Grand Slam, quinta e ultima parte: ATP Finals
Il racconto più intrigante della off season, purtroppo, si conclude. Con una tappa italiana in cui vengono svelati molti misteri
Il racconto più intrigante della off season, purtroppo, si conclude. Con una tappa italiana in cui vengono svelati molti misteri
Grand Slam, le prime tre puntate: Australian Open, Roland Garros,Wimbledon, US Open
Mole Antonelliana, Torino, Italia – Venerdì 11 novembre ore 11:30
Risatine, applausi alla guida. Qualche turista americano e tedesco si avvicinò al giovane locale, dall’inglese impeccabile, per lasciare un po’ di mancia. Lo fece anche Michael Madison, capo progetto della Smash. Lì ufficialmente come rappresentante d’azienda in occasione del Master di fine anno. Ufficiosamente per qualcos’altro.
Il torneo dei Maestri, con i migliori otto tennisti del mondo a contendersi uno dei titoli più ambiti di questo sport, si riproponeva in una location tutta nuova, o quasi. Per il secondo anno il torneo si svolgeva al Palasport Olimpico, uno dei gioielli dell’architettura moderna della città.
L’ascensore comandato da Piero cominciò a salire nel bel mezzo dell’enorme cavità dall’interno della mole. Le pareti in vetro non lasciavano nulla all’immaginazione e un paio di ragazzi si fecero prendere dal panico a causa delle vertigini. Una scena che Piero ignorò, in quanto pane quotidiano per lui. Dopo una quarantina di secondi l’ascensore raggiunse la cima della cupola e si infilò, per gli ultimi metri, all’interno della guglia più famosa della città. Uno schiocco all’interno delle orecchie avvisò i ragazzi viaggianti ad occhi chiusi che qualcosa attorno a loro era cambiato. Aprirono gli occhi proprio mentre l’ascensore rallentava depositando dolcemente il suo carico sulla piattaforma di osservazione: uno stretto corridoio che girava tutt’intorno alla cupola regalando una vista a 360 gradi di Torino.
Una città fiera, una ex capitale, dal design urbanistico atipico per l’Europa, con strade che si incrociano, con rare eccezioni, a perfetti angoli di novanta gradi. Ordinata e poco appariscente come i suoi abitanti. Le Alpi nel sottofondo vegliavano come ogni giorno sulla città. Era davvero un bel luogo, pensò Mister Madison. Il posto giusto per terminare ufficialmente il progetto di sperimentazione nanotecnologica della Smash.
Da lì si vedeva anche l’Università Degli Studi di Torino, proprio sotto la Mole. Michael Madison doveva sbrigarsi; in mezz’ora proprio lì avrebbe incontrato il Professor Pyke e la sua collega norvegese. E tutti insieme avrebbero ricevuto Sandor Kiraly.
Palasport Olimpico, Torino, Italia – Domenica 13 novembre ore 15:11
Il primo punto della 53esima edizione del Master di fine anno era stato appena giocato. Un’inusuale stecca di Erwin Siles. Il pubblico riempiva in ogni ordine di posto i 15mila seggiolini del palazzetto di Isozaki, attirato dall’importanza dell’evento e da tutto il dramma e il gossip attorno ad esso. Soprattutto attorno alla figura del numero uno del mondo. Un carneade, giunto da una nazione senza alcuna tradizione tennistica, che dal nulla vince 3 Slam di fila, conquista la prima posizione del ranking e, durante un discorso di premiazione a New York, annuncia a sorpresa il ritiro. Salvo poi ripensarci dopo un paio di mesi e presentarsi all’ultimo torneo dell’anno senza partite nelle gambe.
Siles era convinto di ciò che disse quella sera a New York. Lo ribadì in conferenza stampa e in qualche successiva intervista. Per una settimana fece il tour di tutti i media possibili, cominciando ovviamente dal Tonight Show alla corte di Jimmy Fallon, senza mai scendere troppo nei dettagli del perché di questa decisione. Dopodichè era sparito.
Tornato in Bolivia per un po’ di tempo, forse per qualche progetto umanitario a favore dei suoi connazionali, era stato accolto come un eroe. A fine ottobre era tornato in Europa ed era stato visto a Londra, alla sede della Smash, probabilmente a discutere le varie clausole del contratto che lo legava alla giovane casa inglese. Pochi giorni dopo, a sorpresa, l’annuncio: Siles ci sarà alle Finals. Per l’obbligo morale di giocare in quanto numero uno del mondo, disse. Un torneo solo e poi, a seconda del risultato, avrebbe deciso cosa fare la stagione successiva. Era un concetto che aveva stupito molti: qual era il risultato che Siles voleva? Aveva già vinto durante l’anno ogni singolo match che contasse da Aprile in poi. Trentatrè vittorie e una sconfitta di scarsa importanza da Roma a New York. Forse a Torino voleva vincerle tutte 6-0 6-0, pensavano alcuni.
In ogni caso non pareva quella la storia odierna. I colpi del boliviano filavano di meno. Le gambe giravano al rallentatore. Probabilmente la mancanza di allenamento si faceva sentire anche per un cyborg come lui. Un’ora e ventisette minuti dopo l’esibizione era conclusa. Sul tabellone il punteggio finale recitava 6-3 6-3 a favore di Roy Bartlett. Molti erano stupiti. Alcuni delusi di aver assistito ad un match mediocre, vinto dal meno peggio. Solo due persone in tutto il palazzetto erano incredibilmente felici. Uno poteva mostrarlo a tutto il mondo: Roy Bartlett. L’altro doveva nasconderlo il meglio possibile, ed era la persona che giunta a rete gli strinse la mano: il numero uno del mondo Erwin Siles, che aveva appena giocato la sua peggior partita degli ultimi otto mesi. E non poteva esserci per lui notizia migliore.
Via Roma, Torino, Italia – Venerdì 11 novembre ore 12:10
I due giovani vagavano per la via dello shopping torinese. Dall’albergo avevano percordo via Vittorio Emanuele e quindi imboccato via Roma in direzione di Piazza Castello.
Grandi firme della moda, negozi di elettronica, ristoranti di lusso e le prime luminarie natalizie componevano la scenografia di via Roma. Un giro per un po’ di shopping era necessario prima di andare definitivamente in vacanza. Nel mezzo dell’area pedonale un appassionato di tennis riconobbe il più celebre dei due.
Il fan tirò fuori dalla tasca il telefono, si tolse velocemente i guanti e fece partire la camera. Un capannello di curiosi si era formato tenendosi a leggera distanza e chiedendosi chi fosse quel vip.
Si schernì Claude. I due congedarono l’ammiratore e proseguirono la camminata.
Smash Headquarter, Londra, Lunedì 24 ottobre
Fin dalle prime battute l’incontro non pareva dei più amichevoli. Entrambe le parti in causa si sentivano tradite dall’altra. Uno, per essere stato dissuaso, spinto a fare qualcosa che per etica non avrebbe mai voluto, attirato dallo specchietto del denaro e della gloria. Ed in più, inconsapevole dei danni che il suo fisico avrebbe prima o poi riportato.
Siles sapeva che anche Kiraly aveva seguito il metodo Smash. E sapeva cosa gli successe a Melbourne. Ciononostante solo dopo il colloquio con il tennista ungherese a New York aveva davvero compreso il pericolo per la sua salute. In quei giorni di torneo successivi aveva maturato la sua decisione. Interrompere la cura nanotecnologica e continuare a giocare non era un’opzione: i risultati sarebbero tornati quelli di un numero 100 del mondo, con ovvia perdita di popolarità e aumento del sospetto generale sulla sua storia. No, Erwin era al massimo della popolarità e della fama: ritirarsi ora gli avrebbe permesso di spendersi bene come personaggio pubblico. Era più che convinto di aver preso la decisione giusta. Quanto alla Smash, voleva chiudere ogni tipo di rapporto il prima possibile, pagando quello che ci fosse stato da pagare. Mai più la sua faccia su un cartellone di fianco al loro logo. Mai più comparsate, mai più peana per la sua casa fornitrice.
Dall’altra c’era un’altra persona a sentirsi tradita. Mister Madison non aveva preso molto bene la decisione di Siles. Non per la scelta in sé, ma per non essersi consultato con loro. Un gravissimo affronto nel mondo del marketing, un testimonial che si ritira senza darne comunicazione. Nel nuovo contratto, firmato dopo la vittoria di Parigi, figuravano salate penali per tutti i casi di decisioni estreme prese senza il beneplacito della Smash.
Ma, alla fin fine, Mister Madison era disposto a passarci sopra, se Siles fosse tornato a giocare. E sapeva bene che, dopo quello che stava per dirgli, lo avrebbe fatto.
Il signor Madison abbandonò la sala dove fino a quel giorno aveva sempre ricevuto i suoi pupilli tennisti, percorse un corridoio ricambiando i saluti riverenti di segretarie e altri accoliti, seguito da Erwin. Una strisciata di badge gli aprì una porta dietro alla quale si celava una piccola saletta, molto più intima. Ad attendere all’interno altre due persone.
Il signor Pyke pareva, almeno all’aspetto, un vero professore di Cambridge. Non uno scienziato pazzo come Siles poteva immaginarsi chiunque fosse coinvolto in questa storia. Una strana aura di normalità era improvvisamente calata sulla Smash, e persino Mister Madison sembrava avere un’attitudine molto più serena e genuina, ora che la sua parte era conclusa.
Fece Madison incanalando la testa fra le spalle, un atteggiamento che l’uomo conosciuto da Siles fino a due minuti prima non avrebbe mai e poi mai effettuato. I quattro si sedettero e Bjoentegaard prese la parola.
Il tennista era molto disorientato. Era una presa in giro? Un maldestro tentativo della smash di porre una toppa sul danno fatto?
Erwin Siles credeva poco che tutto quello che aveva prodotto sul campo da tennis negli ultimi mesi potesse essere un semplice inganno della mente
Il racconto continua a pagina 2