione del tennis femminile pensa a fare il proprio lavoro, vale a dire mettere il bene dell’azienda al primo (e unico) posto, nonostante un osservatore disattento avrebbe detto il contrario nel caso di Shuai Peng. Perché, sebbene la triste e mai risolta vicenda della tennista fosse direttamente collegata alle “storture” del regime cinese, Steve Simon aveva fatto la voce grossa solo perché era coinvolta una propria associata, mentre la sua promessa, “non comprometteremo i nostri principi”, è rimasta viva fino a che la Cina, riaperte le frontiere, non aveva detto, “si torna a giocare”.
Limitandosi a guardare la questione sul piano esclusivamente tennistico (creando quindi un blocco a livello cerebrale, perché la realtà, piaccia o meno, non funziona a compartimenti stagni), ha ragione Iga definendo spiacevole il ritardo nella decisione, senza dubbio pensando alla poca affluenza di pubblico (assenza vera e propria nei primi due giorni) in Texas, complice appunto la tardiva assegnazione con le inevitabili conseguenze sulla promozione dell’evento.