L'esempio di Tom Gorman che forse (anzi, di sicuro) Tsitsipas non conosce

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L’esempio di Tom Gorman che forse (anzi, di sicuro) Tsitsipas non conosce

Nel Masters del 1972, l’americano Gorman si ritirò a un punto dalla vittoria contro Stan Smith perché sicuro di non poter giocare la finale il giorno successivo a causa di un infortunio alla schiena tutelando così il pubblico. Un caso più unico che raro?

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Stan Smith e Tom Gorman - Masters 1972 Barcellona (foto Twitter @@DeportesLN)
 

Ubaldo ritorna sull’epica impresa di Sinner contro Djokovic e le straordinarie emozioni vissute al Pala Alpitour nell’indimenticabile serata di martedì 14 novembre. E presenta, come ogni mattina, con la collaborazione di Alpitour, il prorgramma di giornata con l’inedito duello tra Alcaraz e Rublev e l’infinita sfida tra Medvedev e Zverev, che però curiosamente…

Al banco degli imputati di un fantomatico tribunale supremo del tennis (non quelli veri, ultimamente già abbastanza affollati per le vicende di doping e match-fixing) da ieri pomeriggio siede Stefanos Tsitsipas. Fino a un paio di mesi fa, il suo posto era occupato, per motivazioni completamente diverse, da Jannik Sinner – diventato un vero e proprio “caso nazionale” secondo alcuni. Se per pura combinazione Stef dovesse sentirsi particolarmente abbattuto per le critiche che ha ricevuto e che probabilmente continuerà a ricevere ancora per qualche manciata di ore (in realtà non è difficile immaginarsi uno Tsitsipas che, da buon greco e oltretutto ateniese, pratica l’atarassia mentre si reca in vacanza in compagnia di Paula Badosa), potrebbe quindi consolarsi pensando che finire sotto accusa tutto sommato porta bene, visti i risultati ottenuti da Jannik dopo le polemiche della Davis.

Scherzi a parte, se c’è una colpa che non può essere imputata al buon (?) Stefanos, reo di aver fatto sostanzialmente sprecare cifre non inferiori ai 50 euro cadauno agli spettatori del Pala Alpitour di Torino, è quella di non conoscere uno storico episodio di rara sportività che avrebbe potuto essergli di ispirazione salvando così il pomeriggio degli appassionati paganti (se si fosse ritirato prima del match, lo avrebbe infatti sostituito Hurkacz). Certo, non si tratta di una vicenda totalmente sconosciuta al pari di quella che ha visto protagonista chi scrive questo pezzo, a cui, nel lontano 2017, fu consegnata una targa “fair play” in un torneo di provincia per aver disputato (e poi puntualmente perso) un incontro di quarti di finale che il giudice arbitro gli aveva già assegnato a tavolino in seguito al ritardo dell’avversario. Della storia che qui si ripercorrerà, invece, si trovano diverse tracce online e non saranno pochi gli “storici” del tennis che ne hanno conservato un ricordo o che l’hanno scoperta più o meno per caso. Anche chi la conosce, comunque, converrà che – purtroppo – non si tratta di un episodio così conosciuto e che quindi Tsitsi non merita questa aggravante.

Tra i motivi per cui il ricordo non può essere così diffuso e vivido c’è il fatto che questa storia risale al 1972. Sono passati ben 51 anni e, oltretutto, era quello un periodo di transizione per il nostro sport da poco entrato nell’Era Open: Rod Laver e gli altri australiani iniziavano ormai a sentire il peso dell’età e mancava ancora qualche anno all’arrivo di Borg, McEnroe & Co.. Non si può dire che mancassero grandi campioni (Ashe, Smith e Nastase tra gli altri), ma nemmeno che quella possa rientrare tra le epoche più memorabili. Forse svantaggiato dal contesto storico, quindi, ma meritevole di essere raccontato è quanto fece l’americano Tom Gorman nel Masters di fine anno in quella stagione.

Era solamente la terza edizione del torneo e, dopo aver fatto tappa a Tokyo e Parigi, il Commercial Union Masters (questo il suo nome ai tempi) si spostava a Barcellona, dove non erano propriamente preparatissimi ad ospitare l’evento. Il tappeto in sintetico arrivò da Parigi solo tre giorni prima del match inaugurale; il Real Club di Barcellona, dove oggi si gioca l’ATP 500, prestò al Palau Blaugrana parte del suo impianto di illuminazione e, per rispettare gli accordi contrattuali che prevedevano la trasmissione televisiva a colori dell’evento, fu necessario il supporto degli operatori della BBC che nei loro camion trovarono posto anche per il seggiolone dell’arbitro targato Wimbledon.

A superare i gironi qualificandosi alle due semifinali furono Ilie Nastase, Tom Gorman, Stan Smith e Jimmy Connors. Quest’ultimo non ebbe scampo contro Nastase che gli rifilò un severo 6-2 6-3 6-2 guadagnandosi la finale. Nonostante la rapidità della prima semifinale, l’incontro tra Gorman e Smith iniziò solamente a mezzanotte (era il primo dicembre) perché il programma di giornata era cominciato alle 22 (forse solo gli organizzatori di Bercy avrebbero potuto fare di peggio): guai infatti a sovrapporsi alla siesta pomeridiana o all’orario di cena.

Gorman – 7 titoli in carriera – aveva vinto solo una volta su dieci precedenti contro il connazionale e grande amico Smith, con cui aveva da poco conquistato la Davis nonostante il clima a dir poco ostile di Bucarest. Lì, nel secondo singolare della prima giornata, Ion Tiriac, opposto proprio a Gorman, si rese protagonista di una serie di atteggiamenti antisportivi rimasti impuniti (il giudice di sedia, del resto, rivelò di aver ricevuto anche minacce di morte) che gli permisero di ribaltare una partita che era stata senza storia per due set e mezzo. Sei settimane dopo, l’americano si comportò in una maniera che non sarebbe potuta essere più diversa da quella seguita da Tiriac.

Giocando una delle migliori tre partite della sua vita (“paragonabile ai successi su Borg a Stoccolma e su Laver a Wimbledon”, ha detto lo stesso Gorman), Tom si portò avanti 2 set a 1 nella semifinale contro Smith. E qui lasciamo spazio ai suoi ricordi: “All’inizio del quarto set ero pieno di energia e fiducia, ma nel quinto gioco ho fatto un movimento maldestro su un colpo abbastanza semplice e ho sentito un dolore acuto alla schiena. Ho riconosciuto immediatamente una sensazione che avevo già provato alcune volte. La cosa strana è che a volte era forte e altre volte passava dopo un po’ da solo. Ma dopo un paio di punti ho capito che si trattava della prima opzione. Per esperienza precedente, sapevo che se avessi battuto Stan, sarebbe stato impossibile giocare la finale il giorno dopo. Nei game di servizio successivi mi limitai a servire e a stare indietro, mentre di solito attaccavo. Ho pensato ‘Ok, Stan vincerà facilmente il quarto set e poi mi ritirerò’”.

Invece, Smith continuò a giocare abbastanza male, anzi peggio, come spesso accade quando ci si accorge che dall’altra parte della rete c’è un avversario condizionato da un qualche problema fisico. Così Gorman riuscì a tenere i suoi turni di servizio e a costringere Stan a servire per prolungare l’incontro. E in qualche modo Tom salì anche a match point. Come? I ricordi del giocatore americano sono sbiaditi e tra le poche immagini televisive conservate non ce n’è alcuna di quello che rimase l’ultimo punto dell’incontro. Secondo il New York Times del giorno successivo, comunque, Gorman si procurò la palla del match “con un brillante rovescio che ha attraversato il campo e ha toccato la linea di fondo di Smith”. E poi? Niente, la partita finì lì: Tom proseguì verso l’arbitro e gli comunicò il ritiro. “I can’t go on. My back is killing me.

Erano quasi le 3 di notte, il palazzetto era ancora pieno. Smith era confuso prima che l’amico gli spiegasse la situazione. Anche il pubblico era perplesso e rumoreggiò all’indirizzo di Gorman, che probabilmente in quel momento fu disprezzato dagli spettatori al pari di Tsitsipas ieri. Eppure Tom aveva fatto esattamente quello che, mutatis mutandis, avrebbe dovuto fare Stef secondo molti (forse tutti). L’americano decise infatti di agire in quel modo per non privare il pubblico della finale del giorno successivo: sapeva infatti che non sarebbe mai potuto scendere in campo il giorno dopo, consegnando la vittoria a Nastase.

Avrei fatto lo stesso con qualsiasi avversario. Bisogna avere il giusto senso di responsabilità per il torneo, gli sponsor e lo sport in generale” – ha spiegato Gorman, il cui gesto fu tributato con un premio sportività da 2mila dollari. Nastase vinse ugualmente il torneo (Tom provò ad aiutare ulteriormente l’amico Smith svegliando il rumeno al ritorno in albergo a notte fonda) ma al termine di cinque set che imposero al pubblico spagnolo di rivalutare il gesto di Gorman.

Non seguì l’esempio del giocatore americano nemmeno uno che ha sempre fatto della sportività uno dei suoi valori fondamentali: Roger Federer. Nel 2014 lo svizzero riuscì a battere Wawrinka in semifinale nonostante il mal di schiena avesse iniziato a farsi sentire, ma non fu in grado di tornare in campo per la finale con Djokovic con grande delusione degli spettatori della O2 Arena di Londra. Qualcosa di simile è successo ancora più di recente con protagonista Nadal che lo scorso anno, nei quarti di finale a Wimbledon, sconfisse Fritz pur avendo un’evidente menomazione agli addominali e poi, però, si ritirò prima della semifinale con Kyrgios.

A differenza di Federer e Nadal, Tsitsipas aveva la possibilità di ragionare a mente fredda sulle sue reali condizioni senza farsi trascinare dall’adrenalina del momento, come verosimilmente è successo a Roger e a Rafa (e non, invece, a Gorman nel ‘72). L’adrenalina forse però non è l’unica spiegazione: altrimenti, infatti, bisognerebbe etichettare le parole del greco come totalmente di circostanza e, di conseguenza, tacciarlo di malafede, accusandolo di non essersi ritirato prima del match contro Rune solo per incassare un assegno più sostanzioso (dubitiamo che 83mila dollari cambino la vita del greco). In maniera egoistica, oltre che irrazionale e incosciente ma comunque umana, Stef conservava probabilmente una minima speranza di poter essere in grado di giocarsela contro il danese, proprio come Federer nel 2014 e Nadal l’anno scorso magari speravano in un miracolo che gli avrebbe permesso di giocare la partita successiva.

Insomma, Tsitsipas ha indubbiamente sbagliato, ancora di più di Rafa e Roger che si sono infortunati a partita in corso, ma errare è umano e forse la vera eccezione è rappresentata dalla storia di Tom Gorman. Se poi qualcuno volesse iniziare a seguirne l’esempio e a farla diventare una regola, sappia che saremo pronti ad applaudirlo.

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