da Melbourne, il nostro inviato
Chi ha acceso il televisore domenica mattina per guardare gli Australian Open e si è trovato ad assistere alla partita tra Andy Murray e Mischa Zverev deve aver pensato di essere finito per sbaglio nella macchina del tempo. Tipo quella che negli Anni ’80 di Dr. Brown aveva costruito con la DeLorean in “Ritorno al Futuro”, oppure quella che più recentemente il bambino prodigio Stewie Griffin assembla nella sua cameretta nella serie cartoon “I Griffin”. Perché si vedeva uno che sul campo blu della Rod Laver Arena di Melbourne giocava a tennis come si usava trent’anni fa, quando i campi non erano ancora diventati ruvidi come carta vetrata e le palline non si trasformavano in gatti arrotolati dopo pochi game. Questo tedesco quasi trentenne, Mischa Zverev, era entrato in campo con la bizzarra idea di fare serve&volley su prima e seconda palla, cercando la rete alla prima occasione possibile e giocandosi le proprie chance sfidando i passanti ed i lob nel n.1 del mondo, quell’Andy Murray da Dunblane che dal settembre scorso ad oggi aveva perso solo una partita contro il suo rivale ufficiale Djokovic.
Ma perché è successo ciò che nessuno si aspettava? Cosa ha generato la sorpresa? In fondo questo Mischa Zverev fino al giorno prima era forse più noto per essere il fratello maggiore del predestinato Alexander, il quale solo 24 ore prima su quello stesso campo aveva fatto vedere i sorci verdi a Rafa Nadal ed a cui tutti, unanimemente, predicono un futuro da campionissimo. Due anni fa Mischa era reduce da un’operazione e ricominciava la sua scalata alla classifica dalla posizione 1063. All’inizio dello scorso ottobre era al n.110 del ranking mondiale, quando una grande settimana al Masters 1000 di Shanghai gli aveva consentito di saltare in soli sette giorni fino al n.68 grazie al raggiungimento dei quarti di finale (battuto in tre set tirati da Djokovic) partendo dalle qualificazioni. Cosa ha fatto “disinbrocchire” (neologismo approvato dal vice-direttore di Ubitennis Carlo Carnevale) di colpo questo brutto anatroccolo che sembrava destinato a concludere la carriera nel relativo anonimato dei tornei minori?
Innanzitutto bisogna notare come chi pratica un tennis offensivo, fatto di discese a rete e volée, tende a maturare e soprattutto ad ottenere risultati molto più tardi rispetto a chi gioca in maniera più conservativa. Anche quando i primi del mondo erano attaccanti da servizio e volée, come i vari Becker e Edberg, e quindi il tennis offensivo non era considerato “demodé” come oggi, chi voleva ottenere risultati “pochi, maledetti e subito” si affidava al mantra del “top spin, palla lunga e pedalare”. Il tennis d’attacco è più difficile richiede sensibilità ed esperienza, e soprattutto richiede che non ci si scoraggi quando le cose non vanno per il verso giusto. Ma anche concedendo al buon Misha qualche anno di bonus a causa (o per merito, decidete voi) del suo stile di gioco, è comunque sorprendente come sia riuscito ad arrivare al top della sua condizione tennistica alla soglia dei 30 anni.
A nostro avviso tuttavia l’aspetto tecnico tattico più interessante da analizzare nella vittoria di Zverev senior contro Murray è il match-up tra il tipo di gioco che si è sviluppato ed ha dominato negli ultimi 10 anni e quello offensivo più classico adottato dal tedesco. Come fatto notare lo scorso ottobre dal nostro Luca Baldissera in una delle sue ormai iconiche analisi tecniche, il tennis moderno allena sostanzialmente un solo tipo di risposta, che si pone come obiettivo quello di mandare la palla forte e profonda in centro al campo, vicino alla linea di fondo, in modo da far arretrare il battitore all’uscita del movimento del servizio, riuscendo in questo modo a prendere una posizione di vantaggio nello scambio da fondocampo. Questo approccio tuttavia non funziona contro un giocatore serve and volley, che arrivando nei pressi della rete si vede ritornare indietro una palla che il più delle volte è alta e centrale, comoda preda per una volée vincente. Siccome però il serve and volley è ormai diventato rarissimo, il possesso di armi per contrastare questo tipo di gioco è diventato irrilevante per assicurare la “sopravvivenza” del giocatore stesso, e quindi nel pieno rispetto della teoria darwiniana questa caratteristica si è estinta nella specie. La resurrezione di questi “dinosauri” in questi Australian Open si può imputare alla velocità dei campi, e soprattutto delle palle, che hanno reso questo torneo il più “rapido” della storia recente. Tutti i giocatori sono concordi nel definire le condizioni di gioco molto rapide, anche in giornate relativamente miti nelle quali la bassa temperatura rallenta il percorso delle palle attraverso l’aria. Anche se la Rod Laver Arena è unanimemente ritenuta più lenta dei campi laterali (Isner ha definito il campo n.8 sul quale ha perso contro Mischa Zverev come “Grease lightning”) tutti gli addetti ai lavori interpellati, da Federer a Ivanisevic, sono unanimi nel considerarla la superficie Slam più rapida del recente passato.
Allora una domanda nasce spontanea: non è che magari Mischa Zverev non si è “disinbrocchito” tutto in un colpo ma invece ha finalmente trovato una superficie e delle palle che non uccidono il suo tipo di gioco? In base a quanto abbiamo scritto sopra, a nostro avviso la risposta è abbastanza ovvia.
E voi cosa ne pensate?