L’ultima semifinale giocata da Rafael Nadal al Master di fine anno è datata 2015. Un lasso temporale enorme, se consideriamo gli usi e costumi del fenomeno di Manacor, da sempre abituato a fermarsi fino al weekend ogni settimana, specie nei tornei che contano per davvero. Cinque anni fa perse nettamente contro Novak Djokovic, in coda alla sua terzultima apparizione alla O2 Arena. Gli ultimi due cameo hanno invece prodotto pochino: un ritiro dopo il match d’esordio ceduto a David Goffin nel 2017 e l’eliminazione ai gironi dello scorso anno, ingoiata nonostante il rimontone leggendario imposto a Daniil Medvedev, curiosamente l’avversario di oggi in semifinale.
Rafa ha staccato il biglietto per la Final Four grazie alla convincente prestazione offerta nel match di giovedì con Stefanos Tsitsipas; una partita giocata su livelli davvero buoni, se si eccettua il calo di tensione alla fine del secondo set che ha forzato il set decisiva. “Ho giocato bene, non credete? – Ha domandato Rafa in in conferenza stampa -. Anche fisicamente mi sono sentito a mio agio. Penso di aver espresso un ottimo tennis, sentivo che la partita era in controllo. Lui è un giocatore dal talento immenso, è salito alla fine del secondo set mentre io attraversavo una piccola fase di sofferenza al servizio, ma poi ho reagito, e credo di esserne venuto fuori alla grande“.
Della sfida al greco rimane soprattutto negli occhi l’impressione di un fuoriclasse perennemente occupato a espandere il proprio bagaglio tecnico e artistico. “Ho provato a variare, scendere a rete, cambiare ritmo al gioco, usare molto lo slice: mi pare sia andata bene“. Benone, come avrà certo notato il campione in carica precocemente costretto a rincasare. Il problema, se ce n’è uno, è nascosto in qualche luogo invisibile, forse persino nella granitica testa da tennis di Rafa Nadal. Il sottotetto non è luogo che il maiorchino ami, per usare un eufemismo: il venti volte campione Major non vince un torneo indoor da Madrid 2005, che rimane ad oggi il suo unico hurrà indoor, e nell’ultima apparizione al coperto non ha brillato a Bercy. Ha giocato solo due finali al Masters, entrambe datatissime (2010 e 2013) ed entrambe perse, e tra le sue 37 sconfitte in finale si rintracciano cinque episodi indoor, l’ultimo a Basilea nel 2015 contro Federer. Può darsi che un tarlo si sia materializzato dalle parti di Manacor.
“Qui non ho mai vinto, è vero – riflette Rafa -, ma credo di aver giocato discretamente anche altre volte. L’anno scorso, per esempio, dopo il primo match mi pare di essermi ripreso. Per nostra sfortuna il tennis è così: puoi giocare molto bene e perdere, l’unica cosa da fare è giocare ancora meglio, perché gli avversari sono tosti“. Tosto quello di oggi, sicuramente. Medvedev è in fiducia e ha impartito a Djokovic, favoritissimo per gli allibratori e non solo, una severa lezione. “Se analizziamo solo le ultime settimane, credo che Daniil sia l’avversario più duro di tutti, il più in forma. Ha raggiunto le semifinali a New York e vinto Bercy, oltre ai primi due match qui a Londra. Non lo affronto da un anno ma non credo sia cambiato molto come giocatore; nessuno è un giocatore completamente diverso da un anno all’altro. Ma so che gli ultimi due precedenti sono stati molto lottati e che dovrò dare tutto per vincere, sperando basti“.
All’avversario di turno Rafa non fa mai mancare il rispetto dovuto, ma nella circostanza le sue antenne sembrano particolarmente sintonizzate. Ci si aspetta una serata ad alta tensione: e se fosse la volta buona per colmare la più larga lacuna del palmarès, come ipotizza il direttore?