Andy Murray, l'uomo dei record

Editoriali del Direttore

Andy Murray, l’uomo dei record

ROMA ATP MASTERS1000 – Alla sua prima finale romana e nel giorno del suo compleanno, Andy Murray ha fatto centro. 85 anni dopo Pat Hughes (1931), che questi Internazionali d’Italia li vinse però a Milano sul “mousquetaire” francese Henry Cochet

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Ad Andy non farà così effetto come quando vinse Wimbledon nel 2013, 77 anni dopo Fred Perry, o quando conquistò la prima Coppa Davis per la Gran Bretagna lo scorso dicembre in Belgio dopo 80 anni, però qui dal 2005 in poi avevano vinto soltanto Rafa Nadal e Novak Djokovic (7 volte lo spagnolo, 4 il serbo). La sua vittoria, ad una settimana dall’inizio del Roland Garros, è importante, rimette in discussione la leadership di Djokovic che pareva indiscussa, riapre tanti discorsi.

Con tutto il rispetto per Madrid – assurto a Masters 1000 quando Ion Tiriac vi ha trasferito il suo torneo dai “possedimenti” tedeschi che gli erano valsi la conquista della medesima categoria – Roma ha ben altra tradizione, ben altro albo d’oro. Ne parlo perché il suo primo Masters 1000 sulla terra rossa, un anno fa, Murray lo ha vinto a Madrid (battendo Nadal in finale) e questo è il secondo.

Come sempre per vincere un grande torneo ci vuole anche un tantino di fortuna. E Murray l’ha avuta, perché in finale si è trovato di fronte un Djokovic che, già appannato fin dal suo arrivo e – lo avevo scritto ieri, non è senno di poi – in forma meno brillante in tutto questo 2016, a confronto con il 2015. Il serbo ha pagato lo sforzo fatto per arrivare in finale, con le battaglie intensissime disputate con Nadal (2 set molto dispendiosi in cui si era salvato per miracolo dal terzo set) e ancora più con Nishikori, contro il quale aveva conquistato l’ultimo punto dopo le 23:15.

Insomma Murray si è dimostrato in progresso, soprattutto con il servizio che lo ha molto ben sorretto le sole volte in cui si è trovato in difficoltà, una palla break nel secondo game e due nel quarto, ma anche con il dritto con il quale – ho potuto notare stando alle sue spalle – ha spiazzato più volte Djokovic. I due si conoscono da una vita, giocavano l’uno contro l’altro da ragazzini, eppure oggi sembrava che Nole non riuscisse a leggere bene quel colpo. Si buttava, un po’ come fanno i portieri del calcio, sulla sua sinistra, a coprire l’angolo del rovescio e invece, con un colpo di polso finale, Murray lo sorprendeva giocandogli sul dritto. Lo ha lasciato secco più d’una volta.

Del rovescio di Murray invece, marchio di fabbrica, mi sono meno sorpreso. Quel colpo lo ha giocato sempre strabene. Non è una novità. Certo oggi lo scozzese è stato più aggressivo del solito, ha preso i suoi rischi e non solo con il dritto. Ha giocato qualche bella palla corta, soprattutto si vedeva che era in fiducia, specialmente nel primo set nel quale non ha concesso nulla. Appena cinque punti in cinque turni di servizio, contro un ribattitore di lusso come Novak. Nel secondo set invece Andy è calato, o quantomeno è diventato più prudente.

Così Djokovic ha cercato di approfittarne, ma si vedeva che non era in giornata, non era lucido, non era il solito Djokovic. Bastava un nonnulla per favorire la sua deconcentrazione. Emblematico il suo ultimo game, due dritti – regali – fuori di un metro, un doppio fallo, un assist pazzesco da un metro di distanza dalla rete per il rovescio di Murray, che era lì ad aspettarlo e lo ha infilato come un tordo con un passante lungo linea. Quasi non avesse più voglia nemmeno di lottare. Roba, appunto, non da Djokovic n.1 del mondo.

Novak si era molto distratto per la pioggia e per il desiderio, più di far mettere a posto il campo che di rimontare: “Si scivolava, ho rischiato 3 volte di farmi male alle caviglie, trovo ridicolo che sia un arbitro, che non gioca a tennis e scende sul campo senza avere nemmeno le scarpe da tennis, a decidere se il campo sia praticabile o meno…”. Ma era nervoso fin dall’inizio quando ha beccato il break nel quarto gioco e anche un warning: “Ho fatto sbattere la racchetta per terra ed è rimbalzata in alto, finendo in tribuna… l’arbitro – l’argentino Damian Steiner – voleva farsi notare fin dall’inizio, congratulazioni a lui…” chiosava polemico, non senza aver prima però dato atto sportivamente al fatto che “Andy è stato migliore di me, ha giocato meglio e meritato di vincere”.

Per Murray è il primo successo da quando è diventato padre. “Ma ho giocato solo 4 tornei da allora, non ho avuto tante occasioni, però è una motivazione in più”. Ed è stato tenero, quasi commovente, quando, rispondendo ad una domanda suggeritami da Roberto Salerno, ha confessato: “Sì, prima di scendere in campo per la finale, l’ultima cosa che ho fatto è stata guardare una fotografia di mia figlia”.

Dacché gli è riuscito il break per salir 3-2 nel secondo set, Andy non ha più corso veri rischi, salvo forse sul 4-3 quando è stato indietro 15-30 prima di mettere a segno 3 punti di fila. È un bene per il tennis, e non solo per Andy, la Scozia (ma hanno suonato God Save The Queen, non l’inno scozzese), il Regno Unito. Sì, perché c’era bisogno anche di aria fresca, di incertezza. Tutti coloro che dicevano “che noia questo tennis, vince sempre soltanto Djokovic” sono stati… puniti. Nessuno è sempre imbattibile, sono tutti essere umani. Formidabili essere umani, fenomeni, ma spesso quando si arriva ad una finale c’è un giocatore più fresco dell’altro – “I was happy to be so fresh”, ha detto Murray – e spesso questo può essere un fattore decisivo.

Forse Andy Murray non è più Ringo Starr, nemmeno sulla terra battuta. “I miei coach mi dicevano sempre che avevo il gioco adatto per vincere anche sulla terra… qui so che si possono recuperare tante palle, forse ero io che non credevo abbastanza in me stesso”. Ecco, questa convinzione potrebbe cambiare molte cose. Perché a Murray non è mancato il fisico, negli ultimi anni, e anche sulla distanza dei tre set su cinque potrà dire la sua, al Roland Garros. Come anche Rafa Nadal, più di Roger Federer che ho visto davvero incerto qua, e temo che 9 giorni non gli basteranno per recuperare appieno tutte le sue doti e la sua antica prestanza atletica.

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