Le cinque partite ATP migliori dell’anno: Djokovic, Sinner e Alcaraz protagonisti

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Le cinque partite ATP migliori dell’anno: Djokovic, Sinner e Alcaraz protagonisti

Sinner infiamma Torino, le finali epiche tra Alcaraz e Djokovic, la sorpresa Eubanks e Murray highlander

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Novak Djokovic (sinistra) e Carlos Alcaraz (destra) – ATP Cincinnati 2023 (foto via Twitter @CincyTennis)
 

La stagione 2023 si è conclusa con lo show di Torino e le emozioni azzurre di Malaga: Jannik Sinner e Novak Djokovic sono stati i grandi protagonisti delle ultime settimane dell’anno ma il 2023 ci ha raccontato anche le storie di altri personaggi che in giro per il mondo hanno disegnato match spettacolari. La qualità e l’agonismo sono gli ingredienti fondamentali dell’epica ma anche della quotidianità del circuito ATP: lo spettacolo della prima settimana dei tornei dello slam e la tensione delle grandi finali, la classifica dei cinque migliori match dell’anno a livello ATP è forse il modo perfetto per ingannare il tempo nel lungo volo ideale che ci porterà in Australia per i primi tornei del 2024. 

QUINTO POSTO- Wimbledon, Ottavi di Finale: C. Eubanks b. S. Tsitsipas 3-6 7-6(4) 3-6 6-4 6-4

Stefanos Tsitsipas nel corso del 2023- cominciato con la seconda finale slam della carriera, a Melbourne- è piombato in una lunga crisi, culminata nella brutta figura di Torino (ritiro dopo pochi minuti nel secondo match delle sue ATP Finals, quello con Rune). 

Ma Wimbledon, nel contesto di un’annata deludente, ha rappresentato a sorpresa (il greco sull’erba non ha mai brillato) una piccola parentesi felice, una parentesi nel corso della quale Stefanos è riuscito a vincere due maratone con Thiem (primo turno, 7-6 al quinto) e con Murray (secondo turno, 6-4 al quinto in un match spalmato su due giorni) raggiungendo gli ottavi di finale.

Al quarto turno il suo cammino si è interrotto sul campo numero 2 con l’americano Christopher Eubanks, per certi versi il nome più sorprendente della stagione: Eubanks- 27 anni- che aveva chiuso il 2022 al numero 129 del ranking mondiale, nel 2023 è esploso nel corso del torneo di Miami (quarti di finale partendo addirittura dalle qualificazioni) per poi assestarsi intorno alla 30esima posizione ATP (best ranking 29, ha chiuso l’anno al 34). 

L’americano si era presentato a Wimbledon (per lui era l’esordio nel tabellone principale dei Championships) in grande forma, reduce del primo titolo ATP della carriera conquistato sull’erba di Maiorca (trionfo in finale con Adrian Mannarino), trovando subito ritmo e confidenza sui campi dell’All England Club. Nel corso della rimonta con Tsitsipas (qui la cronaca dell’incontro) ha messo in mostra tutto il repertorio del suo tennis al tempo stesso compassato e esplosivo, contraddistinto da colpi d’altri tempi, per certi versi quasi anacronistici (pensiamo in particolare al rovescio a una mano, un po’ sgangherato ma a tratti incontenibile). Eubanks nel corso del quinto parziale ad un certo punto ha cominciato a sognare, e quando sogni chiudi gli occhi, e quando chiudi gli occhi non vedi più niente, e se sei un tennista- in particolare- non vedi più le righe e non vedi più la rete. 

Gli ostacoli e i limiti diventano solo un contorno invisibile: Eubanks però nel momento decisivo per un attimo costringe sé stesso a spalancare le palpebre, perché Wimbledon è il tempio della pressione, ma poi trova il coraggio di richiuderle, e allora torna la magia, come se non avesse davvero passato l’intera carriera a lottare sui campi secondari dei challenger (quelli con lo streaming stropicciato) ma invece a recitare sui grandi palcoscenici, colpendo rovesci lungolinea vincenti sulle palle break.

QUARTO POSTO- Australian Open, Secondo Turno: A. Murray b. T. Kokkinakis 4-6 6-7(4) 7-6(5) 6-3 7-5

A Melbourne (Margaret Court Arena) sono le 4.02 del mattino quando Andy Murray chiude il suo incontro di secondo turno con un rovescio lungolinea vincente: è appena sopravvissuto ad uno dei match più crudeli e simbolici della sua lunga carriera, rimontando due set di svantaggio con Thanasi Kokkinakis e qualificandosi al terzo turno dopo 5 ore e 45 minuti (secondo match più lungo della storia del torneo dopo la finale tra Djokovic e Nadal del 2012, durata otto minuti in più) di corse e lotta e 388 punti. 

Murray, che quattro anni prima e proprio su quel campo, aveva salutato il tennis giocato, si è ritrovato in qualche modo catapultato in una specie di strano loop romantico e ha messo in campo tutto quello che è rimasto della giovane versione di sé stesso: il cuore e la classe. 

Kokkinakis (qui la cronaca della partita) controllava lo scambio, dominava col dritto, e lo scozzese correva, si difendeva e trovava (spesso) il modo per ribaltare l’inerzia del gioco e in generale per rientrare in corsa da una situazione disperata (Thanasi ha servito per il match sul 6-4 7-6 5-3). 

Non si può riassumere una maratona con una fotografia ma lo scambio che vi proponiamo rappresenta oggettivamente l’istante perfetto di una storia lunga 6 ore: Kokkinakis- faccia sbagliata- che domina e pasticcia, Murray- faccia giusta- che raccoglie tutto quello che gli è rimasto nelle gambe e sopravvive come un vecchio leone ferito ma ancora orgoglioso. 

Il torneo di Andy, che al primo turno aveva sconfitto in un’altra battaglia infinita Matteo Berrettini, si concluderà al turno successivo con Roberto Bautista Agut, lo stesso giocatore che aveva interrotto la sua prima carriera, nel 2019, quasi a chiudere perfettamente il cerchio di questo ‘Giorno della Marmotta’ tennistico. 

TERZO POSTO- Wimbledon, Finale: C. Alcaraz b. N. Djokovic 1-6 7-6(6) 6-1 3-6 6-4

La finale di Wimbledon è stata la partita più prestigiosa dell’anno, un ‘instant classic’ che verrà verosimilmente ricordato per sempre: il 20enne Carlos Alcaraz, dopo aver perso il primo parziale in pochi minuti (travolto comprensibilmente dalla tensione dell’evento) ha sconfitto in cinque set il 36enne Novak Djokovic dopo 4 ore e 43 minuti di gioco conquistando il secondo titolo slam della carriera e il primo sui campi dell’All England Club. 

Un epilogo che in quel momento non sembrava necessariamente rappresentare un vero e proprio passaggio di consegne (e infatti Nole un paio di mesi dopo a New York conquisterà il 24esimo successo Slam della sua incredibile collezione per poi chiudere l’anno al numero 1 del ranking mondiale per l’ottava volta in carriera) ma piuttosto una frattura tra loro due e il resto del circuito: Jannik Sinner nel frattempo ha deciso però di provare a intromettersi nel duello e sull’onda dell’entusiasmo per il suo strepitoso finale di stagione tenterà nel 2024 di recitare il ruolo di terzo incomodo e di rovinare il binomio serbo/spagnolo.

La partita a dire il vero non è stata- se non a tratti- qualitativamente la migliore possibile (livello complessivamente alto ma non celestiale), perché la posta in gioco era oggettivamente troppo alta: quella che è stata a conti fatti la migliore finale slam degli ultimi anni vedeva infatti in campo due campioni ma anche tanta ansia. Da un lato il 36enne Nole, dominatore assoluto ma pur sempre nelle fasi finali di una carriera allucinante (e il sogno Grande Slam ancora certamente vivo, ma chissà per quanto), dall’altra il 20enne Carlos, reduce da una crisi emotiva nella semifinale del Roland Garros (anche in quel caso con Djokovic, crampi dovuti alla tensione) e in ogni caso alla prima finale a Wimbledon (solamente la seconda a livello slam, ma la prima contro un grande avversario). 

Si respirava l’aria della Storia e dell’evento imperdibile e il match, intensissimo, è sembrato sul punto di spezzarsi in diverse occasioni, col passaggio decisivo che è però arrivato solamente nel quinto set, quando Djokovic ha sbagliato un comodo schiaffo al volo di dritto per portarsi sul 2-0 (una specie di match point anticipato) e ha poi ceduto il servizio nel game successivo: Alcaraz non ha dal canto suo tremato nel momento di chiudere, vincendo il secondo titolo slam della carriera mentre Nole probabilmente per la prima volta nella sua vita ha dovuto fare i conti con una finale major persa con qualche rimpianto.

SECONDO POSTO- Nitto ATP Finals, Round Robin: J. Sinner b. N. Djokovic 7-5 6-7(5) 7-6(2)

Il match più atteso della fase a gironi delle Nitto ATP Finals di Torino non solo non ha deluso le aspettative ma le ha addirittura superate: una partita semplicemente magnifica, 3 ore e 9 minuti nel corso delle quali i due protagonisti (rispettivamente il numero 1 e il numero 4 del ranking mondiale) non si sono concessi nemmeno una pausa. I servizi, grazie a condizioni di gioco piuttosto rapide (Torino è in altura) hanno dato un’impronta evidente all’incontro ma senza dominarlo: tre soli break in totale ma anche tanti scambi intensi, un livello estremo, la palla che veniva letteralmente maltrattata dai giocatori, una continua lotta mentale e fisica per prendere il controllo dello scambio. Appena uno dei due tennisti perdeva anche soli pochi centimetri di campo veniva costretto dall’avversario ad arretrare.

Sinner ha approfittato di una serie di circostanze favorevoli: aveva infatti spazzato via la tensione dell’evento nel corso del (facile) match d’esordio con Tsitsipas e la partita con Djokovic non rappresentava un vero e proprio scontro a eliminazione diretta perché un paio di giorni dopo il programma del torneo prevedeva l’appello decisivo con Rune, valido per il passaggio del turno. Jannik ha potuto giocare col braccio sciolto e con la bolgia italiana dalla sua parte, approfittando di un Djokovic da sempre stranamente generoso nel secondo match del Round Robin delle Finali di fine anno (8 vittorie e 8 sconfitte in carriera, un record appena sufficiente). Nole dal canto suo ha disputato un match strepitoso, coinvolgendo e provocando il pubblico avversario, mantenendo un ritmo clamoroso da fondo campo e servendo in maniera estremamente precisa, inciampando solamente sul 5 pari del primo set, in un game in cui ha perso il servizio da 40-0.

Il tie break finale di Jannik ha tolto il fiato agli appassionati di tutto il mondo: risposte eccellenti, un passante da campione e poi la personalità, e ancora l’attacco sul match point, un cocktail che è diventato perfetto grazie ad un palcoscenico unico e ad un tifo da pelle d’oca. Questa vittoria ha catapultato Sinner in una nuova dimensione, sia dal punto di vista sportivo che dal punto di vista mediatico: la dimensione dell’idolo e del punto di riferimento. 

PRIMO POSTO- ATP Masters 1000 Cincinnati, Finale: N. Djokovic b. C. Alcaraz 5-7 7-6(7) 7-6(4)

Novak e Carlos, circa un mese dopo la finale di Wimbledon, si ritrovarono l’uno contro l’altro in un’altra finale, seppure meno prestigiosa: quella di Cincinnati. I due protagonisti- dopo un avvio complesso contrassegnato da un caldo atroce- diedero vita ad uno dei match migliori degli ultimi dieci anni. 

E’ sinceramente difficile descrivere a parole l’ultima ora di gioco (nel corso dell’ultimo anno solare solamente nel primo set tra Sinner e Alcaraz a Miami si sono sfiorate vette simili di tennis e intensità) e diventa probabilmente più saggio affidarsi alle immagini: un livello semplicemente stellare, il più alto del 2023, da stropicciarsi gli occhi, fondato esclusivamente sul rifiuto della sconfitta. 

Il rifiuto di Djokovic, che non voleva concedere un’altra vittoria al rivale in vista dello US Open. Il rifiuto di Alcaraz, che voleva invece dimostrare nello scontro diretto di essere davvero il nuovo numero 1 del tennis mondiale. Una partita che sembrava non dovesse e non volesse finire mai (3 ore e 49 minuti), una specie di regalo estivo per gli appassionati, che si ritrovarono a tifare solamente per “la partita” e non per forza per uno dei due contendenti, una sensazione surreale e impagabile al tempo stesso.

Vinse Nole, perché di base alla fine vince sempre lui, ma mai come in questo caso il risultato finale rappresentò una semplice e inutile cornice.

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