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I tanti pregi di Jannik Sinner a confronto con campioni italiani e stranieri
Con il bis di Sofia si sprecano i paragoni con Fognini, Barazzutti e Bertolucci. Ma anche con Nadal, Djokovic, Federer e Murray. Più Lendl che Leconte. Davvero non Kyrgios

Il titolo di Sofia, passato quasi sottotraccia rispetto al clamore di quello dello scorso anno, ci ha consegnato uno Jannik Sinner ormai recuperato dal periodo negativo della fase centrale della stagione, con le quattro sconfitte consecutive culminate davanti a O’Connell ad Atlanta e con alcune delle precedenti vittorie che, con tutto il rispetto per gli avversari, non ci avevano fatto spellare le mani. Un periodo che ha coinciso con le condizioni più lontane dalle preferite (il duro, specialmente indoor) e, forse, anche da alcune comprensibili insicurezza in seguito a qualche modifica tecnico-tattica, tra gli accorgimenti al servizio e la ricerca della rete – zona per sinneriana natura lontanissima da quella di comfort –, obiettivo ultimo che passa necessariamente per il miglioramento nella gestione delle palle da attaccare, il tutto per non lasciarsi sfuggire le situazioni di vantaggio che la sua spinta dalla linea di fondo gli crea.
La sterzata di Washington e lo zero nella casella dei set persi a Sofia
Se la brusca sterzata era arrivata con il successo all’ATP 500 di Washington, superando giocatori dalla classifica non luccicante ma agguerriti e in ottima forma, in Bulgaria abbiamo visto Jannik giungere in finale senza aver espresso il suo miglior tennis, per poi ritrovarlo nell’ultimo atto. Proprio l’aver vinto sempre in due set pur giocando complessivamente peggio degli avversari, almeno in una frazione, è un sintomo assai significativo di una ritrovata fiducia dopo l’appannamento estivo. Ma c’è di più. Contro Gerasimov, Duckworth e Krajinovic, nonostante giornate tutt’altro che di grazia e un dritto frequentemente fuori misura, l’azzurro ha comunque vinto un set con relativo agio e, soprattutto, è riuscito a ribaltare la frazione che pareva persa. Quando l’altro si è trovato servire per chiudere il parziale, da una parte Jannik è stato bravo a non arrendersi (scoramento per la giornata storta e “tanto è solo un set”), ma a rispondere e alzare il livello; dall’altra parte della rete, però, l’indispensabile collaborazione di chi si rende conto che “posso battere Sinner, il campione in carica, la prima testa di serie”.
Un irriverente confronto con Rafa Nadal
Senza per questo andare a infilarci in paragoni esagerati (che comunque non mancheranno a breve), pensiamo a certe vittorie di un Nadal poco centrato – quest’anno con Shapovalov e Sinner a Roma, Ivashka a Barcellona – che hanno dato l’impressione di stargli sopra o di poterlo fare, ma alla fine hanno perso. Se è impossibile avere la controprova, non è nemmeno troppo campata in aria l’idea che avrebbero probabilmente vinto contro un diverso contendente che avesse messo in campo la stessa prestazione di Rafa. O di Jannik.
Nel loro tris Fognini, Barazzutti e Bertolucci hanno battuto tennisti più forti rispetto a Jannik
In ogni caso, domenica scorsa Sinner ha alzato il terzo trofeo della stagione eguagliando Fognini, Barazzutti e Bertolucci, con la possibilità ancora aperta di diventare il primo azzurro con quattro titoli in una stagione. Se andiamo a vedere il migliore avversario per classifica battuto dai nostri in ogni torneo, Sinner non raggiunge i picchi dei colleghi:
Sinner, 2021
Sofia (Indoor/Hard), n. 20 Monfils
Washington (Outdoor/Hard) n. 45 Korda
Melbourne 1 (Outdoor/Hard), n. 20 Khachanov
Fognini, 2018
Los Cabos (Outdoor/Hard), n. 4 del Potro
Bastad (Outdoor/Clay), n. 29 Gasquet
San Paolo (Indoor/Clay), n. 31 Cuevas
Bertolucci, 1977
Berlin (Outdoor/Clay), n. 33 Victor Pecci
Hamburg (Outdoor/Clay), n. 7 Manuel Orantes
Florence (Outdoor/Clay), n. 38 Pecci
Barazzutti, 1977
Parigi-2 (Indoor/Hard), n. 4 Brian Gottfried
Bastad (Outdoor/Clay), n. 37 Balazs Taroczy
Charlotte WCT (Outdoor/Clay), n. 8 Eddie Dibbs
In precocità… con Corrado, Paolo e Fabio però non c’è gara
A bilanciare questa “pecca” in termini di altrui ranking, Jannik ha al suo arco la freccia della giovane età, avendo raggiunto questo risultato nella stagione dei vent’anni contro i 24 di Corrado, i 26 di Paolo e i 31 di Fabio. E non possiamo non rilevare come il tennis degli anni ’70 fosse meno competitivo di quello contemporaneo, in cui le differenze si assottigliano in virtù di una preparazione atletica (per tacere dell’attenzione agli aspetti nutrizionali, mentali e tutto il resto) nemmeno comparabile a quella di oltre quarant’anni fa. Un’altra caratteristica che parla a favore del Rosso di Sesto è l’attitudine alle superfici dure – di gran lunga le più diffuse nel Tour –, laddove solo due titoli su nove degli altri tre italiani sono stati vinti fuori dalla terra battuta. Ma, più in generale nel panorama azzurro, c’è una top 15 raggiunta con una precocità sconosciuta ai (pochissimi) connazionali che possono citare quelle vette di classifica nel proprio CV. Non sfigura nemmeno il bilancio di 4-1 quando si è trattato di dare l’ultima zampata. Un bilancio che diventa 5-1 considerando le Next Gen Finals del 2019: l’ATP ha deciso (con colpevole ritardo, chiedere a Chung) di non contare quel titolo, ma la peculiarità di una finale, da molti considerata un match a sé, supera certi tecnicismi.
I tre fenomeni dicono di lui
Su Jannik e sulle sue qualità, ha peraltro già avuto occasione di esprimersi quella famelica entità nota come Big 3. Secondo Roger Federer, il nostro “ha la stessa velocità sia con il dritto che con il rovescio, oltre a muoversi in maniera incredibile per uno della sua altezza. E soprattutto è un ragazzo d’oro”. Djokovic dice che “colpisce la palla nel modo giusto più o meno su tutte le superfici, è polivalente, ha molto talento ed è in forma. È il futuro del nostro sport, e forse già il presente”. E per Nadal “è uno da tenere d’occhio con grande attenzione”.
Dov’erano i 3 fenomeni a 20 anni e 2 mesi?
Rimanendo sui tre fenomeni, ai quali aggiungiamo anche Murray, ci domandiamo dove fossero a vent’anni e (nemmeno) due mesi, l’età attuale di un Sinner che vanta quattro titoli e il n. 14 del ranking. Sappiamo già che Rafa è fuori scala, quindi lo togliamo di mezzo (in senso buono) per primo: diciassette titoli e secondo tennista del mondo – però non vale perché è mancino (o viene da un’isoletta o qualsiasi altra scusa). Per quanto riguarda Nole, top 5, aveva cinque trofei in bacheca, mentre Roger umilmente contava un solo titolo e il n. 12 ATP. Infine Murray, con due tornei vinti, era alla sua prima esperienza da top 10. Insomma, se l’impossibile band ventenne dei Fab 4 volesse allargarsi a Fab 5 (quindi da Beatles a Duran Duran), Jannik non sfigurerebbe affatto.
Giocherà i doppi per allenare i colpi d’inizio gioco. Paul Mc Namee lo comfronta con Berrettini
Nell’immediato futuro c’è il torneo di Indian Wells, con Jannik presente anche nel doppio in coppia con Matteo Berrettini. Per quanto l’accoppiata sia da leggere in chiara ottica Coppa Davis (Fognini lo gioca al fianco di Lorenzo Sonego), si tratta del nono torneo di specialità a cui partecipa quest’anno, segnale che lui e il suo team vogliono sfruttare ogni ragionevole occasione per mettere alla prova del campo il lavoro in allenamento su servizio e gioco di volo, al tempo stesso familiarizzando con l’importanza di quelle situazioni. E le sfide con i corridoi non sono neppure male per migliorare la risposta, uno dei colpi fondamentali del gioco moderno e per il quale Sinner è già nell’élite del tennis. A proposito di questa coppia, Paul mcNamee, già vincitore di quattro titoli Slam di doppio e direttore del torneo di Sofia, ha detto a Ubaldo Scanagatta che “Jannik è un giocatore completo a tutto campo, mentre Matteo si affida più al suo pesante dritto dopo l’altrettanto possente servizio. Stili diversi, quindi, con Sinner più adatto alle caratteristiche lineari dei campi in duro e Matteo che si adatta meglio a erba e terra battuta”.
Jannik somiglia più a Lendl che a Leconte, è più Fab 4 che Kyrgios
A ognuno il suo percorso è una regola da tenere sempre presente e neppure fingiamo di dimenticare che la crescita di un tennista non è lineare, ma pensare a dove si trovavano Berrettini e Sonego cinque anni fa ci riempie di ottimismo per ulteriori progressi in virtù di un potenziale non ancora del tutto espresso. Al contrario, Sinner ha ampi margini di miglioramento, locuzione che nel suo caso non è un ironico eufemismo per limitarsi a dire che è “scarso” su qualche colpo, bensì una fondata ipotesi che possa colmare quelle lacune. Fondata perché Jannik è un perfezionista, non rifugge l’autocritica, guarda avanti e pensa continuamente a migliorare: con una mentalità più da Lendl che da Leconte o più da Fab 4 che da Kyrgios, non si può che essere fiduciosi – lui per primo – in vista del raggiungimento di quegli obiettivi.
‘Sotto rete’, la storia delle ATP Finals raccontata da Ubaldo: “Quando i giudici di linea scioperarono”
Flash
Wim Fissette scarica Qinwen Zheng: ritorno con Naomi Osaka?
La notizia emerge a margine dell’oro agli Asian Games della cinese: “Ha infranto il contratto”

Brutte notizie arrivano per Qinwen Zheng dopo la medaglia d’oro conquistata in singolare agli Asian Games (vittoria le dovrebbe valere la qualificazione per Parigi 2024). La numero 1 cinese si dovrà separare dal suo allenatore Wim Fissette con cui aveva iniziato una collaborazione nello scorso giugno: il coach, capitano del Belgio in Billie Jean King Cup, avrebbe infatti deciso di tornare da Naomi Osaka, che rientrerà nel circuito nel 2024 dopo la pausa per la maternità.
Una collaborazione che è stata discretamente proficua in questi mesi, considerato che Zheng ha conquistato a Palermo il suo primo titolo a livello WTA e il primo quarto di finale a livello Slam allo US Open. Una vera e propria beffa per la classe 2002 di Shiyan che aveva dato il benservito a Pere Riba, insoddisfatta dei risultati con l’allenatore spagnolo. L’iberico di lì a poco si sarebbe “accasato” con Coco Gauff, portandola insieme a Brad Gilbert a vincere Washington, Cincinnati e lo US Open.
“Fissette ha infranto il contratto, ed è stato molto immorale – sono le parole della cinese riportate da diversi media dopo la finale vinta contro la connazionale Zhu Lin – capisco la sua decisione, ma io e la mia famiglia ci sentiamo feriti. In questo momento, non voglio parlare di questa persona”. Una situazione davvero spiacevole per una giovane come Zheng che aveva investito le sue risorse in un allenatore esperto come il belga e ora si ritrova a piedi in una condizione piena di incognite: il talento è grande, ma ancora la cinese deve trovare una figura stabile che riesca a incanalare il suo grande potenziale. Evidentemente non sarà Fissette.
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WTA Ningbo: in finale Jabeur e la sorpresa Shnaider, sconfitte Podoroska e Linda Fruhvirtova
La tunisina disinnesca con attenzione il dritto dell’argentina, la russa si impone facilmente nella contesa tra giovanissime

Al Ningbo Open le due semifinali emettono verdetti positivi per la testa di serie numero uno Ons Jabeur e per la sorpresa russa Diana Shnaider.
D. Shnaider b. L. Fruhvirtova 6-4 6-1
Diana Shnaider prevale nella sfida tra teenager contro Linda Fruhvirtova nella prima semifinale del Ningbo Open. La classe 2004 russa supera in poco più di un’ora e mezza la ceca più giovane di lei di un anno imponendo il proprio robusto forcing con il dritto ma giocando anche alcune traiettorie di rovescio in particolar modo incrociate che sono risultate molto importanti per neutralizzare le risorse della rivale. Fruhvirtova si è trovata in tal modo spesso impegnata a rincorrere: il suo gioco di contenimento le ha permesso di rimanere a galla per quasi tutto il primo set. Poi la moscovita ha dilagato.
Nella prima frazione l’atleta di Praga trova per prima il break nel secondo gioco, approfittando di un dritto lungolinea di poco largo di Shnaider. Il vantaggio dura poco e la ceca lo rende mettendo in rete uno smash a rimbalzo. Sullo slancio la russa sale 4-2 strappando nuovamente il servizio alla rivale alla sesta palla break del game. Diana è sempre più in palla e dimostra i suoi miglioramenti in fase difensiva annullando una palla per il controbreak con un dritto lungolinea in corsa irraggiungibile per l’avversaria.
Le è sufficiente tenere ancora un turno alla battuta e il primo set è suo: tre ace a testa ma cinque doppi falli per chi ha perso contro due per chi ha vinto. Il secondo parziale conferma la tendenza degli ultimi game e Shnaider infila 5 giochi consecutivi prima di subire un break che non fa male: al termine è un 6-1 in 37 minuti.
Per Fruhvirtova un torneo che le ha comunque consentito di rompere la serie negativa di 9 sconfitte consecutive con relativo crollo in classifica oltre la centesima posizione. Per Shnaider una vittoria che vale la prima finale nella carriera e il miglior piazzamento nel ranking, vicinissimo alla sessantesima posizione. Che ovviamente può ancora migliorare…
[1] O. Jabeur b. N. Podoroska 6-3 1-6 6-2
La testa di serie numero 1 del tabellone Ons Jabeur “riempie il contratto” ed entra in finale superando l’Argentina Nadia Podoroska con il punteggio di 6-3 1-6 6-2.
La numero 87 del ranking non sfigura e oltre a conquistare nettamente il secondo set, nel resto del match riesce a tratti a mettere alla frusta le qualità difensive in back della settima giocatrice del mondo, che è però brava a non perdere la concentrazione e a giocare con buona continuità i due parziali vinti.
Jabeur cede in apertura la battuta e la recupera nel quarto gioco: la tennista sudamericana fa ottimo uso del dritto e conduce spesso gli scambi da fondo campo, ma una volta subita la rimonta, perde smalto e subisce un secondo break nell’ottavo gioco, che l’atleta nordafricana conquista con un portentoso dritto inside-out. Chiusa la prima partita nel game successivo, Jabeur, quasi soddisfatta del successo parziale, lascia l’iniziativa a Podoroska, che in poco più di mezz’ora pareggia il conto dei set lasciando un solo gioco all’avversaria.
L’inizio del set decisivo è forse il momento più delicato per Jabeur, che sul punteggio di 2-1 manca una palla break e si fa nuovamente raggiungere dall’argentina. Da qui in poi però il rendimento di Nadia cala nettamente e Ons trova il break a zero per un 4-2 che diventa 6-2 poco dopo.
Coppa Davis
Coppa Davis – Il “caso” Nazionale: io penso che Sinner meriti l’assoluzione
L’opinione del direttore di Ubitennis. “Non la merita chi lo ha sollevato”. Fossi Volandri convocherei serenamente un Sinner disponibile. Binaghi e la Real Politik di Otto von Bismark

La prendo larga per sostenere che secondo me Jannik Sinner non merita proprio di essere lapidato, già proprio preso a pietre in faccia come è accaduto, a seguito di alcuni interventi – da Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta, sollecitati dalla linea editoriale della Gazzetta che ha sollecitato le reazioni scandalizzate di campioni di altri sport con una campagna di stampa massiccia, quasi feroce – e da tutti i colpevolisti che si sono scagliati virulentemente contro la decisione di Jannik di saltare il girone di Coppa Davis di Bologna.
A Bologna, cioè laddove – almeno sulla carta anche se poi non è stato così – l’Italia avrebbe dovuto passare in carrozza alle finali di Malaga trovandosi alle prese con 3 squadre che (unica eccezione il Cile per via di Jarry) per quattro quinti non potevano schierare tennisti compresi fra i primi 100/150 del mondo.
Sostengo l’innocenza di Jannik anche se lì per lì mi è certo dispiaciuto che non ci fosse a Bologna – anche ma non solo per coerenza con quanto sostenni 15 anni fa nel “caso Bolelli”.
E mi trovo semmai un po’ in imbarazzo per capire come dovrei reagire nel registrare invece una certa assenza di coerenza in chi vorrebbe applicare due pesi e due misure, cioè regole che valgono per alcuni e non per altri.
Regole diverse infatti sembrano valere per i tennisti molto forti, Jannik Sinner, n.7 del mondo e n.4 della Race, ma non per quelli più deboli, meno noti e con un impatto mediatico meno “forte”, Bolelli n.34, Seppi n.46 e altri condannati obbligati senza sconti a passare sotto le Forche Caudine. E’ anche vero però che si sta parlando di regole “pensate” e applicate fra il 2008 e il 2010
LA RAGION DI STATO
Tutto ciò, anche se alla fin fine anch’io accetto in parte la…Ragion di Stato che ha certamente ispirato recentemente Angelo Binaghi. Cioè quella “ragione” che può permettere soluzioni pragmatiche che sacrifichino la morale e la coerenza pur di risolvere in modo vincente un problema.
Si tratta…almeno un po’, senza lasciarsi prendere troppo dall’irriverente confronto, come fu per la Ost Politik del cancelliere tedesco e social democratico Willy Brandt che non era davvero comunista, ma “aprì” ragionevolmente alla Germania dell’Est e meritò anni dopo di essere insignito di un Premio Nobel per la pace. Brandt proseguiva nella tradizione della “Real Politik” dell’altro cancelliere tedesco Otto von Bismark (1815-1898), che decise di privilegiare la politica concreta fondata sugli interessi del Paese e sulla realtà (interna e internazionale) del momento e non sui sentimenti, le ideologie, i principi.
Insomma capisco oggi anche l’atteggiamento di Binaghi, così come non lo capii 15 anni fa.
L’ANTICA STORIA DI QUANDO IL SOTTOSCRITTO ERA LO…”ZIO” DI BINAGHI
Occorre fare un po’ di storia, anche personale, prima di arrivare al “caso” Sinner e a come viene affrontato oggi rispetto a come sarebbe stato una affrontato una volta.
Neppure chi legge Ubitennis da tempo e apprezza la nostra linea giornalistica sempre autonoma, orgogliosamente indipendente dai poteri forti ATP, WTA, ITF, 4 SLAM (più in Italia FITP) e quindi esposta a correre fastidiosi rischi e brutte conseguenze, probabilmente immagina e sa che fino al 2008, il presidente federale Angelo Binaghi in carica dal 2000 a oggi, considerava – incredibile dictu! – il sottoscritto persona cui affidarsi, cui poteva convenire chiedere consiglio in virtù della sua maggiore età, esperienza e conoscenza del tennis internazionale, anche per certi aspetti comunicazionali.
Esperienze e conoscenze maturate e coltivate 30 anni prima della sua prima elezione a presidente FIT. Quindi fin dall’inizio degli anni Settanta, quando ancora – sebbene modesto giocatore – riuscivo grazie ai miei risultati da doppista fra i seconda categoria a qualificarmi per affrontare i “prima” agli Assoluti Nazionali, a vincere con il C.T. Firenze uno scudetto tricolore a squadre di prima categoria, prima di “sopravvivere” per oltre mezzo secolo fra i giornalisti, frequentando non solo i più grandi tennisti di 6 decadi, ma anche i più grandi dirigenti dei grandi tornei e delle federazioni (un nome per tutti Philippe Chatrier), tanti manager del tennis mondiale (Mark McCormack, Donald Dell), non senza aver avuto anche qualche piccola esperienza come promoter di qualche weekend tennistico (come l’evento similDavis Italia-Stati Uniti grazie al quale misi di fronte Adriano Panatta e Paolo Bertolucci a due mostri sacri come Arthur Ashe e Vitas Gerulaitis in Toscana), come per più anni organizzatore/direttore del torneo ATP di Firenze, quando ancor giovanissimo ero diventato amministratore delegato di una agenzia di pubblicità, D&A, Design&Advertising.
Angelo Binaghi usava allora chiamarmi zio” e mi consultava con una certa frequenza su svariati argomenti. Conservo sul mio cellulare i suoi messaggi. Fui anche consulente FIT e KPMG per una ricerca affidata all’Istituto per il Credito Sportivo.
QUANDO CONSIGLIAI ALLA FIT DI PROCURARSI UNO SPAZIO TV PER IL TENNIS
Inciso inedito: fra i vari suggerimenti che potei dare allora – ricordo che accadde nel corso di un viaggio in treno con Binaghi da Firenze a Bologna – ci fu anche quello di studiare il modo di “conquistare” uno spazio televisivo per il tennis, comprando spazi settimanali in un qualche network privato economicamente “raggiungibile”. Parlammo allora di piccoli network nazionali.
I fatturati FIT di allora non permettevano voli pindarici di altro tipo. Con meno di 30 milioni di fatturato annuo non era come averne 180 e, almeno secondo me, la FIT doveva prima di ogni cosa sistemare il settore tecnico maschile e rivedere la sua politica nei confronti dei team privati, per diversi anni per nulla incentivati, quando non addirittura osteggiati. Perfino le mie modeste conoscenze in termini di costi tv mi permettevano di escludere che una TV federale potesse chiudere i conti col break-even in tre anni, come fu invece annunciato all’esordio di Supertennis. Chiudo l’inciso, sennò dimentico Sinner e la sua presunta innocenza…
QUANDO I RAPPORTI IDILLIACI CON IL PRESIDENTE FIT CROLLARONO
Tutti questi rapporti idilliaci con Angelo Binaghi durarono dunque soltanto per i suoi primi 8 anni di presidenza. Fino al 2008. Ma che cosa accadde nel 2008?
Accadde che, settembre 2008, l’Italia di Coppa Davis doveva giocare a Montecatini per la permanenza in serie B (nel gruppo EuroAfricano) contro la Lettonia di Gulbis e…nessun altro! Beh sì, il n.2 lettone era tale Andis Juska, n.394 del mondo…e non valeva più del suo ranking. Non avrebbe vinto contro nessuno dei primi 20 tennisti italiani.
Difatti perse i suoi due singolari senza vincere un set con Seppi e Starace che non giocarono neppure particolarmente bene. Inevitabilmente trascinò alla sconfitta in doppio anche il talentuoso Gulbis che in singolare aveva dominato nettamente Fognini in prima giornata (7-6,6-1,6-1) e avrebbe poi rimontato Seppi al quinto in terza dopo aver perso i primi due set.
Era stato anche in virtù di questa scontata debolezza del team lettone, che Simone Bolelli – consigliato dal suo coach Claudio Pistolesi – aveva osato dir di no alla convocazione in Davis emessa dal capitano Corrado Barazzutti.
C’era stato un precedente. L’anno prima Filippo Volandri, quando l’ItalDavis doveva affrontare un’altra squadretta ancor più debole, il Lussemburgo, su un campo in cemento approntato ad Alghero, fu concesso a Filippo di disertare l’evento in terra sarda, visto che voleva prepararsi per un torneo sulla terra battuta (Stoccarda?).
Bolelli era allora n.36 ATP. L’obiettivo che lui e il suo coach volevano centrare nell’autunno di quel 2008, era riuscire a rientrare almeno fra i primi 32 in modo da assicurarsi un posto fra le teste di serie all’Australian Open. Una legittima valvola di sicurezza per evitare di affrontare i più forti nei primi 2 turni.
C’erano due tornei in Oriente, Bangkok e Tokyo a settembre dove Simone era convinto di poter fare bene e conquistare punti preziosi. Ma per lui le cose non andarono come per Volandri. Il “gran rifiuto” di Bolelli scatenò un putiferio.
Nicola Pietrangeli (che giocava la Coppa Davis quando quella era molto più importante degli Slam) arrivò a dire che Bolelli “aveva sputato sulla bandiera”, la FIT proclamò una squalifica di 4 anni (poi rientrata), Binaghi disse che Bolelli non avrebbe mai più giocato in Coppa Davis (“Finchè sarò io presidente”, ma anch’esso fu provvedimento rimangiato quando Bolelli abbandonò il suo coach Pistolesi). Per un certo periodo gli fu impedito di allenarsi nei circoli italiani affiliati alla FIT.
Io avvertii Binaghi – che avrebbe desiderato il mio sostegno in quella battaglia sbagliata – che non lo avrei sostenuto perché non ero per nulla d’accordo.
Cercai di fargli presente che Connors aveva giocato in oltre 20 anni in Davis soltanto nel ’75, nell’81 e nell’84 (con pessimi risultati…perché era un gran individualista e non un uomo squadra come il suo “nemico” McEnroe).
Gli ricordai che l’ATP era nata sulla protesta e il boicottaggio di Wimbledon 1973 da parte di un’ottantina di tennisti per il “caso” di Nikki Pilic che era stata squalificato dalla federazione jugoslava perché aveva scelto di giocare il “mondiale” di doppio a Montreal anziché la Coppa Davis.
Ricordai che non solo ai tennisti USA veniva chiesta all’inizio di ogni anno una disponibilità “contrattualizzata” a giocare la Davis.
Ricordai come l’Argentina non fu quasi mai in grado di schierare contemporaneamente le sue due star top-5, Vilas e Clerc perchè un anno non accettava di giocarla l’uno e un altro anno l’altro…e via dicendo….-e del resto ben più recentemente, nel 2014, Juan Martin del Potro scatenò una guerra contro la federazione argentina e il proprio capitano di Coppa Davis Martin Jaite dicendo che non avrebbe difeso i colori albiceleste “Ho deciso che non giocherò la Coppa Davis quest’anno”
Fatto sta che Bolelli rimase talmente sconvolto da tutte le sanzioni e le polemiche che seguirono al suo presunto “oltraggio alla bandiera” che la sua tournee asiatica si risolse in un disastro. Perse al secondo turno a Bangkok e al primo (da Suzuki n.593 ATP) a Tokyo.
Ma la FIT proseguì sulla sua strada. Due anni dopo Andreas Seppi fu costretto a fare il giro del mondo per presentarsi a capo chino a Castellaneta Marina (non la località più semplice da raggiungere) alla vigilia di Italia-Bielorussia che schierava il solo (e già vecchio) Mirnyi. Un’inutile costrizione alle forche caudine.
Lì i rapporti fra chi scrive e Binaghi si incrinarono pesantemente. Successivamente le mie forti critiche alle modifiche statutarie che lui apportò nell’autunno 2009 e che gli hanno astutamente consentito di non avere più candidature alternative alla sua presidenza FIT per quasi tutte le elezioni successive dal 2008 in poi, dettero il colpo di grazia ai nostri rapporti.
Per me Binaghi era il miglior dirigente possibile per quegli anni, e magari anche per quelli successivi, ma non trovavo giustificabile che un dirigente, per quanto bravo, potesse brevettare statutariamente un sistema per diventare “imperatore” a vita. E lo scrissi chiaramente inimicandomelo per sempre. (n.b. per sempre perchè quello è il suo carattere). Scrissi che aveva trovato modo di restare presidente fino al 2016. Mi ero sbagliato per difetto. Ciò detto, però, pur restando io critico su diverse metodologie comportamentali, non ho alcuna difficoltà a riconoscergli diversi meriti gestionali che in questa sede non è il caso di approfondire.
Riguardo alla Davis e alla Fed Cup, però ed infatti, l’atteggiamento federale è poi mutato nel tempo. E nella stessa direzione che avevo indicato. Francesca Schiavone chiese di “saltare” una convocazione di FED CUP in cui avrebbe dovuto far da riserva alle più giovani Pennetta, Errani e Vinci. Le fu concesso “per meriti sportivi acquisiti”. Fabio Fognini giocò un torneo a Belgrado nella stessa settimana in cui disse di non sentirsi in grado di giocare la Davis (dopo una pesante sconfitta a Roma 2010, 6-0,6-3 con Seppi). Nove anni dopo Fognini non rimase in Australia per andare con il resto del team in India per la Davis 2019, ma – sconfitto per la sesta volta di fila dalla sua bestia nera Carreno Busta (6-2,6-4,2-6,6-2) – chiese e ottenne di poter tornare in Italia.
Capisco bene quindi che oggi Binaghi, e lo stesso Volandri, non si sentano di mettere in discussione le scelte professionali del nostro miglior giocatore, di colui che più di ogni altro potrebbe rappresentare il nostro tennis ai massimi livelli per i prossimi 10 anni.
Non mi sarei messo contro Volandri, Bolelli, Seppi, Fognini, Schiavone, professionisti liberi di fare le proprie scelte, anche perché sono loro stessi i soli a conoscere davvero le proprie situazioni fisiche e i propri calendari spesso collegati a tante variabili, superfici, continenti, classifiche, periodi stagionali….
Quindi trovo abbastanza normale che Binaghi abbia detto stavolta di “condividere” le scelte di Sinner e del suo team, “tenendo conto degli altri obiettivi di carriera di un tennista che è n.4 nella Race e che mira a vincere uno Slam”.
E Sinner conosce il suo corpo (ad oggi un corpo…non straordinario se paragonato a quello di un Djokovic, ma anche di un Alcaraz, di uno Tsitsipas i suoi primi e più forti rivali) meglio di chiunque altro.
Sinner ha spesso sofferto di problemi fisici, perfino nel suo ultimo match con Evans, ma anche di stress psicofisici, all’indomani di una sconfitta pesante o perfino di una vittoria importante.
“Confesso che sono rimasto un po’ disorientato per la sconfitta patita da Sinner con Mikael Ymer. E’ chiaro che Jannik non aveva recuperato appieno dal trauma della partita (persa nei quarti all’US Open 2022) con il matchpoint con Alcaraz (poi vittorioso nel suo primo Slam)”. Eppure era trascorsa una decina di giorni. Più o meno gli stessi giorni che sarebbero intercorsi fra la maratona di 4 ore e 40 persa quest’anno a New York con Zverev e l’incontro che avrebbe potuto giocare a Bologna contro il Canada.
Quella negativa esperienza “Ymer-after Alcaraz” ha probabilmente portato consiglio al team Sinner.
Quando Jannik ha vinto il suo primo Masters 1000 quest’estate in Canada, poi ha giocato subito dopo Cincinnati e ha perso al suo primo ostacolo con Lajovic.
Simile storia era accaduta quando in Australia Jannik vinse un ATP 250 a Melbourne ma poi pochi giorni dopo perse al primo turno con Shapovalov all’Australian Open.
Insomma è legittimo, alla fine, che Jannik prenda le sue precauzioni. Anche se sembrano egoistiche, individualiste come lo sport che pratica da campione – un top 4 dell’anno lo è – poco simpatiche, apparentemente poco permeate di spirito di squadra.
Berrettini, infortunato, si è fatto vedere a bordocampo a Bologna, a sostenere la squadra. E tutti lo hanno apprezzato. Ma Matteo non doveva prepararsi per giocare i tornei cinesi che invece Jannik sta disputando.
Quindi chi ha sottolineato i diversi comportamenti di Jannik e Matteo avrebbe dovuto rendersi conto anche delle loro diverse situazioni. Che in buona parte sono state riprese e argomentate nei due articoli che sono usciti su Ubitennis, scritti da Michelangelo Sottili (“per me Sinner è colpevole”) e Federico Bertelli (“per me Sinner è innocente“), per fotografare la realtà, una situazione di un “caso” su cui sono “saltati sopra” Gazzetta dello Sport in primis, ma anche tanti campioni di altre epoche (Pietrangeli, Panatta), di altre Davis, di altri sport ben diversi da quello che è oggi il tennis professionistico.
Ecco perchè ho trovato pretestuose le pesanti critiche che sono state scagliate come frecce avvelenate sul corpo di Jannik Sinner, un patrimonio tennistico da proteggere. Ecco perchè non vedo perchè Volandri dovrebbe rinunciare tafazzianamente a convocare il nostro tennista più forte a Malaga quando avremmo le possibilità per rivincere finalmente quella Coppa Davis che ci è sempre sfuggita dal 1976 a oggi, anche se questa Coppa Davis non è davvero quella che era una volta. Ma tutto cambia e magari – spero -cambierà ancora. E se si dovesse vincere la Coppa Davis quest’anno, come io credo sia possibile, tutte le polemiche suscitate dalla Gazzetta e da altri verranno offuscate e dimenticate.