Qui Doha, il ritorno di Federer: "Penso a star bene, non ai record. Roma? Devo decidere"

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Qui Doha, il ritorno di Federer: “Penso a star bene, non ai record. Roma? Devo decidere”

Lo svizzero tornerà in campo dopo oltre un anno, attende il vincente di Evans-Chardy. “Al ritiro non ci ho pensato, il tempo perso per gli infortuni può essere recuperato allungando la carriera”

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Roger Federer - Australian Open 2020 (via Twitter, @AustralianOpen)
 

Il suo sforzo di tenere i fari bassi non andrà a buon fine. Roger Federer è tornato, riapparendo a Doha a oltre un anno di distanza dalla sua ultima partita ufficiale (la semifinale dell’Australian Open 2020 persa con Djokovic). Nel mezzo due operazioni al ginocchio destro, la pandemia, l’avanzamento sempre più ingombrante della carta di identità. “Ci sono tanti interrogativi, non ho grandi aspettative – ha dichiarato ad ATP Media -, ma sono felice di giocare di nuovo un torneo, indipendentemente dal risultato“. Al netto della sua percezione, gli occhi del mondo del tennis domani saranno tutti puntati sul Qatar. Colpo di fortuna per un torneo 250 che il re svizzero non frequentava dal 2012 (dopo averlo vinto tre volte). Il privilegio di celebrarne il nuovo inizio toccherà al vincente tra Daniel Evans e Jeremy Chardy. L’approccio alla stagione non è di quelli aggressivi, dopo aver strategicamente rinunciato all’Australia.

VISIONI – “Ho scelto una partenza soft – spiega -, ammetto che sia piuttosto strano trovarsi a commentare il rientro dopo un anno di un uomo di quasi 40 anni. Non mi aspettavo di dover rimanere fermo così a lungo, ma l’importante è non avvertire più dolore e che il ginocchio sia guarito“. Chiaramente, ciò che manca è il clima partita. “Devo essere realista – è la sua analisi – nelle ultime settimane mi sono allenato due ore e mezza al giorno dal lunedì al venerdì, ma è difficile capire a che livello puoi essere senza aver fatto la preparazione contro giocatori forti come succede di solito. Sono fiducioso, altrimenti non sarei qui. Però è un aspetto delicato, perché credo che ritrovare confidenza con il proprio gioco conti in questo momento più del fisico“. Poi il sorriso, tornato anche quello: “In realtà ho avuto una visione nella quale sollevo il trofeo, magari riuscirò a sorprendere me stesso“.

PROSPETTIVE – In realtà il rientro, pur prendendosi la scena, non è fine a se stesso. L’obiettivo vero è la campagna estiva, Wimbledon e poi l’Olimpiade. Sogni da costruire passando prima per Dubai, poi (saltando Miami) per la stagione europea su terra. “Roma? Non ho ancora deciso nulla – tiene a precisare -, valuterò più avanti come organizzarmi per la stagione sul rosso“. Programmazione cauta, ma convinta. Il ritiro, anche nel momento più complicato, “non è mai stato una vera opzione, racconta. “È finito solo in qualche discorso col mio team all’inizio della convalescenza, ma è rimasto lì. Certo, se il ginocchio non fosse guarito come volevo, sarebbe stato inevitabile. La riabilitazione volevo farla per la mia vita, per poter giocare e sciare con i miei figli. Ma sento di avere ancora qualcosa dentro, abbandonare il tennis non è mai realmente stato in programma“.

PRIORITÀ – Rimanendo in superficie, a quello che lui stesso decide di esplicitare, sembra che le storie di record non lo coinvolgano più di tanto. Nei giorni in cui Novak Djokovic lo ha superato per il totale di settimane al numero uno del ranking (311 contro 310), mentre rimane in Svizzera il record delle settimane consecutive (237). “Il dibattito su chi sia il più grande di tutti i tempi farà discutere all’infinito – ribatte -, ma quello che hanno realizzato Nole in Australia e Rafa a Parigi è stato straordinario, anche perché non hanno più 25 anni. Poi ci sono anche i più giovani: sono stato felice per la vittoria di Thiem allo US Open, sto seguendo la crescita di Medvedev e Rublev. Ma adesso per me è il momento di pensare soltanto a star bene, non ai record. Vorrei tornare a giocarmela ad alti livelli, puntando a grandi trofei. Spero di rimanere nel circuito abbastanza a lungo da tornare a vedere di nuovo gli stadi pieni di appassionati“.

Dando sponda a chi sostiene che lo stop possa avergli allungato, in qualche modo, la carriera. “È un valido spunto – conferma – a uno che ha giocato oltre 1300 partite, le pause possono far bene. Certo, stare a casa è dura. Ma credo che il tempo perso per gli infortuni si possa recuperare posticipando la fine del viaggio. Sarà comunque il ginocchio a dirmi quanto andare avanti, insieme all’evoluzione quotidiana della vita privata. In famiglia sono stato bene, ma mi è mancata quella che posso definire la seconda famiglia. Sono curioso di scoprire come andrà“. Non è il solo. Bentornato.

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