Non solo Nadal: tornare dopo un lungo stop è sempre più difficile

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Non solo Nadal: tornare dopo un lungo stop è sempre più difficile

L’importanza della componente atletica è una barriera per chi si ferma e vuole riprovare. C’è però chi si accontenta di una carriera meno vincente ma a suo modo esaltante…

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Rafael Nadal - United Cup 2023 Sydney (foto Peter Staples/ATP Tour)
 

Il protrarsi del ritorno in campo di Rafa Nadal, che ha mercoledì annunciato il suo ritiro da Indian Wells, invita a fare un excursus generale sugli atleti di non più verdissima età che si sono concessi, o più spesso hanno dovuto concedersi, un’interruzione della carriera e non sono più riusciti a riannodare il filo spezzato dell’attività agonistica. A volte in realtà hanno magari raggiunto risultati significativi, ma senza mai tornare ai livelli già sperimentati in precedenza. Insomma, un ritorno dopo una lunga assenza, per un tennista ultratrentenne, è qualcosa di realizzabile nel tennis di oggi?

Lo sport è costellato da sempre di esempi illustri di ritiri e rientri, a volte ispirati anche da lauti ingaggi; per il tennis ricordiamo McEnroe concedersi un primo periodo di “stacco” nel 1986 per “stress da primato”, Borg rientrare nel 1991 dieci anni dopo la sua ultima stagione e Seles ripresentarsi nel 1995 a due anni e più dalla drammatica aggressione di Amburgo. Motivi diversissimi tra di loro: oggi più spesso la causa è l’infortunio e in generale il logoramento fisico.

A Federer il fisico ha detto stop, Murray ci prova ma…

Il naturale accostamento all’asso maiorchino è certo l’altra metà del “Fedal”, il neologismo coniato per indicare le sfide di Rafa con Roger Federer. L’elvetico per la verità è rientrato nel 2017 dopo un infortunio al ginocchio che lo ha costretto a fermarsi al termine di Wimbledon 2016 e ha illuminato la stagione con vittorie storiche come Melbourne e Wimbledon e il primato nel ranking nel 2018. Nel 2020 però cede in semifinale a Djokovic nel primo major dell’anno e si sottopone ad un intervento al ginocchio.

Il rientro è nel 2021; quattordici incontri che lo impegnano fino alla sconfitta contro Hurkacz a Church Road. Nuovi problemi al ginocchio lo costringono a fermarsi e solo nel settembre del 2022 il mondo scopre che la sconfitta contro il polacco era stata la sua ultima fatica agonistica.

Rimanendo nell’ambito “Big Four”, Andy Murray sta recentemente ragionando in merito al proprio ritiro: lo scozzese, due volte campione olimpico e in tre occasioni campione Slam (con altre sei finali), termina il 2016 da numero uno del mondo dopo essersi aggiudicato Wimbledon, i Giochi Olimpici e le ATP Finals. Il 2017 è per lui l’anno dell’inizio dei suoi problemi all’anca (si era già fermato per un’operazione alla schiena nel 2013, brillantemente superata), che gli impongono lo stop subito dopo la sconfitta a Londra contro Sam Querrey. Murray rientra un anno dopo, crolla oltre la posizione numero 800 per poi risalire lentamente.

A fine 2019 vince ad Anversa contro Wawrinka ma è solo nel 2021, anche ovviamente per la pandemia, che ritorna a giocare quasi per intero una stagione. L’istinto del campione, l’orgoglio e l’umiltà lo portano a lottare sul campo come e più di prima, ma Andy da allora si segnala soprattutto per le singole battaglie, vinte o perse ma giocate, come si suol dire, “alla morte”. Una per tutte l’impresa in cinque contro Thanasi Kokkinakis all’Australian Open 2023, che faceva seguito alla maratona vincente contro Matteo Berrettini.

Un altro esempio di primissimo livello è quello dell’austriaco Dominic Thiem, il vincitore nel silenzio dello stadio deserto di pubblico allo Us Open 2020. L’austriaco si ferma nel giugno seguente per un infortunio al polso e il suo rientro nel 2022, con conseguente crollo nel ranking, sarà caratterizzato da prestazioni nettamente al di sotto delle sue immense potenzialità; lui stesso ha recentemente dichiarato di guardare al 2024 come all’ultima chance per compiere un rientro degno del suo passato.

Il giapponese Kei Nishikori, finalista a New York nel 2014, si deve sottoporre nell’ottobre del 2019 a un intervento al gomito che, complice anche la positività al COVID-19, lo terrà lontano dai court per un anno. Altri accidenti fisici all’anca e alla caviglia gli faranno saltare il 2022 e gli consentiranno solo una fugace apparizione ad Atlanta nel 2023. Altri esempi analoghi sono quelli del canadese Milos Raonic e forse di Nick Kyrgios, dove il forse vuole indicare, oltre ai problemi fisici che lo hanno tormentato nel 2023, i dubbi sulla reale volontà dell’australiano di rientrare, visti i suoi propositi di ritiro espressi nel 2021.

Lo sport non si ferma

Il tennis scappa via; la velocità di crociera richiesta agli attori principali dello spettacolo itinerante che non spegne mai o quasi le sue luci è sempre più alta e risalire sul mezzo è possibile ma quasi sempre nei vagoni agganciati verso il fondo, dove cercano il loro posto giocatori magari anche poco dotati tennisticamente, ma affamati di gloria e dollari e tremendamente preparati dal punto di vista fisico. Le difficoltà nel riproporsi a uno standard accettabile dopo una lunga pausa sono la conseguenza del fatto che la condizione fisica è preponderante su ogni altro fattore; la velocità della pallina impone una velocità di base e una capacità di ritornare e ripartire di primissimo ordine.

Thiem possiede un talento straordinario e la sua contemporaneità con Nadal gli ha quasi certamente sottratto la gioia del successo a Parigi, ma se il fisico non riesce a riabituarsi alla stressante routine conosciuta in passato, la pallina non corre più come prima e i fasti già vissuti non ritornano. Una volta che questo è chiaro, all’atleta una volta tra i migliori e in grado di riprendere comunque la propria via tra i professionisti si presentano sostanzialmente due strade.

La prima consiste nel riprendere a lavorare e a giocare, accontentandosi di poter competere a un certo livello e di essere comunque tra le attrazioni dei grandi tornei. Jimmy Connors ha vinto il suo ultimo Slam nel 1983 superando nel “suo” Flushing Meadows il giovane Lendl e ha scatenato l’entusiasmo di legioni di fan che magari non lo avevano mai visto vincere ancora per anni, rimontando Pernfors a Wimbledon nel 1987 da 1-6 1-6 1-4 o sfidando Courier a 39 anni in semifinale a New York; anche McEnroe ha tenuto alto il vessillo del magic tennis senza più vincere mentre avanzavano i giovani bombardieri.

La seconda è onorare il proprio passato di asso pigliatutto ritirandosi, magari non subito, perché vent’anni trascorsi sollevando coppe non passano senza lasciare residui di malinconia allorquando si comincia un po’ troppo presto nel torneo a stringere la mano per complimentarsi con il giovanotto di turno che ti ha appena sconfitto. Scegliere di smettere non deve essere facile per Nadal, la cui strada verso il possibile ritiro sta assomigliando a quella dello Swiss Maestro. Rafa lo ha detto, non intende trascinarsi senza reali possibilità di vittoria. Chissà se vorrà provarci; speriamo di sì, in fondo la recente esibizione trasmessa da Netflix non ci ha mostrato un ex-giocatore, anzi.

E poi siamo davvero sicuri che per onorare una storia personale non si debba mai perdere di vista i migliori? Meglio smettere per lasciare il ricordo dei giorni migliori o lottare contro sé stessi per ottenere ancora il meglio possibile, come per esempio sta facendo Sara Errani? Ogni volta che perde, sui social si sprecano i consigli non richiesti di ritiro, ogni volta che vince e magari entra in un grande tabellone, come in questi giorni a Indian Wells, piove ammirazione nei confronti di chi accetta i nuovi limiti e, come una volta, prova a superarli. Noi e tanti come noi faranno il tifo per Sarita, che forse perderà contro Naomi Osaka, ma che non ha mai l’aria di una che sta per lasciare via libera ad alcuna avversaria senza provare a vincere.

Il passato frena Nadal, ma il passato è anche nelle grandi pagine di tennisti che hanno accettato di non vincere più, non reggendo invece all’idea di non potersi più misurare con sé stessi.  Sta a te, Rafa.

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