Smith, Clijsters e Goolagong: breve storia di tre madri che nell'Era Open vinsero uno Slam

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Smith, Clijsters e Goolagong: breve storia di tre madri che nell’Era Open vinsero uno Slam

In campo cinematografico le tre madri furono le protagoniste di un trilogia horror di Dario Argento: tre malvagie streghe che infliggevano indicibili tormenti ai malcapitati che le incontravano sulla loro strada

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Kim Clijsters con la figlia dopo la vittoria allo US Open 2009
 

In campo cinematografico le Tre Madri furono le protagoniste di un trilogia horror di Dario Argento: tre malvagie streghe che infliggevano indicibili tormenti ai malcapitati che le incontravano sulla loro strada. In campo tennistico la medesima definizione è stata recentemente riscoperta per definire tre tenniste, madri di altrettanti figli, che hanno inflitto cocenti dolori sportivi alle loro avversarie e sono giunte ai quarti di finale degli US Open, ovvero Serena Williams, Victoria Azarenka e Tsvetana Pironkova. La loro simultanea presenza in un quarto di finale di un Major costituisce un record.

Né Azarenka né Williams sino ad ora sono però riuscite a vincere un Major dopo la maternità, ma la bielorussa potrà provarci in finale contro Naomi Osaka. Pironkova per la verità non ci è riuscita neppure prima, e Serena le ha tolto la chance di vincerlo a New York; dopo è toccato ad Azarenka spegnere i sogni di gloria di Serena, per la quale l’ulteriore successo Slam, oltre che il primo da mamma, costituirebbe l’agognato 24° titolo.

LE MAMME CAMPIONESSE SLAM

Agli albori del tennis femminile l’inglese Dorothea Douglass Chambers invece vi riuscì: Dorothea vinse infatti quattro dei suoi sette titoli a Wimbledon dopo la maternità avvenuta nel 1909. Nell’Era Open altre tre campionesse hanno emulato la giocatrice britannica: Kim Clijsters, Yvonne Goolagong, Margaret Court Smith. Scopriamo qualche cosa di più su di loro partendo dalla più giovane: Kim Clijsters.

 

Potrà sembrare strano a chi da pochi anni segue il tennis femminile, ma la giunonica giocatrice sconfitta al primo turno dello US Open in corso da Alexandrova, è stata una delle più forti giocatrici della sua generazione. Belga, nata nel 1983, Kim è stata numero 1 del mondo in singolare per venti settimane e per quattro in doppio. Complessivamente ha conquistato 52 tornei di cui sei major: quattro in singolare (tre US Open e un Australian Open) e due in doppio, per coincidenza quelli che mancano al suo palmares in singolare. Ha altresì vinto le WTA Finals in tre occasioni.

Kim fu una campionessa precoce: a 15 anni fece il suo debutto tra i professionisti. Non deve quindi sorprendere il fatto che a soli 24 anni e con un major in bacheca, dopo avere subito svariati infortuni a polso e caviglia, Cliijsters decise di ritirarsi. Nel 2007 sposò un cestista professionista – Brian Lynch – e nel 2008 diede alla luce il primo dei suoi tre figli. Nel mese di agosto 2009 tornò nel circuito professionistico e lo fece in maniera trionfale: vittoria allo US Open di quell’anno dove era entrata grazie a una wild card; al momento della premiazione gli organizzatori fecero entrare in campo la primogenita Jada Elly; celebre la semifinale vinta contro Serena Williams che – in occasione del match point – impartì una discutibile lezione di dietetica ad una giudice di linea.

Nel 2010 rivinse gli US Open e mise una sontuosa ciliegina sulla stagione con la vittoria al Masters di fine anno. Il 2011 iniziò per lei con la vittoria agli Australian Open e il ritorno per una settimana al primo posto nel ranking nel mese di febbraio. Il 12 dicembre 2012 ad Anversa di fronte a migliaia di tifosi celebrò quello che sembrava il ritiro definito; tra lo stupore generale a settembre del 2019 annunciò il rientro che poi avvenne a Dubai a inizio del 2020.

Lasciamo il Belgio per trasferirci in Australia perché è giunto il momento di presentare una campionessa la pronuncia del cui nome suona come una melodia: Evonne Goolagong. Di lei Billie Jean King disse: “In confronto a me era come una pantera… in campo il suo stile di gioco mi incantava al punto che dovevo ricordarmi di colpire la palla“.

La storia della sua infanzia sembra scritta da Charles Perrault. Ivon (permetteteci di scrivere il nome come si pronuncia) nasce nel 1951 in uno sperduto paese della contea di Cooper prevalentemente popolata da persone emigrate dall’Italia: Barellan (qualcuno ricorda la mitica Bun Bun Ga dove Alberto Sordi porta Claudia Mori nel film “Bello, Onesto, emigrato Australia…”?). 

È la terzogenita di una famiglia di etnia aborigena composta da otto figli, che può permettersi soltanto lo stretto necessario per tirare avanti. Un concittadino la incoraggiò a unirsi ad altri bambini sui campi da tennis pubblici e nel giro di poco tempo le sue eccezionali attitudini per questo sport attirarono l’attenzione di Vic Edwards, proprietario di una scuola di tennis a Sidney, che persuase i genitori di Goolagong a concedergli la tutela legale della bambina; sarà al suo fianco in veste di coach per tutta la sua eccezionale carriera.

Evonne Goolagong (foto via Twitter, @Wimbledon)

Ivon tra il 1971 e il 1980 vinse sette titoli dello Slam in singolare e disputò 18 finali; le sfuggì solo lo US Open nel quale giunse in finale quattro volte. Due di questi successi giunsero dopo la nascita della primogenita avvenuta nel maggio del 1977: AO ’77 e Wimbledon ‘80. Nel corso degli anni ’70 giocò 17 finali Slam, record assoluto sia a livello maschile sia femminile per quel decennio. Fu grande anche nel doppio dove conquistò sei major, uno dei quali – quello del 1977 in Australia – giunto dopo la maternità. Il ranking WTA fu istituito nel novembre del 1975 e Goolagong ne occupò la prima posizione per due settimane nel corso del 1976. Si ritirò nel 1983 e fu inserita nella Hall of Tennis femminile nel 1988.

Dopo oltre vent’anni trascorsi negli Stati Uniti con la propria famiglia, a inizio degli anni ’90 fece ritorno in Australia e nel 2012 creò una fondazione che porta il suo nome con l’obiettivo di dare ai bambini aborigeni la stessa possibilità che fu data a Lei: giocare a tennis.

Lasciamo la scuola di tennis di Vic Edwards a Sidney per trasferirci 500 chilometri più a sud, ad Albury, dove incontriamo l’unica giocatrice che in singolare ha vinto un numero di major superiore a quello di Serena Williams: Margaret Court Smith. Discutibile, discutibilissima per le sue opinioni, Margaret sotto il profilo tennistico mette tutti d’accordo: fu grandissima. Grazie soprattutto ad una superiorità atletica schiacciante nei confronti delle sue avversarie (Gianni Clerici la ritiene la più grande atleta della storia del tennis), Margaret vinse il primo dei suoi 24 titoli Slam in singolare a 18 anni nel 1960 e l’ultimo nel 1973; nel doppio ne vinse 19 in un lasso di tempo più ampio compreso tra il 1961 e il 1975.

A queste vittorie aggiungetene altre 21 ottenute nel doppio misto. Se 23 vittorie complessivamente ottenute in Australia vi sembrano troppe, toglietele pure dal computo: ne restano ancora 41. Tantine. Nel 1963 vinse il primo dei suoi tre titoli a Wimbledon nel singolare e divenne così la prima giocatrice australiana a riuscirci. Nel 1966 si concesse una pausa; nel 1967 sposò Barry Court e nel 1968 riprese l’attività professionistica. Nel 1970 fu la prima donna dell’Era Open a conquistare l’Everest del tennis: il Grande Slam.

Diede alla luce il primo dei suoi quattro figli nel 1972; l’anno successivo fu sconfitta in semifinale a Londra da Chris Evert ma trionfò a Melbourne, Parigi e New York. Non fu mai ufficialmente la giocatrice numero 1 del mondo dall’introduzione del ranking, ma lo fu ufficiosamente per molti anni dai primi anni ’60 sino al 1973. Appese per sempre la racchetta al chiodo nel ’77 e dovette attendere solo due anni per entrare nella Hall of fame.

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Il biglietto più difficile allo US Open? Quello del raccattapalle

La strada per diventare un raccattapalle allo US Open non è per i deboli di cuore

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Raccattapalle con palla - US Open 2019 (foto Twitter @usopen)

Di Talva Minsberg, pubblicato dal NY Times il 2 settembre 2023

Trenta minuti prima dell’apertura dei cancelli dell’Arthur Ashe Stadium alle 16:00 del 22 giugno, un gruppo di persone ha iniziato a far rotolare delicatamente palline da tennis attraverso un parcheggio. Uno dopo l’altro, hanno abbassato un ginocchio fino a sfiorare il suolo, hanno esteso il braccio opposto e hanno lanciato una pallina da tennis a qualcuno a 3 metri di distanza.

Più vicino a una recinzione chiusa con un lucchetto, un gruppo di persone ha iniziato a fare ginnastica ritmica mentre altri spostano nervosamente il loro peso avanti e indietro, stringendo forte i loro fogli con le richieste di partecipazione.

 

Il gruppo di 500 persone – già ridotto da circa 1.200 candidati online – sarebbe stato in lizza per 120 posti di raccattapalle allo US Open. I provini sono durati un’intera settimana e si sono svolti al chiuso a causa della pioggia. Quelli selezionati si sono uniti ai circa 200 raccattapalle che stanno tornando sui campi nel Queens.

“Non credo che la gente capisca, è un lavoro molto ricercato”, dice Tiahnne Noble, il direttore dell’US Open Ball Crew.

Di età compresa tra i 14 e i 70 anni, gli aspiranti provengono da tutti gli angoli del paese. I candidati arrivano in aereo dalla California, in macchina dall’Indiana, prendono la metropolitana dal Bronx e il treno dal Connecticut. Alcuni sono appassionati di tennis, altri giocavano in passato e altri sono qui perché incuriositi dal vedere i raccattapalle in TV. Riusciranno ad essere selezionati? (Spoiler: per lo più no).

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Gli adulti sono generalmente molto più ansiosi rispetto ai loro colleghi più giovani. L’esperienza è stata descritta come un “sogno” da molti di età superiore ai 30 anni. Masami Morimoto, 59 anni, ha detto che era determinata a provare prima di compiere 60 anni. “Adoro il tennis”, ha detto la manhattanese, con un passo rimbalzante. “Non sono riuscita a dormire, ero così emozionata.”

I gruppi sono stati guidati attraverso una serie di esercitazioni durante provini di 30 minuti, in cui è stato chiesto loro di far rotolare, recuperare e lanciare rapidamente e silenziosamente le palline. I partecipanti erano molto rigidi e nervosi, comportandosi come se, da un momento all’altro, Novak Djokovic avrebbe guardato uno di loro negli occhi e fatto segno di volere una palla.

I membri del personale di supervisione sono molto in sintonia con il nervosismo. Quando un raccattapalle dimentica le istruzioni, lanciando una palla invece di farla rotolare, si affrettano a confortarlo. “Non preoccuparti!” dicono dolcemente, lanciando una pallina da tennis nella loro direzione.

Noble e il suo staff di raccattapalle veterani hanno detto di essere in grado di individuare un potenziale raccattapalle quasi immediatamente. I raccattapalle, ha detto, devono avere velocità, agilità, riflessi rapidi e capacità di mimetizzarsi con lo sfondo del campo.

Sei raccattapalle lavorano in ogni partita, comunicando in modo chiaro e silenzioso per non distrarre i tennisti o gli spettatori. Devono essere pronti ad adattarsi alle preferenze dei diversi giocatori – alcuni vogliono solo che venga lanciata loro la palla con la mano sinistra, per esempio – e agire come guardiani invisibili del gioco. Mentre i valutatori osservavano le prove di giugno, si potevano vedere molti cenni discreti di approvazione e sono stati presi molti appunti.

Le audizioni non sono per i deboli di cuore. “Sono gli US Open”, dice Aaron Mendelson, 57 anni, con un impassibile riconoscimento della posta in gioco. Arrivato in aereo da San Francisco per l’occasione, ha intenzione di andare direttamente all’aeroporto dopo aver finito.

Mendelson sapeva cosa aspettarsi. Era stato un raccattapalle allo US Open del 1992, lavorando durante la partita tra Jim Courier e Andre Agassi. Ha tirato fuori una clip di YouTube come prova. “Cerca il ragazzo dai capelli rossi”, dice.

I candidati sapranno se saranno selezionati tra una settimana, ma alcuni stanno già abbozzando con cautela piani per cercare alloggio. Sebbene lo US Open sia l’unico Grande Slam a pagare i raccattapalle – 16 dollari l’ora per la maggior parte delle persone – non forniscono alloggi. “Quale quartiere consiglieresti?” mi chiede Avani Kondragunta.

Sua figlia di 21 anni, Alekhya, era stata in precedenza una raccattapalle al Western & Southern Open vicino alla loro casa a Cincinnati. Così i due hanno deciso di fare 10 ore di viaggio per i provini. Mentre le audizioni ad alto rischio volgono al termine, i potenziali raccattapalle escono dal campo sudati e alzando le spalle. Riceveranno presto un’e-mail di accettazione – o un rifiuto.

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“Non è stato troppo difficile”, ha detto Debra Gil, 14 anni, del Bronx mentre usciva dal campo. Era una delle candidate più giovani con esperienza alle spalle. Suo fratello l’anno prima era stato un raccattapalle e lei aveva lavorato al Bronx Open.

Dopo aver finito il suo provino, Mendelson si imbatte in un altro gruppo di californiani che hanno viaggiato lì per cogliere l’occasione. Il duo padre-figlia Kuangkai ed Emily Tai di San Diego hanno provato entrambi. Quando gli domando se, selezionati, sarebbero tornati per tutta la durata degli US Open, Emily Tai, 19 anni, ha risposto con un cauto: “Vedremo!”

Gli occhi di suo padre si spalancano. “Oh, certo che torneremo.” “Se paghi”, rispose Emily.

Di quelli intervistati, solo Emily Tai ha ricevuto il biglietto d’oro: ehm, la e-mail. Si è stupita di esser stata scelta al posto a suo padre. “È molto più in forma di me“, ha detto. Kuangkai Tai intende mantenere la sua parola. Anche se non presterà servizio in campo, ha intenzione di venire a vedere all’opera sua figlia.

Traduzione di Massimo Volpati

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ATP

Guido Pella si arrende: a soli 33 anni appende la racchetta al chiodo

Quartofinalista a Wimbledon 2019 ed ex Top 20, il mancino di Bahia Blanca si ritira dal tennis professionistico: il ginocchio destro privo di cartilagine non era più sostenibile in campo

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Guido Pella - Wimbledon 2019 (foto via Twitter, @Wimbledon)

Ci ha provato, ha tentato di darsi un’ultima possibilità ma la lesione cronica che gli affliggeva il ginocchio destro non era più sostenibile per poter continuare a competere in un mondo Pro: un arto oramai privo di qualsiasi presenza cartilaginosa e che aveva dovuto rieducare totalmente da zero. Ad ottobre 2022 – nel 2023 ha disputato 22 incontri in totale vincendone soltanto 9, nel 2022 uno solamente a livello Challenger a Montevideo perdendo da Cerundolo junior 7-5 6-3, il ruolino invece del 2021 recita 26 partite complessive con 18 successi – parlava così il nostro protagonista: “Non esiste una cura per quello che hoAlla fine dell’anno scorso ho avuto una ricaduta molto forte, un dolore che mi impediva praticamente di camminare sul campo. Ho deciso di prendermi una pausa. Un mese dopo ho scoperto che sarei diventato padre“.

Tutto si è concatenato per permettermi di fare un passo indietro per un po. Ne ho parlato con il mio chinesiologo e gli ho detto che non potevo più giocare perché non riuscivo ad allenarmi bene. Abbiamo avuto due consulti e mi hanno detto che dovevo rieducare il mio ginocchio da zero, dall’alzarmi da una sedia al camminare in modo diverso, solo per far sì che il ginocchio sentisse sollievo dalla lesione“.

La concomitanza con la nascita del primogenito gli ha fatto accettare più gradevolmente la naftalina agonistica e cominciare ad assaporare le piccole – ma grandi – cose della vita quotidiana assieme al calore della famiglia. Ora potrà farlo a tempo pieno.

 

Con un enorme mix di sensazioni ma allo stesso tempo un grande sollievo annuncio che ho deciso di porre fine alla mia carriera di tennista professionista. È stato un viaggio incredibile, con tante cose belle che mi hanno permesso di vivere momenti che non tutti possono vivere e per questo sarò eternamente grato al tennis. Voglio ringraziare la mia famiglia che è sempre stata con me, in particolare in quest’ultimo periodo e specificatamente dal primo momento che hanno saputo che lo US Open sarebbe stato il mio ultimo torneo. Mi hanno affiancato in modo tale che io potessi arrivare nella migliore forma possibile. In secondo luogo, ringrazio il mio team che è stato per me come una seconda famiglia per tutta la mia carriera, in particolare Fabi, Andrés, Titan e Daniel che mi hanno accompagnato dal primo all’ultimo giorno”.

Voglio ringraziare anche i miei amici del circuito (sapete chi sono) e i miei compagni di squadra di Coppa Davis che mi hanno fatto vivere momenti indimenticabili. Spero di aver ricambiato tutto l’amore che mi hanno dato in così tante tie e tornei. Infine grazie a tutte le persone che mi hanno sempre sostenuto in ogni momento e che si sono sempre prese del tempo per lasciarmi un bel messaggio, soprattutto nei momenti più difficili della mia carriera: mi mancheranno e spero di aver restituito loro un po’ da dentro il campo tutto il supporto che mi hanno dato. E come dice la persona che ammiro di più nella mia vita, ‘tutti i nostri sogni possono diventare realtà, se hai il coraggio di perseguirli‘. Penso di essere stato in grado di realizzare praticamente tutto ciò che mi ero prefissato di fare nel tennis, e ora sarà il momento di guardare altrove.

Addio

Attraverso così quest’accorato Post sul proprio profilo Instagram, Guido Pella annuncia il ritiro dal tennis professionistico: l’ultima match disputato, dunque, il primo turno a Flushing Meadows dove è stato sconfitto 7-6(5) 6-4 6-4 dal sudafricano Lloyd Harris. I quarti di finale a Wimbledon 2019 e la vittoriosa campagna nella Coppa Davis 2016 con la maglia albiceleste, le tappe più significative della carriera del mancino di Bahia Blanca.

Veramente incredibile il percorso londinese che lo vide protagonista quattro anni fa, lui un autentico terraiolo che dopo aver superato Copil e Seppi (l’azzurro cadde soltanto 6-1 al quinto e decisivo parziale dopo aver vinto secondo e terzo per 6-4) eliminò uno dietro l’altro – tra sedicesimi e ottavi – il finalista uscente Kevin Anderson e soprattutto il finalista del 2016 Milos Raonic in un match pazzesco da cui uscì vittorioso solamente per 8-6 al quinto; prima di arrendersi all’altra grande sorpresa di quell’edizione di Church Road: lo spagnolo Roberto Bautista Agut.

Grazie a quel meraviglioso cammino sull’erba britannica, si guadagnò anche il Best Ranking: il 19 agosto 2019, infatti, raggiunse la 20esima piazza mondiale a coronamento di un’ottima carriera che in 18 anni di professionismo lo ha visto alzare al cielo un unico trofeo ATP: il ‘250‘ di San Paolo battendo in finale in un derby sudamericano il cileno Cristian Garin con il punteggio di 7-5 6-3.

Fanno invece da contraltare quatto atti conclusivi persi: nel febbraio del 2016, in quello che rimane l’ultimo atto più prestigioso disputato in carriera, venne sconfitto – altro scontro a complete tinte latino americane – dall’uruguagio Pablo Cuevas 6-4 al terzo nell’ATP 500 di Rio De Janeiro. A questo KO ne seguirono altri tre divisi pariteticamente nelle successive tre stagioni in altrettanti eventi duecentocinquanta: maggio del 2017 soccombette a Sascha Zverev a casa del tedesco a Monaco di Baviera, luglio 2018 ad Umago fu Marco Cecchinato a impedirgli di aggiudicarsi il secondo alloro nel circuito principale.

Infine a febbraio 2019, l’ultima finale della carriera – ironia della sorte – giocata in Argentina a Cordoba: purtroppo anche in questa circostanza niente da fare subendo la rimonta del connazionale Juan Ignacio Londero per 3-6 7-5 6-1. Appende inoltre la racchetta al chiodo potendo vantare quattro successi contro Top 10: oltre a quello già citato con lo struzzo sudafricano a Londra, fra l’altro l’ultimo in ordine temporale, ha avuto la meglio anche sull’allora n. 10 Janko Tipsarevic nel 2013 al 3°T di Dusseldorf – torneo che all’epoca aveva valenza di un 250 -, contro Dominic Thiem (al tempo n. 7 del mondo) al 2°T di Chengdu nel 2017 e dulcis in fundo – o meglio antecedentemente allo scalpo su Kevin – ancora Wimbledon teatro del colpaccio e ancora un finalista del torneo in carica a farne le penne. Probabilmente il più splendente capolavoro dell’arte tennistica espressa da Guido, poiché questo vuol dire rimontare due set di svantaggio – 3-6 1-6 – a Marin Cilic che l’anno prima aveva perso soltanto da Federer in finale, ai trentaduesimi dei Championships 2018 imponendogli la battuta d’arresto con la sequenza di 6-4 7-6(3) 7-5.

Dunque, per ciò che abbiamo raccontato una signora carriera per il classe ’90 argentino: che già da junior aveva mostrato il suo potenziale, ottenendo come migliore classifica Under 18 la n. 42 ma soprattutto trionfando nel Bonfiglio 2008 superando nel match per il titolo David Goffin e spingendosi sino alla semifinale del Roland Garros di categoria dove fu estromesso dalla corsa al trofeo dal polacco Jerzy Janowicz.

Tuttavia, aldilà di tutto quello che ha conquistato a livello individuale, la maggiore soddisfazione Pella se l’è certamente tolta facendo parte del quartetto di Moschettieri che agli ordini di Capitan Daniel Orsanic ha sublimato le rispettive curve sportive con il sigillo più importante e pregno di emozioni che esista per un tennista, in special modo tenendo presente che riscrissero letteralmente la storia dopo quattro finali perse ottenendo la prima Coppa Davis dell’Argentina e diventando di conseguenza immortali: l’Insalatiera del 2016, centrata in trasferta a Zagabria in una finale surreale, dove gli argentini si ritrovarono sotto 2-1 al sabato dopo il doppio – eh già, era ancora la vera Davis – prima di mettere in piedi una Remuntada senza senso.

Nel primo singolare della domenica tra i due numeri uno, in un weekend super colorato grazie agli aficionados albicelesti accorsi numerosi in Croazia per poter guardare con i loro occhi la realizzazione della storia e il tutto sotto l’aura dal tifo infernale e sfegatato di un certo Diego Armando Maradona, l’immarcescibile Juan Martin Del Potro quando ormai sembrava sotto un treno ribaltò lo 0-2 nell’incontro (7-6 6-2 per i padroni di casa) per imporsi 7-5 6-4 6-3 negli ultimi tre set su Marin Cilic.

Poi tocco a Delbonis completare l’opera contro Karlovic. Anche Guido però diede il suo contributo, mettendo il suo preziosissimo mattoncino nella corsa alla Davis: Glasgow, casa di Sir Andy e della Gran Bretagna, semifinali al cospetto dei campioni in carica, venerdì. Pella viene schierato come numero uno visto che Del Potro non aveva ancora la classifica per poterlo essere in seguito all’ennesimo rientro dopo stop fisici, perde la prima frazione con il n. 2 inglese Kyle Edmund per 7-6(5) ma alla fine vince la partita: 6-4 6-3 6-2 per concludere sul 2-0 la prima giornata di gare dopo il successo epico di Delpo su Murray per 6-4 5-7 5-7 6-4 6-4.

Fa specie, rievocando quella cavalcata argentina, che tre quarti di quella fantastica squadra si siano ormai ritirati. Fa venire un bel po’ di nostalgia.

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Nel tennis è questione di avere o non avere

I giocatori di livello più alto tendono a ottenere vantaggi, come i campi di pratica migliori. Quelli con una classifica inferiore devono arrangiarsi

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John Millman - Eastburne 2022 (foto: profilo Instagram @johnnyhm)

Di Cindy Shmerler, pubblicato da NY Times il 25 agosto 2023

Eric Butorac ha giocato nel tabellone principale di doppio agli United States Open dal 2007 al 2016. Ricorda vividamente le sue sessioni di riscaldamento sui campi di allenamento che erano più vicini alla stazione della metropolitana che all’Arthur Ashe Stadium nel Queens.

Siamo stati fortunati quando abbiamo potuto allenarci su quei campi per un certo periodo di tempo“, ha detto Butorac, ora direttore delle relazioni con i giocatori presso la United States Tennis Association. “Se volevamo fare una sessione lunga, dovevamo andare completamente fuori sede, a volte fino a Long Island.”

 

Ma Butorac, che ha raggiunto la finale in doppio agli Australian Open 2014, non si è mai sentito offeso.

Vengo da una piccola città del Minnesota ed ero semplicemente felice di essere lì“, ha detto Butorac. “Per me si trattava più di gratitudine che di sentire che agli altri era stato dato di più”.

Esiste da tempo una gerarchia tra i tennisti, una distinzione tra i migliori giocatori di questo sport e tutti gli altri. Se Novak Djokovic, tre volte vincitore degli US Open, vuole allenarsi all’Arthur Ashe per un periodo di tempo prolungato, piuttosto che fuori dai cancelli dell’U.S.T.A. Billie Jean King National Tennis Center, gli viene concesso questo privilegio. Lo stesso vale per i campioni in carica Iga Swiatek e Carlos Alcaraz.

Le teste di serie in genere si allenano e giocano la maggior parte, se non tutte, delle loro partite su uno dei tre campi principali – Ashe, Louis Armstrong o Grandstand – il che offre loro un grande vantaggio. Ashe e Armstrong hanno il tetto retrattile, quindi giocando lì riescono a evitare l’interruzione delle piogge, mentre le teste di serie più basse, giocando altrove, devono adattarsi ai capricci atmosferici. Molti giocatori, di tutti i livelli, si allenano anche sui campi appena fuori Ashe, dove i tifosi possono guardare dalle tribune a bordo campo.

Ma per i giocatori con una classifica bassa, gli specialisti del doppio e i giocatori che sono riusciti a entrare in tabellone passando per le qualificazioni, trovare campi di qualità per prepararsi alle partite può spesso rivelarsi difficile. A volte, i giocatori meno esperti decidono di allenarsi con nomi più grandi solo per poter condividere i campi più ambiti.

Quando giochi gli US Open, è bello allenarsi con Frances lì“, ha scherzato Hubert Hurkacz, 17° giocatore al mondo, riferendosi a Frances Tiafoe, uno dei semifinalisti dello scorso anno.

Molti giocatori concordano sul fatto che nello sport esiste una cultura del “chi ha vs chi non ha”. John Millman, che era al 33° posto nel 2018 ma ora è 326°, ha scritto in un articolo, pubblicato a maggio sul sito australiano news.com.au, che in alcuni tornei ha ricevuto meno palline da tennis con cui allenarsi rispetto ai giocatori di alto livello.

Queste nuove palline vengono inseguite e sequestrate dai team di supporto che hanno ricevuto accrediti extra dal torneo“, ha detto Millman, il quale ha anche scritto che, oltre a poter portare più personale per aiutarli durante gli allenamenti, ai nomi più di primo piano è data la possibilità di prenotare prima i campi su cui allenarsi. Quindi scelgono le fasce orarie più ambite della prima parte della mattina, in modo da poter finire presto.

Alizé Cornet numero 11 nel 2009 ma ora numero 65, si è lamentata a Wimbledon del fatto che quando ha giocato su un campo principale in uno slam rispetto a un campo esterno, le sono stati assegnati molti più biglietti da regalare a parenti e amici.

Sono stata quasi tra i primi 10, sono stata 30 e sono stata 90″, ha detto Cornet, 33 anni. “Mi sono sentita sicuramente trattata diversamente quando ero testa di serie allo Slam, ma è così che funziona la società. Quanto più sei bravo, tanti più vantaggi ottieni

Taylor Fritz, l’americano meglio classificato e n. 9 al mondo, vede differenze maggiori nei piccoli tornei dove è consuetudine che le teste di serie migliori ricevano sistemazioni in hotel di lusso e orari di gioco più favorevoli.

Sì, penso che ci siano lievi vantaggi, ma credo anche che i giocatori che ottengono i vantaggi li abbiano guadagnati“, ha detto Fritz.

Secondo John Tobias, vicepresidente esecutivo di GSE Worldwide, una società di marketing e gestione che rappresenta tennisti di vertice, a molti di loro vengono fornite auto per il loro entourage, mentre altri giocatori e i loro amici, familiari e fan vengono relegati sulle navette dei tornei.

Alcuni giocatori fanno affidamento sull’alloggio fornito negli hotel dei tornei, mentre Tobias è spesso in grado di negoziare accordi per i suoi atleti di punta con hotel di lusso che forniscono suite gratuite in cambio di apparizioni promozionali o menzioni sui social media.

Cameron Norrie, il numero 1 della Gran Bretagna, trova divertente il fatto che meglio gioca, meno deve pagare. Dopo aver raggiunto le semifinali a Wimbledon l’anno scorso, Norrie ha detto che gli è stato offerto un caffè gratis dal suo barista locale e che gli è stato persino perdonato il conto della lavanderia, anche se ha guadagnato più di $ 600.000 solo per quel Wimbledon.

Molti giocatori concordano sul fatto che i vantaggi concessi per le prestazioni sono uno scambio equo. È quando ai giocatori vengono negate le pari opportunità di prepararsi per i tornei che la situazione diventa complicata.

Questo è un argomento che circola da molto tempo“, ha detto Daniel Vallverdu, allenatore di Grigor Dimitrov ed ex rappresentante degli allenatori nel Consiglio dei giocatori dell’ATP. “La mia sensazione è che per arrivare al top devi passare attraverso quello che hanno passato gli altri ragazzi. Tutti hanno la possibilità di percorrere la stessa strada, di cominciare dal basso, di arrivare in cima oppure di non farcela. E quei giocatori di punta stanno facendo molto di più per gli eventi rispetto ai ragazzi di livello inferiore in termini di impegno con i media, impegni di sponsorizzazione e vendita di biglietti, quindi devi incentivarli a venire.

Ma quando si tratta dell’opportunità di prepararsi, come l’accesso alla palestra giusta, facendo abbastanza ore di allenamento, è lì che dovrebbe esserci un trattamento più equo possibile“, ha aggiunto Vallverdu. “Tutto ciò che influenza la preparazione e la prestazione dovrebbe essere molto equo”.

L’USTA sta lavorando per offrire miglioramenti equi a tutti i giocatori agli US Open. Oltre a fornire comfort come stanze di recupero e stanze per il pisolino, rilassanti terapie a luce rossa e giochi di realtà virtuale, quest’anno l’associazione offre nuove iniziative per i giocatori, tra cui una camera d’albergo gratuita aggiuntiva per l’allenatore o un familiare dei giocatori o $ 600 al giorno se i giocatori scelgono di trovare il proprio alloggio. Anche tutti i pasti dei giocatori e degli allenatori in loco sono coperti dall’USTA

L’USTA offre inoltre a tutti i giocatori che gareggiano allo US Open un’indennità di 1.000 dollari per il viaggio aereo e 150 dollari per coprire le spese aeroportuali, oltre a cinque incordature gratuite per ogni giorno in cui un giocatore gioca una partita. C’è anche una nuova app che consente di assicurarsi il trasporto, i campi di allenamento, le indennità per i pasti e i biglietti per le partite. Agli allenatori, a cui ora è consentito dare consigli durante le partite, vengono forniti tablet che tengono traccia delle statistiche delle partite.

Non c’è gerarchia in questa situazione“, ha detto Butorac, che, in qualità di direttore delle relazioni con i giocatori dell’USTA, offre anche una suite a tutti i giocatori dove possono scegliere abiti con il logo Open, cuffie o persino un braccialetto Tiffany.

Questo programma è proprio rivolto ai giocatori classificati dal n.70 all’80“, ha detto. “L’idea è che non dovranno spendere soldi qui e potranno portare a casa tutto il loro premio in denaro.”

Anche il premio in denaro quest’anno è stato aumentato di oltre l’8% rispetto allo scorso anno, con i campioni maschili e femminili che guadagneranno 3 milioni di dollari ciascuno e i perdenti al primo turno del torneo di singolo che hanno portato a casa 81.500 dollari. Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della parità dei premi assegnati assegnata a uomini e donne agli US Open.

Stan Wawrinka, ex campione degli Open di Stati Uniti, Australia e Francia, una volta classificato n.3 al mondo prima che gli infortuni lo facessero scendere oltre il 300° posto, conosce gli imprevisti che sono all’ordine del giorno quando la classifica è più bassa..

Naturalmente, le cose vanno diversamente quando sei in testa alla classifica e quando sei in fondo alla classifica”, ha detto Wawrinka, ora numero 49. “È normale, ed è così. E sarà sempre così.

“Credo sempre che non abbia importanza la mia posizione in classifica“, ha aggiunto Wawrinka. “Non importa su quale campo gioco. Non importa dove devo stare. Sarà sempre speciale essere in uno Slam”.

Traduzione di Massimo Volpati

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