Che fretta c'era? La meravigliosa primavera di Grigor Dimitrov

evidenza

Che fretta c’era? La meravigliosa primavera di Grigor Dimitrov

L’analisi della serata più bella della carriera del bulgaro: la seconda giovinezza, le chiavi tattiche dell’impresa con Alcaraz, il soprannome sbagliato

Pubblicato

il

Grigor Dimitrov,- Miami 2024 (Foto Miami Open/Hard Rock Stadium)
 

Per innamorarsi basta un’ora. 

E 32 minuti, aggiungiamo noi. Un’ora e 32 minuti, la durata esatta del capolavoro con cui Grigor Dimitrov ha eliminato Carlos Alcaraz nei quarti di finale del Masters 1000 di Miami nella notte italiana tra il 28 e il 29 Marzo. Loretta Goggi pubblicò il singolo “Maledetta primavera” nel 1981 e verosimilmente non aveva nessuna intenzione di dedicarlo alla Florida, ai Masters 1000, al tennis e allo slice di rovescio: ma non è questa la giornata giusta per porsi alcun tipo di limite, non è la giornata giusta perché ieri notte abbiamo rinunciato al privilegio del sonno, e Grigor Dimitrov ha deciso di premiarci.

La primavera del bulgaro è cominciata lo scorso autunno, a dire la verità, ed è cominciata nel silenzio dell’indifferenza, in un momento della carriera in cui i riflettori del grande pubblico l’avevano quasi dimenticato, spostando la loro attenzione sul giovane talento di nuovi protagonisti. Dimitrov si trovava in poche parole nella fase peggiore della vita tennistica di una ex promessa mantenuta ma solo fino ad un certo punto: quella fase in cui non vedi l’ora che qualcuno parta in ritardo al semaforo per suonare il clacson, quella fase in cui hai solamente voglia di litigare ma ti manca proprio la forza, quella fase in cui il fastidio della noia ti costringe a mandare un messaggio che non volevi mandare, specialmente di domenica sera. La fase della disperazione travestita da accettazione.

Dimitrov (classe 1991) all’inizio di ottobre aveva infatti battezzato la rincorsa di Sinner verso la vetta del tennis mondiale perdendo con lui un match stupendo e lottato nei quarti di finale del torneo di Pechino: Jannik si salvò al terzo set, in preda alla nausea, e le gemme di Grigor erano finite nello sgabuzzino del vortice usa e getta del mondo dei social. Poi però il bulgaro aveva cambiato marcia, e non si poteva più fare finta di niente: la semifinale di Shanghai, battendo Alcaraz, la finale di Bercy, dove solo Djokovic riuscì a fermarlo, e il sorprendente ritorno tra i primi 15 giocatori del mondo. Il nuovo entusiasmo del quasi 33enne Dimitrov gli aveva consentito di proseguire la sua personale redenzione anche nel 2024: il trionfo di Brisbane, la finale a Marsiglia, la semi a Rotterdam. E poi Miami. L’antipasto, una battaglia di classe con Hubi Hurkacz negli ottavi finale, la portata principale, Alcaraz. 

Il flashback di cui abbiamo bisogno per completare questa storia è del 2009, quando il bulgaro, appena 17enne, giocò un match alla pari con Nadal a Rotterdam, un momento che diventò una condanna, trasformandosi nel soprannome più pesante di tutto il circuito: “Baby Fed”, il piccolo Federer, per via dell’evidente somiglianza estetica dei suoi gesti con quelli del campione di Basilea. Ma quella somiglianza estetica, che sfiorava la parodia, era appunto solamente una somiglianza estetica: il tessuto del tennis e l’impostazione tattica delle partite del bulgaro erano completamente differenti. Grigor, dotato di un talento purissimo, per tessere la ragnatela dei suoi colpi aveva infatti bisogno di tempo, e quelle frazioni di secondo lo costringevano ad assumere una posizione troppo arretrata in campo, una posizione che esaltava le strepitose qualità atletiche di Dimitrov, le sue gambe elastiche e la capacità di ribaltare lo scambio direttamente dalle tribune, una posizione che però allo stesso tempo gli impediva di prendere il controllo della partita. Senza il pallino del gioco il talento condanna sé stesso all’estemporaneità, il talento diventa solo un esercizio di stile. 

Ma torniamo agli ingredienti del tennis del bulgaro: il servizio era un buon colpo ma fondamentalmente innocuo, e a tratti diventava perfino un handicap, con qualche doppio fallo di troppo nei momenti decisivi delle partite più pesanti . Il rovescio slice era il migliore del circuito ma quello in top grattava la palla, al posto di colpirla. Dimitrov in fin dei conti- se vogliamo cedere alla tentazione di una sintesi brutale- era il classico giocatore da highlights: i punti più belli li vinceva lui, quelli più importanti l’avversario.

Al netto dei paragoni impossibili e di tutti i difetti emotivi di questo mondo la carriera di Dimitrov è stata una carriera di tutto rispetto: nove titoli (nel 2017 i trionfi più prestigiosi, a Cincinnati e alle Finals di Londra), dieci finali, tre semifinali slam e un best ranking di numero 3 del mondo. Grigor è stato semplicemente tradito da un soprannome scelto dagli altri, un soprannome sbagliato e fuori luogo: la sua storia meriterebbe infatti una prospettiva più oggettiva, una prospettiva che è stata invece falsata da un nomignolo campato per aria che ha generato aspettative fuorvianti, senza nessuna base tecnica.

Nella notte di Miami Dimitrov ha però coronato la sua primavera, ed è sembrato, stavolta sul serio, di rivedere Federer: il bulgaro ha dipinto il campo con una serie di cambi di ritmo micidiali, slice belli come sogni erotici, sempre per citare Loretta Goggi, alternati ad accelerazioni di dritto da togliere il fiato. Ha piantato i piedi sulla linea di fondo, non ha avuto paura del controbalzo, ha fotografato il suo avversario con le risposte anticipate di rovescio, si è divertito col pittino nei pressi della rete, ha irretito l’esuberanza del giovane spagnolo col colpo più subdolo di tutto il manuale del tennis: il passante in back. 

Lo stile del tocco, che non gli è mai mancato, ha finalmente abbracciato la concretezza delle scelte più sagge e Alcaraz non c’ha capito niente: “Sono molto frustrato, ha giocato un tennis fantastico, mi ha fatto sentire come se fossi un ragazzino di 13 anni”.

Dimitrov ieri sera si è dimenticato della carta d’identità e della fretta delle aspettative, si è goduto un istante che a rigor di logica non doveva nemmeno esistere. E poco importa se questo imbroglio durerà solamente lo spazio di qualche mese, e poco importa se perderà la semifinale con Zverev, perché i precedenti con il tedesco sono disastrosi, e sappiamo tutti che la perderà, e poco importa se la massa degli appassionati si ricorderà solo di un soprannome e non di questa magia.

Dimitrov nel corso della notte di Miami ha finalmente deciso, a quasi 33 anni, di innamorarsi- anche lui- del suo tennis: gli è bastata appena un’ora.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement