Due italiani al terzo turno all’US Open li avevamo avuti anche un anno fa: Matteo Berrettini (vittorioso su Gasquet in 4 set e su Thompson ancora in 4 set) e Paolo Lorenzi (Svajda in 5 e 4h e 20m, Kecmanovic ancora in 5 e in 3h e 52 m). Al terzo turno Matteo aveva poi battuto Popyrin, mentre Lorenzi si era difeso alla grande con Wawrinka soccombendo in tre set di misura 6-4 7-6 7-6 che avevano suscitato l’ammirazione generale. Nel 2018 nessuno al terzo turno, mentre nel 2017 ce l’avevano fatta Lorenzi (Sousa e Muller) e Fabbiano (Smith e Thompson… che gioca sempre contro i nostri!) e i due si erano incontrati nel derby vinto da Lorenzi, poi battuto negli ottavi da Anderson. Nel 2016 Lorenzi (Berlocq e Simon 76 al quinto) fu il solo azzurro al terzo turno. Nel memorabile 2015 di Pennetta e Vinci, al terzo turno erano arrivati Seppi (Paul e Gabashvili) e Fognini (Johnson e Cuevas) con Fabio che, strepitoso, poi rimontò clamorosamente Rafa Nadal che avanti due set a zero in uno Slam non aveva mai perso. Fognini si arrese malamente a Feliciano Lopez nel turno successivo, in ottavi.
Lo scorso anno Berrettini, dopo la bella stagione sull’erba e gli ottavi a Wimbledon, non aveva vissuto una grande estate, aveva anzi incontrato dei problemini fisici che avevano ostacolato i suoi allenamenti e tutto sommato quelle prime due vittorie a New York in quattro set non potevano affatto considerarsi scontate. Il Berrettini di quest’anno, nonostante questi questi mesi di lockdown abbiano impedito una seria valutazione del suo stato di forma – un conto è vincere l’Ultimate Tennis Showdown di incontri che durano 50 minuti e un altro vincere partite tre set su cinque – sembra proprio un Berrettini assai più autorevole.
Sebbene, a ben vedere, Matteo abbia giocato un solo torneo, l’Australian Open prima di raggiungere gli Stati Uniti per il Masters 1000 di Cincinnati giocato a New York. Quindi, rispetto allo scorso anno, non è che ci siano state ripetute prove di efficienza. C’è soprattutto quel suo ranking, n.8 del mondo, che un anno fa non poteva vantare e che Matteo onorò anche dopo l’US Open con prove all’altezza. Ok, qui a New York ha battuto il giovanissimo finlandese Ruusuvuori, poi si è imbattuto nell’Opelka più in forma che io abbia mai visto (subito prima di infortunarsi!) e adesso nell’US Open ha dato tre set a zero sia a Soeda, rischiando un tantino solo nel primo set, sia a Humbert, cui non ha concesso che una pallabreak… annullata da uno dei suoi 17 ace.
Il norvegese Ruud, che già lo ha battuto al Roland Garros un anno fa, quando molti consideravano favorito Matteo, sarà un ostacolo più serio dei primi due. Anche se aveva perso i primi due set con Mackenzie McDonald (mac… che dispetto gli hanno fatto i genitori a mettergli un Mac anche nel nome di battesimo, così ora lo chiamano tutti Mac-Mac) Ruud ne è venuto fuori al quinto e poi ha superato con un punteggio… discendente (lo diceva sempre Rino Tommasi) Ruusuvuori (6-4 6-3 6-2), in modo più netto di come fosse riuscito a Matteo una decina di giorni fa. Vero che nel tennis la proprietà transitiva non esiste, ma Matteo farà bene a stare attento. La sconfitta di Parigi gli brucia ancora.
E tuttavia il modo in cui Matteo sta servendo, fisso sopra i 220 km orari, con punte vicine ai 230, e soprattutto la variazione degli angoli che riesce a mascherare così bene, insieme alla velocità di questi nuovi campi in laykold, hanno ingenerato in quasi tutti – e forse lui per primo – la convinzione che Matteo possa ripetere l’exploit del 2019. Fino a un anno fa si sarebbe detto che la terra battuta era ancora la superficie più adatta alle sue caratteristiche. Adesso anche il suo coach Vincenzo Santopadre che ho intervistato ieri sera dopo il match mi ha detto: “Sono convinto che ormai se Matteo dovesse scegliere dove giocare il match della vita… lo giocherebbe sul cemento”.
La stessa cosa non credo si possa dire per Ruud, forse. Il norvegese figlio d’arte è tennista completo, ottimo in entrambi i fondamentali, ma non ha certo il bazooka di Matteo quando batte. Strappargli una volta a set il servizio non dovrebbe essere impossibile. E se Matteo serve come serve – anche se è vero che Humbert alla risposta ieri non è stato irreprensibile – e con la continuità che ha dimostrato di saper tenere, beh il favorito è certo lui. Anche perché come ha detto Humbert: “Matteo ha fatto straordinari progressi in agilità, negli spostamenti, nei recuperi… non mi stupirei facesse quest’anno ancor meglio di un anno fa! Glielo auguro anzi…”.
Certo è che, fatta eccezione per Omar Camporese e solo per la prima palla, un italiano che battesse così bene non lo abbiamo mai avuto. Uno che conquista punti gratis, senza farci troppo soffrire. Che goduria! Un po’ poteva capitare a Panatta, ma Adriano il modo di farti soffrire lo trovava sempre. Favorito Matteo dovrebbe esserlo – ok facciamo gli scongiuri perché tutti ripetono sempre che si deve fare un passo alla volta – anche se dovesse andare avanti per ritrovarsi con il vincente fra Rublev e il nostro ammirevole, anzi ammirevolissimo Salvatore Caruso.
Sono così contento per l’affermazione del ragazzo di Avola, che non potete immaginarvelo. Ha lavorato duro, sempre con grande umiltà, senza mai “tirarsela”, fino a costruirsi un servizio di tutto rispetto da meritare ampiamente questa seconda volta al terzo turno di uno Slam, dopo il Roland Garros di un anno fa. Averlo raggiunto sul cemento, lui che è nato e cresciuto sulla terra rossa, è un grandissimo titolo di merito. Ha dimostrato anche un grande carattere nell’annullare 14 palle break, 7 delle quali nell’ultimo set, a un tennista che – diversamente da lui – invece sul cemento c’è nato e di problemi al servizio non ne ha mai sofferto. Quando gli scambi si prolungavano la maggiore agilità, reattività e mano di Caruso gli hanno quasi sempre garantito il sopravvento.
È certo vero che il ragazzo siciliano che è sempre rimasto fedele al suo primissimo coach Paolo Cannova (cui dedicammo quest’articolo di Alessandro Zijno) – ed è questo un aspetto che depone in genere a favore della serietà di un giocatore, vedi la storia di Seppi, Berrettini, Sonego… mentre coloro che li cambiano ogni piè sospinto spesso sono coloro che attribuiscono ai loro coach le responsabilità dei risultati che non vengono – ha goduto di un tabellone fortunato. Prima Duckworth n.84, poi Escobedo “ripescato” grazie all’esclusione di Paire (e alla rinuncia di Granollers) e soltanto n.185. Però, come quando aveva dominato Gilles Simon a Parigi (6-1 6-2 6-4), Caruso è diventato un ottimo giocatore. Vale più del n.100 in classifica e del suo best ranking (93) e ovviamente salirebbe molto più su se battesse contro pronostico Rublev, testa di serie n.10 e semifinalista qui nel 2018, nei quarti battuto da Berrettini un anno fa, sono certo che lo vedremo salire in classifica anche perdendo. Se non subitissimo fra non molto.
Certo sarebbe stupendo che succedesse nuovamente quanto accadde qui nel 2017, l’anno del derby di terzo turno su citato fra Lorenzi e Fabbiano. E che si affrontassero stavolta per un posto in ottavi Berrettini e Caruso. Lo ritengo improbabile, però perché non sognare che Rublev incappi in una di quelle giornate che ogni tanto gli capitano. Caruso ne saprebbe approfittare. Quest’anno Rublev aveva cominciato alla grande vincendo sia a Doha sia a Adelaide, e all’Australian Open si era fermato solo con Zverev. Ma lo scorso anno – di contro – insieme a qualche eccellente prestazione (soprattutto in Davis…) aveva collezionato due sconfitte con Gojowczyk, una con Polmans, Gabashvili, McDonald, Kukushkin, Hoang, Monteiro, Moraing, Jubb, Querrey… Insomma chi di dovere passi questa lista a Salvatore che magari gli può infondere fiducia. Non si sa mai.
Da italiano sono orgoglioso di questi due ragazzi e dei loro risultati perché sono anche ragazzi benvoluti da tutti, seri, bravi, ambiziosi eppure umili, beneducati. Non ci faranno mai sfigurare, vittoriosi o sconfitti. Gli auguro davvero ogni bene. In attesa che ne spuntino altri, Musetti, Zeppieri e compagnia.
Vi confesso di aver scritto quest’articolo di commento alle 03:30 del mattino senza aspettare di vedere il match che pure mi intrigava fra Murray e Auger-Aliassime né quello fra Azarenka e Sabalenka. Chi ha avuto voglia di vedere quel video in cui racconto cosa significa stare alla mia non più verde età giorno dopo giorno svegli fino all’alba controllando quattro dispositivi (tv, tablet, computer e telefonino per seguire più match, più segnalazioni di interviste, più interviste per poi porre domande, scriverne e coordinarsi con i bravissimi amici che collaborano a Ubitennis), potrà farsi un’idea anche attraverso certi siparietti che possono verificarsi dello strano Slam che sto vivendo dopo averne vissuti 160 sul posto, laddove si giocava e senza questi problemi di fuso orario. Mia moglie dice che sono matto. Io dico invece che il tennis… o lo si ama o non lo si segue.
Non ho seguito solo gli italiani ieri. E non solo il tennis maschile che, come mi rimprovera sempre AGF, mi appassiona più di quello femminile di questi tempi. Non mi aspettavo che Raonic perdesse da Pospisil, questo no. Non se l’aspettava neppure Jon Wertheim di Sports Illustrated che lo aveva pronosticato in semifinale dopo averlo visto giocare così bene a Cincinnati. Mi immagino come se la sia goduta il co-presidente e connazionale Pospisil. Si vede che a occuparsi di politica non si perde la concentrazione, a giudicare dal suo primo terzo turno raggiunto qui e dalle 25 vittorie dell’imbattuto Djokovic nel 2020. “Novak si occupa di un miliardo di cose allo stesso tempo e vince ugualmente” ha commentato… non ricordo più chi. E Pospisil se la sarà goduta doppiamente dopo che Raonic prima aveva detto di voler firmare la sua adesione all’Associazione e poi apparentemente ha cambiato idea.
Penso che Bautista Agut, però, metterà tutti i canadesi d’accordo e batterà Pospisil al prossimo turno. Non mi ha troppo sorpreso la sconfitta di Dimitrov con Fucsovics, l’ungherese è un tipo tosto. E ha fisico. Infatti ha vinto 6-1 al quinto rimontando un handicap di due set a uno. Semmai è fra le donne che sta accadendo di tutto, probabilmente perché le gerarchie sono traballanti, quando sei delle prime 10 non si presentano al torneo, quando Pliskova numero 1 perde la terza partita di fila al primo turno, e malamente, quando Muguruza si decide a venire negli USA solo poco prima del torneo e dà via libera a mamma Pironkova che non competeva più da 4 anni.
E così sono saltate via dal tabellone la n.1 Pliskova, la n.9 Konta che era apparsa in grande spolvero nei tornei della vigilia, la n.10 Muguruza che per aver vinto due Slam e aver fatto finale in Australia doveva esser considerata qualcosina in più della favorita n.10 in tempi normali (ma non sono normali… lo sanno tutti), la n.11 Rybakina, la n.12 Vondrousova, la n.13 Riske… insomma 6 delle prime 13! Ma diverse erano favorite di rimpiazzo, l’ho appena detto che sei delle top 10 non c’erano. E prima che scendessero in campo Sabalenka e la campionessa di Cincinnati-New York Azarenka sulla cui sconfitta contro la connazionale bielorussa non avrei scommesso per un complesso di ragioni… ivi compresa la possibilità di un… complesso.
Vabbè scusate, basta così. Sono andato a letto. E per il video di commento finale, su Serena che ha dominato un’avversaria inesistente e su Murray-Aliassime che conoscerò solo quando mi sveglierò (ma mi documenterò a dovere, tranquilli, Eurosport ti fa vedere 15 minuti di highlights, e poi ne scrive il nostro inviato all’Avana Gibertini) abbiate pazienza. Nel primo pomeriggio arriva quasi sempre.